Sul nostro pianeta ci sono un’infinità di luoghi desolati ed invivibili, ma nessuno è paragonabile al deserto di Atacama, dove infinite valli perse nel nulla si allungano verso distese di sabbia e dune rocciose che si estendono per chilometri e chilometri nella costa nord del Cile (ed in piccola parte in Perù), formando quello che è il più arido deserto della Terra.
Il paesaggio lunare e il colore bruciato della sua terra, che ricordano il pianeta Marte, potrebbe far pensare ad un gigantesco set cinematografico, creato solo per girare un film ambientato nel pianeta rosso.
In effetti, una zona del deserto di Atacama ha un terreno paragonabile a quello di Marte, e proprio lì la Nasa ha testato gli strumenti per le missioni sull’arido pianeta rosso, per un’ottima ragione: la piovosità media nella regione è di circa 15 millimetri all’anno, ma ci sono vaste aree del deserto dove non cade una goccia d’acqua per molti anni di seguito. Addirittura, secondo alcune ricerche, non ci sarebbe stata nessuna significativa precipitazione tra il 1570 e il 1971!
Per questo motivo, è molto strano che le più antiche mummie del mondo siano state trovate proprio qui, in questo deserto tanto inospitale, dove un’antica civiltà prosperò a lungo: tra il 7000 e il 1.500 aC. una popolazione, in seguito chiamata cultura Chinchorro, abitò questa zona costiera del Pacifico, dedicandosi prevalentemente alla pesca, ed in misura minore, alla caccia e alla raccolta.
Nel 1917, l’archeologo tedesco Max Uhle, scoprì resti umani mummificati artificialmente, che rappresentano il primo esempio conosciuto della conservazione dei corpi dei defunti. Le mummie risalgono infatti all’incirca al 5.000 aC., in anticipo di duemila anni su quelle degli antichi egizi.
All’apparenza il deserto di Atacama, con il suo monotono e straniante paesaggio, rimane immune da qualsiasi segno di attività umana. Ma non è esattamente così: a circa 75 chilometri a sud della città di Antofagasta, c’è una sorprendente statua collocata in mezzo al nulla:
Una mano di cemento alta 11 metri si alza dalla sabbia, solitaria quanto il deserto che la ospita
E’ La Mano del Desierto, realizzata nel 1992 dallo scultore cileno Mario Irarrázabal, che lascia a chi guarda l’interpretazione della sua opera. Secondo alcuni, vuole rappresentare la vulnerabilità e l’impotenza del popolo cileno, un grido d’aiuto rivolto al cielo. Collocare la scultura in un luogo tanto remoto è probabilmente il modo trovato dall’artista per amplificare il messaggio di abbandono trasmesso dalla Mano.
La mano del deserto, fotografia condivisa con licenza CC BY-SA 2.0 via Wikipedia:
Mario Irarrázabal aveva creato una scultura simile nel 1982, Los Dedos, posta nella spiaggia di Punta del Este, in Uruguay. Le dita di una mano, semi-sommerse dalla sabbia, simboleggiano in questo caso un “uomo che emerge alla vita”. Le due mani insieme, forse, stringono simbolicamente l’intero Sud America, quasi a voler tenere unito un paese tanto bello quanto inquieto.
Il video con un’arrivo alla Mano del Desierto: