Siamo negli anni ’20 a Los Angeles. Il 10 marzo del 1928 Christine Collins consegna dei soldi al figlio di 9 anni per andare al cinema, il bambino esce dalla porta e si dirige alla sala.
Walter però non tornerà mai a casa
Sotto, fotografia di Walter Collins:
Le indagini furono molto lunghe e la polizia di Los Angeles seguì molte piste inconcludenti. La pressione dell’opinione pubblica, la cattiva pubblicità che il dipartimento investigativo dovette subire, i continui richiami da parte del sindaco della città, costrinsero la polizia a mobilitarsi per risolvere il caso il prima possibile. Fu così che, dopo cinque mesi di agognate ricerche, un bambino venne ritrovato in una piccola cittadina dell’Illinois.
Quel bambino affermava di essere Walter Collins
Fotografia del bambino ritrovato:
Christine dà fondo ai suoi risparmi per riportare il figlio in California, sembrava che la storia fosse finalmente giunta ad un lieto fine, i fotografi in stazione erano pronti ad immortalare l’abbraccio madre e figlio, ma appena il bambino scende dal treno la signora Collins si rende conto che quel bambino non è il vero Walter.
Christine:
La polizia la convince a tenerlo con sé per tre settimane, affermando che fosse suo figlio e che le differenze fisiche fossero frutto dello shock subito dal bambino a seguito del rapimento. Dopo venti giorni di convivenza con l’estraneo, Christine continuò a sostenere che quello non fosse il suo Walter, raccogliendo prove per la polizia, tra cui impronte dentali e testimonianze di amici, parenti e perfino del medico di famiglia.
Nulla fece cambiare idea al Capitano JJ Jones, ufficiale a capo del dipartimento, che accusò la donna di essere pazza e di aver messo in ridicolo il suo operato. La Collins fu dichiarata malata di mente e spedita al Los Angeles County Hospital, internata nel reparto psichiatrico della struttura, dove le venne assegnato il “codice 12”, un codice utilizzato per indicare i soggetti scomodi per la polizia.
D’altronde per quei tempi non era affatto inusuale, specialmente per le donne, vedersi rinchiudere in un ospedale psichiatrico per un nonnulla: una lite con il proprio marito, una relazione extraconiugale oppure ancora più rischioso era ribellarsi ed interferire con il lavoro della polizia, che all’epoca soffriva già di pessima fama, soprattutto quella di Los Angeles che era infatti considerata tra le più corrotte degli Stati Uniti. La Collins viene sottoposta a cure forzate, ma grazie ad un ministro presbiteriano Christine non fu dimenticata. Il reverendo Gustav Briegleb non si arrese al potere del capitano Jones e rese nota la notizia a tutti i suoi fedeli, in parrocchia e tramite la stazione radio che utilizzava per divulgare i suoi sermoni, indirizzando migliaia di preghiere a Christine e a suo figlio.
Il finto Walter fu nuovamente interrogato. Fortunatamente, ravvedendosi dell’ulteriore dramma che la sua bugia aveva generato, confessò di aver mentito, di avere 12 anni, di non essere un Collins, di non conoscere la donna che dicevano essere sua madre e di averlo fatto per andare ad Hollywood e conoscere il suo attore preferito.
Arthur J. Hutchens, il finto Walter Collins:
Il bambino, il cui vero nome si scoprì essere Arthur J. Hutchens, dopo essersi spacciato per Walter per più di un mese, fu riportato in Illinois e restituito alla madre. Arthur confessò in seguito, a distanza di anni, che il vero motivo era quello di sfuggire alla matrigna Violet.
Grazie a questa confessione, Christine venne rilasciata dal reparto psichiatrico e indisse una causa contro il dipartimento di polizia di Los Angeles, vincendola nel settembre del 1930. Il capitano Jones fu condannato a risarcire la donna per 10.800 dollari, considerevole per l’epoca, una somma che però non pagò mai.
Torniamo indietro nel 1928, nell’agosto di quell’anno, a pochi mesi dalla sparizione di Walter Collins, una donna di nome Jessie Clark viaggia dal Canada alla California per far visita al fratello più piccolo, Sanford Clark, che all’epoca viveva in un ranch, passato alla storia come il “Wineville chicken murders” (il pollaio degli omicidi di Wineville.) Qui, Sanford, viveva con lo zio Gordon Northcott, poco più che ventenne, e la madre di
Gordon, Sarah Louise.
Sanford Wesley Clark, nipote di Gordon:
Sarah Louise Northcott:
Jessie Clark partì per il ranch dopo che Sanford gli disse di aver timore per la sua vita, perciò la sorella preoccupata arrivò da lui, scoprendo la serie di omicidi che nel 1928 si consumarono nel pollaio dell’abitazione. Clark confessò a Jessie quattro dei venti omicidi di cui Gordon Northcott si macchiò, aiutato dalla madre Sarah Louise. Quando Jessie tornò in Canada, allerta la polizia canadese, la notizia arrivò al dipartimento di
Los Angeles che incaricò gli ispettori del servizio di immigrazione di indagare sulla vicenda, poiché all’inizio la preoccupazione maggiore si basava sul presunto caso di immigrazione e non sui fatti riportati dalla Clark, come invece avrebbe dovuto essere.
Il 31 agosto del ’28, due ispettori dell’immigrazione si recarono al ranch, ma Northcott li vide arrivare e organizzò la fuga. Minacciò Clark, dicendogli che se non avesse bloccato gli investigatori gli avrebbe sparato. Clark venne preso in custodia, mentre Northcott e Sarah Louise cercarono di scappare in Canada e far perdere le loro tracce, ma i due vennero fermati nei pressi di Vernon, una regione del Canada, e arrestati.
Gordon Northcott
Sanford Clark testimonia a processo, ammette gli omicidi e di aver preso parte all’occultamento dei cadaveri, ma dietro costrizione. Le indagini rivelarono gli abusi ai danni di Clark quando era solo un bambino, perpetrati da Northcott che lo seviziò sessualmente e psicologicamente, costringendolo poi ad aiutare i due assassini.
Il ranch di Northcott:
Northcott e Sarah Louise inizialmente confessarono gli omicidi, la stessa Sarah Louise confermò di aver ucciso lei stessa un bambino in particolare, Walter Collins, di cui però non vennero mai ritrovati i resti. Sul finale la deposizione fu ritrattata dagli assassini che asserirono di non aver ucciso nessuno. La polizia rinvenne “51 parti di anatomia umana… quei frammenti silenziosi di prove, di ossa e sangue umani, hanno parlato e corroborato la testimonianza di testimoni viventi”.
Le tre tombe scoperte nel ranch, dietro indicazione di Clark, una volta dissotterrate, si rivelarono vacanti. Secondo le autorità gli assassini le avevano svuotate nella notte precedente alla cattura e avevano bruciato i corpi delle vittime nel bosco.
Si è quasi certi che in una di queste tre tombe ci fosse il corpo di Walter Collins
I Northcott furono condannati per aver rapito, molestato, torturato, ucciso e smembrato più di venti persone, tra bambini e giovani adulti, numero che però non fu mai confermato dallo Stato della California per mancanza di prove evidenti. Gordon fu impiccato nel 1930, sua madre, condannata all’ergastolo, uscì di prigione dopo solo dodici anni, nel
1940, morendo poi nel 1944. Durante il processo si scoprì che in realtà Sarah Louise non era la madre biologica di Gordon, ma la nonna. Northcott era infatti conseguenza di un incesto commesso da suo padre Cyrus George Northcott che aveva seviziato la figlia Winifred.
Christine Collins non perse mai la speranza di riabbracciare Walter e passò il resto della vita cercando suo figlio. Morì nel 1964 a Los Angeles. Nel 1935 un ragazzo si fece avanti, lui e la sua famiglia raccontarono che sette anni prima era stato vittima di un rapimento e che fosse stato rinchiuso in un pollaio, ma che fosse riuscito a scappare. Secondo le testimonianze di Sanford Clark, nessun bambino era riuscito a fuggire e solo tre vennero rinchiusi nel pollaio. Due di loro furono identificati come Lewis e Nelson Winslow, scomparsi nel maggio del 1928. L’altro era quindi, proprio, Walter Collins.
Dalla vicenda è tratto il film “Changeling”, di cui sotto trovate il trailer: