Il Cavaliere Medioevale: un Ruolo più Complicato di quanto si possa Pensare

Il cavaliere medievale incarna, grazie anche alle innumerevoli leggende dell’epoca, che mescolavano miti e fatti storici, il prototipo dell’eroe senza macchia e senza paura, al servizio dei deboli e degli indifesi. Nel ciclo di Camelot, Re Artù e i suoi cavalieri rappresentano proprio questo aspetto: Lancillotto, prima di tradire la fiducia del suo signore per amore di Ginevra, e più ancora Parsifal, sono l’incarnazione di questo ideale.

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In realtà la figura e il ruolo dei cavalieri sono molto cambiati nel corso dei secoli. I figli cadetti delle famiglie nobili, non destinati alla vita monastica, venivano addestrati fin da piccoli all’uso delle armi. Tra gli 8 i 10 anni, il rampollo andava a vivere nel castello di qualche potente signore, dove iniziava il suo apprendistato, imparando non solo l’arte delle armi, ma anche le regole di corte ed altre materie più ‘leggere’, come la scrittura e la musica, quella che verrà poi definita la “cultura cortese”. Attorno ai 13 anni, il ragazzo diventava scudiero, concentrandosi sull’equitazione e sul combattimento, in particolare sulle regole tattiche proprie delle cavalleria.

Al momento dell’investitura, che avveniva attorno ai 21 anni con una solenne cerimonia, il futuro cavaliere rendeva omaggio, con un gesto simbolico, al suo feudatario, impegnandosi a mettere la forza del suo braccio al servizio del proprio signore. Seguiva poi un giuramento di fedeltà, che veniva pronunciato tenendo la mano destra su un oggetto sacro. La sacralità di questo gesto rendeva il legame tra cavaliere e feudatario più importante di qualsiasi altro.

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Il rispetto del Codice Cavalleresco era il dovere fondamentale di ogni cavaliere, che doveva attenersi a regole ben precise. La difesa del suo onore e quello del signore costituivano la premessa di ogni azione, e degli obblighi morali che ne conseguivano: difendere la fede, mantenere la parola data, proteggere i deboli, gli orfani e le vedove, combattere sempre a favore della giustizia.

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Però non fu sempre così: prima dell’XI secolo (quando la Chiesa di Roma si preoccupò di dare delle regole a questa particolare categoria di soldati) i cavalieri non erano altro che avventurieri, mercenari che combattevano per se stessi o per il migliore offerente, cercando di accumulare ricchezze con i bottini conquistati in battaglia.

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Chi tradiva il codice cavalleresco veniva degradato durante una cerimonia pubblica, in cui veniva spogliato della sua armatura mentre era in groppa a un cavallo di legno, deriso dalla folla dei presenti.

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L’inizio del declino della Cavalleria medievale si deve, come spesso è accaduto nel corso della storia, ad un’evoluzione tecnologica. L’invenzione di armi efficaci, come le picche e la balestra, resero più efficienti le milizie di fanti formate da semplici cittadini, che combattevano per i Comuni. I cavalieri, ostacolati dalla pesante armatura, avevano la peggio in questo nuovo tipo di battaglia, in cui i combattenti venuti dalle fasce più basse della popolazione riuscivano a prendersi la rivincita su quel mondo feudale che i cavalieri rappresentavano appieno, giunto ormai alla fine. Persa la funzione militare, della cavalleria rimase quello spirito che fu poi esaltato, mitizzato, forse anche inventato, fino a farne leggenda.


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