Il bambino diversamente abile nel metodo ACA: una Risorsa

Continua il nostro viaggio nel Metodo ACA. Oggi desideriamo affrontare un tema molto delicato e particolare: il bambino diversamente abile.

L’inserimento dei bambini portatori di handicap nella scuola, a partire dalla Scuola dell’Infanzia, è uno dei temi più discussi degli ultimi anni.

Si parla di INTEGRAZIONE, di INCLUSIONE, anche se spesso non si comprende bene in quali termini: ovvero, come integrare nel migliore dei modi un bambino con disabilità nella Scuola dell’Infanzia?

Innanzitutto, dobbiamo inquadrare il tipo di disabilità: fisica, motoria, cognitiva, o altro…

Esistono svariate tipologie di svantaggi e, in questa sede, sarebbe troppo semplicistico e riduttivo citarne solo alcuni, pertanto è utile dire da subito che, qualsiasi tipo di handicap noi affrontiamo, non dobbiamo perdere il punto di vista, ovvero il bambino con cui interagiamo quotidianamente. Bisogna sottolineare che, erroneamente, ci si concentra sulla patologia, sullo svantaggio o solo disturbo e non sul soggetto. A proposito di soggetto, desideriamo aprire una piccola parentesi, ovvero declinare quali sono i bisogni di tutti i bambini, nessuno escluso, proprio nel Metodo:

Decalogo del bambino nel metodo ACA:

  1. Amare l’essere bambino (evitare le precocizzazioni, si cresce già troppo in fretta).
  2. Libertà di scelta
  3. Desiderare
  4. Essere spronato
  5. Essere gratificato
  6. Potersi Sporcare
  7. Avere Tempo
  8. Annoiarsi, ovvero non avere ogni momento strutturato
  9. Stupirsi e gioire ogni giorno
  10. Mangiare sano

Questo “decalogo” pone l’attenzione proprio sul soggetto e non sul disturbo. Se vogliamo davvero parlare di inclusione bisogna smettere di focalizzarci sul “problema” ma guardare il bambino nella sua interezza e nel proprio ambiente.

Direttamente dal manuale di “ACA – Ascolto, Comunicazione, Azione”, citiamo i fattori educativi che contraddistinguono il nostro sviluppo.

La Famiglia:

La famiglia rappresenta il primo fattore educativo per eccellenza. La collaborazione con la famiglia del bambino svantaggiato è di primaria importanza; fondamentale è l’interazione che si va a creare ma, sicuramente, altrettanto importante è la delicatezza dell’argomento.

E’ difficile mettersi in comunicazione, e difficile è mettersi in ascolto.

Le dinamiche relazionali che si vengono a creare sono molte e svariate e, spesso, è la famiglia che desidera essere supportata totalmente dalla scuola; dall’altra parte, invece, la scuola si sente troppo “responsabilizzata” e non adeguata a prendersi in carico anche la famiglia del bambino…

Allora come porsi?

E’ indispensabile sottolineare che ciascuno dei due fattori educativi (famiglia e scuola) ha il proprio compito specifico: quello della scuola è di prendersi cura del bambino e collaborare con la famiglia (continuità), quello della famiglia di affidarlo e collaborare con la scuola scelta.

Potremo paragonare il bambino con svantaggio ad un puzzle, in cui ogni tassello concorre al suo benessere psicofisico . In questo “quadro”, la famiglia dispone di più di un “ tassello” e di questo la scuola deve assolutamente tenere conto. Come abbiamo precedentemente sottolineato, la famiglia chiede, a volte, più di quanto la scuola possa, in realtà dare…

Il “tassello” da inserire, quindi è quello di prendere coscienza del fatto che ciascuno dei fattori che concorrono a migliorare lo sviluppo del bambino, ha e deve mantenere il proprio ruolo: la consapevolezza rappresenta il primo gradino verso una collaborazione fattiva e reale.

Importante: dobbiamo tenere presente che insieme alla scuola e alla famiglia vi è un altro fattore, ovvero il rapporto con esperti, terapisti, specialisti…

La Scuola

Come abbiamo ampiamente evidenziato, la scuola è uno dei componenti basilari dell’azione educativa e, in particolare, lo è per i bambini con portatori di handicap e/o con svantaggio.

La Legge 517 del 1977 stabilisce “forme di integrazione e sostegno a favore degli alunni portatori di handicap sia nella scuola elementare che nella media inferiore…”, ulteriori disposizioni sottolineano e regolamentano l’integrazione anche nella scuola materna.

La presenza dell’insegnante di sostegno e il coinvolgimento di tutti i docenti è di primaria importanza. Il discutere dell’inserimento, dell’andamento e degli sviluppi del bambino con difficoltà in sede di collegio docenti è basilare per lavorare al meglio; il lavoro in team non deve assolutamente essere sottovalutato né tanto meno considerato di scarsa utilità.

Negli ultimi anni, il problema relativo all’integrazione scolastica ha subito dei mutamenti e, per fortuna, in positivo. Sono nate diverse associazioni che si occupano dell’inserimento del portatore di handicap non solo in ambiente scolastico, ma anche in campo sociale. Esistono, tuttavia, dei limiti nella realtà italiana: inadeguatezza di scuole di specializzazione per la preparazione dei docenti di sostegno e carenza di una supervisione psicopedagogia interna adeguata alla struttura scolastica…

La Società

La società che accoglie o si prepara ad integrare i bambini con disabilità non è sempre preparata adeguatamente. Non si tratta solamente di abbattimento di barriere architettoniche, ma di mentalità. Sono i pregiudizi i veri limiti, che rendono difficile l’ingresso in società, ma soprattutto che rendono difficili i rapporti.

E’ la mentalità che deve mutare prima di ogni altra cosa per rendere adeguati i comportamenti, trattando coloro che sono svantaggiati non come “diversi” ma come persone prima di tutto.

I supporti Esterni

I supporti esterni ai quali ci riferiamo sono prevalentemente quelli offerti dalla presenza di terapisti, specialisti ed esperti, che spesso, trovano risposta in psicomotricisti e neuropschiatri infantili.

La cosa importante che, apparentemente sembra la più banale, è ancora una volta la collaborazione. Avere a disposizione una figura esperta che possa supportare il lavoro che si porta avanti nella scuola è una grossa risorsa.

Pertanto, è opportuno prevedere fin dall’inizio, incontri periodici per favorire sempre di più lo scambio e il confronto che devono essere parte integrante del nostro progetto educativo individualizzato (P.E.I.).

Concludendo

Il protagonista, soggetto – oggetto del nostro lavoro è il bambino (spesso diamo la priorità alla famiglia, al terapista, ecc…), quindi non perdiamo il punto di vista.

Condividere è la parola d’ordine

Condividiamo con le colleghe, l’esperto e con tutti gli aiuti che ci vengono offerti (per esempio dal Comune, dalla Regione, …) e cerchiamo il confronto. Non siamo onnipotenti: l’importante è svolgere il proprio operato in modo coscienzioso e “sufficientemente buono”.

E’ fondamentale informarsi e formarsi

Mettiamoci in discussione: non diamo per scontato che quello che facciamo è “giusto” o “sbagliato”, non esiste una “ricetta”, soprattutto nel campo della disabilità.


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