Il Colosseo “Nero”: la storia dell’Anfiteatro Romano di Catania

Tutti conosciamo il Colosseo e l’Arena di Verona, ma non tutti sanno che uno degli anfiteatri più grandi dell’epoca romana è conservato sotto i palazzi e le chiese barocche della Catania Vecchia. L’anfiteatro romano di Catania spunta, solo in parte, nel pavimento di Piazza Stesicoro, al centro di Catania. Costruito nel II secolo, all’epoca si trovava vicino alla necropoli. A differenza del Colosseo e degli altri anfiteatri, l’anfiteatro di Catania è costruito in mattoni rossi e pietra lavica, ed era poi ricoperto di marmi. Durante il III secolo, l’anfiteatro ha subito dei lavori, che ne hanno aumentato le dimensioni, fino a quelle che sono state rilevate ai giorni nostri.

Restituzione della planimetria in un rilievo del 1907, messa in relazione con la viabilità dell’area:

Parte della storia dell’anfiteatro è inclusa anche nell’agiografia di Sant’Agata: nel 252, un anno dopo il martirio e la morte della santa, una colata dell’Etna minacciò l’anfiteatro, ma il popolo, grazie all’ausilio del velo della santa, riuscì a salvare l’anfiteatro fermando la colata lavica. In realtà, studi recenti hanno dimostrato che la colata è cominciata nei pressi di Nicolosi per fermarsi poi a Mascalucia, a 450 metri sul livello del mare. Tutto ciò partì dal fatto che alcuni corridoi dell’anfiteatro sono chiusi da materiale piroclastico.

Quando però nel ‘900 i corridoi vennero liberati, ci si accorse che quelli dietro erano liberi e il materiale lavico era stato usato proprio per chiuderli, oppure sono semplicemente dei residui della gittata della chiesa costruita proprio sopra l’anfiteatro, la Chiesa di San Biagio o, come è denominata dai catanesi, Chiesa di Sant’Agata alla Fornace. Cassiodoro, storico romano, racconta che Teodorico, re degli Ostrogoti, abbia concesso ai catanesi di utilizzare l’anfiteatro come cava di materiali per la costruzione di nuovi edifici. La stessa cosa fece Ruggero II di Sicilia per costruire la cattedrale di Catania, le cui colonne, visibili ancora oggi, provengono dall’anfiteatro.

Durante il XIII secolo, gli Angioini usarono i vomitoria per entrare in città, mentre il secolo successivo gli Aragonesi utilizzarono la struttura per poggiare il loro forte difensivo. Durante il 1500, il consiglio cittadino decise di utilizzarlo come giardino e di metterlo in sicurezza. Dopo il terremoto del 1693, che rase al suolo tutta la città e buona parte della costa ionica della Sicilia, l’anfiteatro venne ricoperto del tutto e usato come fondamenta per nuovi palazzi. Dopo la scoperta di Pompei nel XVIII secolo, l’anfiteatro è stato oggetto di scavi archeologici, ma si abbandonarono presto e le fornaci e i cunicoli vennero usati come pozzi neri per i nuovi palazzi. Gli scavi furono voluti dal Principe di Biscari, il quale desiderava fortemente dimostrare ai turisti stranieri, i quali credevano che l’anfiteatro fosse solo una leggenda, che l’anfiteatro esistesse realmente.

L’anfiteatro in una foto del 1911:

Agli inizi del XX secolo, sotto l’amministrazione De Felice, l’architetto Filadelfo Privitera portò avanti per due anni i lavori per riportare alla luce e donare alla città la bellezza dell’anfiteatro, che venne aperto al pubblico nel 1907, con una cerimonia a cui partecipò anche il re Vittorio Emanuele III, ma subito dopo la guerra l’anfiteatro ritornò in stato di abbandono. Durante il 1943, l’anfiteatro fu usato come rifugio antiaereo per proteggersi dai bombardamenti degli Alleati.

L’anfiteatro nel 2021. Fotografia condivisa via Wikipedia CC BY-SA 3.0:

In seguito, si sono susseguiti periodi di interesse e periodi di abbandono, fino a quando, alla fine degli anni ’90, la struttura venne definitivamente ristrutturata e aperta al pubblico, per porre fine alle escursioni di curiosi che, inesperti, si persero o si ferirono all’interno dell’anfiteatro. Un’altra leggenda metropolitana afferma che una scolaresca si sia persa all’interno dell’anfiteatro e non sia più riuscita ad uscire, leggenda che viene tutt’ora raccontata alle scolaresche che vanno in visita nella struttura per evitare che i ragazzi si disperdano.

Ricostruzione digitale dell’Anfiteatro, immagine via Wikipedia:

Da Piazza Stesicoro è possibile leggere su un muro dell’anfiteatro la scritta “Per Me Civitas Catanensium Sublimatur a Christo”, frase attribuita a Sant’Agata che subì il martirio lì vicino.

Vista panoramica della scritta all’interno dello scavo dell’anfiteatro: per me civitas catanensium sublimatur a Christo, frase attribuita a sant’Agata, che nei pressi subì il martirio. Fotografia di Crazychemist1 via Wikipedia CC BY-SA 3.0:

Anche l’ingresso all’anfiteatro è un piccolo capolavoro: si tratta di un cancello in ferro battuto sopra e liscio sotto, affiancato da due colonne in marmo con capitello ionico, e in cima parte di un architrave, che riporta la scritta “AMPHITHEATRUM INSIGNE”.

Ingresso dell’anfiteatro da Piazza Stesicoro. Fotografia di Luca Aless via Wikipedia CC BY-SA 4.0

Le due colonne sono a loro volta affiancate dai resti di altre due colonne. Nello spazio che intercorre tra le colonne sono riportati due epitaffi composti dal poeta catanese Mario Rapisardi, dedicati a Caronda (la cui via omonima è poco distante e sbocca su via Etnea) a sinistra e a Stesicoro (a cui è dedicata la piazza in cui si trova l’anfiteatro) a destra.

Sotto, il video della ricostruzione del “Colosseo Nero”:


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