Il DNA dei Neanderthal può influenzare la forma cranica dei Moderni Esseri Umani

La forma del nostro cervello potrebbe dire molto del Neanderthal che è in noi. Una nuova ricerca ha recentemente evidenziato come gli esseri umani moderni, scientificamente Homo sapiens, portino con sé alcuni frammenti genetici dei nostri parenti estinti cronologicamente più prossimi, che potrebbero determinare dei cervelli o dei crani leggermente oblunghi.

Gli Homo sapiens possiedono infatti dei crani con una forma relativamente rotonda, mentre i Neanderthal erano caratterizzati da una forma della scatola cranica più simile a un fagiolo. Ricerche precedenti avevano suggerito che le forme del cranio riflettessero le differenze nelle varie regioni del cervello e il modo in cui queste fossero collegate assieme. Philipp Gunz, paleoantropologo del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, in Germania, ha affermato: “Dei tessuti cerebrali non sono rimaste tracce fossili, quindi non conosciamo con precisione la biologia dei crani Neanderthal“.

Allo scopo di capire le ragioni della forma del cervello dei nostri parenti genetici più stretti, alcuni scienziati del Max Planck Institute hanno effettuato delle scansioni con la tecnica della tomografia computerizzata di 7 crani fossili di Neanderthal e di 19 teschi di Homo sapiens. Le analisi hanno consentito di misurare la “rotondità” della scatola cranica, e quindi del cervello. Oltre alle nuove analisi effettuate per lo studio, i ricercatori hanno acquisito anche i dati di 4.500 esseri umani moderni per i quali esistevano sia le risonanze magnetiche del cervello sia le informazioni genetiche.

Sotto, Differenze di forma endocranica tra uomini di Neanderthal e esseri umani moderni:

 

Uno degli autori dello studio, Simon Fisher, neurogenetista del Max Planck Institute for Psycholinguistics di Nijmegen, nei Paesi Bassi, spiega le ragioni dello studio: “Abbiamo pensato che se fossimo stati in grado di identificare specifici frammenti di DNA Neanderthal in un campione abbastanza ampio di esseri umani viventi, saremmo stati in grado di capire se questo DNA spinge la forma del cervello ad essere meno globulare (rotonda), permettendoci di isolare i geni responsabili di questa caratteristica fisica“.

Se diversi studi precedenti hanno svelato che gli umani moderni e i Neanderthal si sono incrociati più volte durante la loro convivenza, nel nuovo studio gli scienziati hanno scoperto che i frammenti di DNA Neanderthal nei moderni cromosomi umani 1 e 18 sono collegati a cervelli meno tondi.

Fisher continua: “Gli effetti di questi rari frammenti di Neanderthal sono flebili, non si riuscirebbe ad apprezzare la forma della testa di una persona quando la si incontra“. I frammenti di DNA di Neanderthal contenevano due precedenti ricerche correlate allo sviluppo del cervello. Uno, UBR4, è collegato alla generazione dei neuroni mentre l’altro, il PHLPP1, è associato allo sviluppo dell’isolamento grasso intorno alle cellule nervose.

I ricercatori hanno quindi scoperto che il DNA di Neanderthal ha i suoi effetti più forti sulle strutture cerebrali conosciute come il putamen e il cervelletto, entrambi fondamentali per la preparazione, l’apprendimento e la coordinazione dei movimenti. Il putamen forma la porzione esterna dei gangli basali del cervello, che sono associati alla memoria, all’attenzione, alla pianificazione, all’apprendimento delle abilità e potenzialmente alla parola e al linguaggio.

Avere maggiori frammenti di DNA Neanderthal nel proprio codice genetico non significa necessariamente un cervello oblungo. Spiega Fisher: “Due persone che hanno quantità molto simili di DNA di Neanderthal – per esempio, l’1% del loro genoma – possono benissimo trasportare frammenti completamente diversi“.

Queste differenze genetiche non mostrano alcuna differenza al momento della nascita, quando i Neanderthal e gli Homo sapiens hanno forme cerebrali simili, ma in seguito i geni sviluppano un cranio più allungato, che differenziano le persone le une dalle altre.

Lo studio completo è stato pubblicato il 13 Dicembre sulla Rivista Current Biology.


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