Mai come in questo periodo abbiamo imparato a fare attenzione all’igiene delle mani, mentre l’attenzione alla pulizia del corpo era già ben radicata nella nostra cultura. Con l’aumento del benessere economico nelle nostre case sono entrate comodità prima inimmaginabili, che ci hanno permesso di migliorare, oltre al nostro tenore di vita, anche le condizioni sanitarie degli ambienti in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo. Non sempre però un’alta qualità della vita è sinonimo di una grande attenzione per la cura personale.

Nell’articolo di oggi parliamo della corte di Luigi XIV, il Re Sole, a Versailles. Fra le massime espressioni dell’assolutismo, Luigi XIV, che odiava Parigi, decise di spostare la corte dal palazzo dal Louvre, al centro della città, a Versailles, tenuta di caccia di Luigi XIII che si trovava su una collina paludosa a sud-ovest della capitale. Ciò permetteva al sovrano di evitare la città senza però allontanarsi troppo e di poter ospitare non solo la corte ma l’intera nobiltà parigina. Attraverso l’acquisto dei terreni dei nobili confinanti, Versailles passò da semplice tenuta di campagna a palazzo di dimensioni gigantesche, che per la prima volta nella storia possedeva dei terreni il cui scopo era quello di stupire con siepi finemente potate e giochi d’acqua, e non pensati per provvedere ai bisogni naturali degli inquilini di palazzo. Non si badò a spese per l’arredamento delle sale: marmi, broccati, statue, dipinti, specchi, orologi meccanici e mobili pregiatissimi.
Tutto ciò però contrastava con i miasmi maleodoranti che accoglievano gli ospiti. Ancora oggi, visitando il palazzo, possiamo notare la rarità di salle de bains, letteralmente le sale da bagno attrezzate con l’occorrente per lavarsi interamente. Eppure, Luigi XIV era considerato molto attento alla pulizia personale dai suoi contemporanei: è storicamente accertato che il re fece più di un bagno nella sua vita. In una stanza veniva sistemata una vasca in cui il re si immergeva con il corpo avvolto in una sottoveste. Quando era più giovane, il re frequentava l’equivalente delle nostre SPA, ma con il tempo si lasciò convincere dalle teorie idrofobiche della corte, e soffrì molto quando, a seguito di una malattia, gli vennero prescritti dei bagni per purificare l’organismo. Ciò che esisteva a Versailles era invece un appartamento da bagno, voluto da Luigi XIV per stupire la sua favorita, Madame de Montespan, e si trova nell’Orangerie di Versailles. La vasca presente nell’appartamento è molto spaziosa, ma, in questo luogo immerso nel lusso più sfrenato, è facile immaginare che il re e la sua amante si dedicassero ad altre attività che erano più frenetiche del lavarsi.
Il resto della corte si asteneva dal fare bagni se non in sporadici episodi, in cui il sovrano ordinava di recarsi ai corsi d’acqua per rinfrescarsi. Il motivo di questa astensione era proprio l’acqua.
Perché i nobili francesi avevano così paura dell’acqua?
Nel XVII secolo, la peste terrorizzava ancora l’Europa, inclusa la Francia, la nazione all’epoca più ricca. La scienza medica era ancora arretrata nello studio dei microorganismi, e si ricorreva a speculazioni più o meno fantasiose. Una di queste era che l’acqua fosse la causa principale della peste e delle altre epidemie, per il suo scorrere incessante e la sua diffusione. Si pensava inoltre che l’acqua provocasse la perdita di linfa vitale e causasse l’aborto a causa della dilatazione dei pori, conseguenza naturale dell’acqua calda.
A causa di questa convinzione, l’acqua per l’igiene personale venne bandita e lo stesso atto di lavarsi veniva considerato osceno e inappropriato. La medicina all’epoca non aveva compiuto quei passi in avanti rilevanti rispetto ai secoli precedenti, e quindi la qualità dell’acqua veniva stabilita semplicemente in base al colore e all’odore della stessa. Come già detto, Versailles venne costruita su una collina paludosa bonificata, mentre l’acqua arrivava da una fonte a valle. Per la prima volta le fontane vennero costruite per abbellire un giardino: l’acqua che veniva servita a tavola, considerando la convinzione che l’acqua fosse portatrice di malattie, veniva purificata e resa potabile, a differenza del popolo che doveva arrangiarsi con l’acqua presa dalle fontane parigine.
I nobili adottarono dunque la tecnica denominata “toilette sèche”, ovvero lavarsi a secco. In pratica ci si puliva senza dover ricorrere all’acqua. Ciò consisteva nell’uso di un panno, rigorosamente bianco, impregnato di una qualche sostanza che facilitava la traspirazione della pelle. Anche Luigi XIV praticava la toilette sèche, e i nobili si accalcavano ogni mattina per assistere. Chi non poteva mancare allo spettacolo erano la vecchia balia del re, unica donna ad avere il permesso di assistere, e il medico personale, che si assicurava che la salute del re fosse ottima.
La toilette si svolgeva così: il re si alzava, indossava la camicia con l’aiuto del valletto e chiedeva di lavarsi le mani. Il valletto di camera versava sulle mani dell’acquavite, ovvero vino e spirito, con una caraffa tenuta con la mano destra, mentre con la sinistra sorreggeva un piattino sottostante per far sì che il liquido non si versasse. Dopodiché il re si asciugava le mani con un panno asciutto, si alzava e si sedeva su una sedia. Il suo viso veniva tamponato con acquavite, rinfrescato con acqua e infine rasato. Tutto questo sotto gli occhi vigili dei cortigiani che assistevano in file ordinate in base al rango nobiliare. Era infatti considerato un onore poter assistere alla toilette sèche del re e questi la imitavano.

A quell’epoca poi era di moda tra i nobili avere dei libricini grandi quanto una mano, facilmente nascondibili in tasca, che erano dei veri e propri manuali per ottimi cortigiani, e si concentravano soprattutto sull’igiene personale. Peccato, però, che a Versailles la concezione di igiene fosse molto sui generis. L’importante era, infatti, apparire puliti più che essere puliti. Le camicie maschili e i négligé femminili dovevano essere rigorosamente bianchi e andavano cambiati più volte al giorno, proprio per dare la parvenza di pulito, e anche perché, oltre che dell’acqua, si era terrorizzati dal sudore, considerato appena meno pericoloso.
Per esempio, la Principessa Elisabetta Carlotta del Palatinato, cognata del re, di ritorno da Marly-la-Ville, tornò a palazzo letteralmente distrutta dal viaggio, durante il quale dovette attraversare terreni accidentati e puzzolenti. Eppure, la sua premura più grande fu quella di cambiarsi la camicia, senza lavarsi.
Elisabetta Carlotta del Palatinato, dipinto di Hyacinthe Rigaud:
L’igiene alla corte di Luigi XIV era quindi una questione di apparenza, e non di sostanza. I nobili, con le loro camicie di cotone e i loro abiti ricamati, sembravano molto più puliti dei popolani con i loro abiti in canapa. Oggi il benessere economico viene determinato da numerosi fattori, automobile, smartphone e vestiario sono i principali, mentre all’epoca questi erano la grandezza del guardaroba, e soprattutto il numero di camicie. Gli abiti venivano semplicemente lasciati all’aria e spazzolati, mentre le camicie venivano lavate e sbiancate.
Non esisteva la biancheria intima: la camicia era l’indumento che era più a stretto contatto con la pelle, tanto da essere considerata una seconda pelle, era lunga fin sotto l’inguine e svolgeva la funzione di biancheria intima. È da qui che deriva il detto “être comme cul et chemise – essere come culo e camicia”, che indica due persone inseparabili, proprio come la camicia con i glutei. Gli uomini sopra indossavano le culottes, pantaloni lunghi fin sotto le ginocchia, con una chiusura definita a ponte che facilitava i bisogni fisiologici più urgenti.
Ma se all’apparenza si poteva ovviare con il cambio della camicia più volte al giorno, era molto più difficile nascondere gli odori del corpo. A corte, proprio per questa esigenza, esistevano due figure ad hoc: il Parfumeur, cioè il profumiere, che girava a corte con tante boccette di profumo a disposizione dei nobili, e il Barbier Perruquier, il barbiere parruccaio, pronto a creare nuove parrucche per soddisfare i bizzarri capricci dei nobili. Il profumo divenne il rimedio preferito per ogni problema, comprese le malattie. Una grande amante dei profumi molto forti fu Madame de Montespan, la favorita del re, che continuò ad usarli anche quando il re, con l’avanzare dell’età, non li amava più e chiese alla corte di bandirli.
Sotto, Madame de Montespan:
Il profumo non era circoscritto all’interno del palazzo: nel giardino si trova ancora oggi una piantagione d’aranci che Luigi XIV fece arrivare appositamente dalla Cina. Fu però con Luigi XV che il profumo conobbe il suo exploit, considerando che il re chiedeva di profumare le sale con una fragranza diversa ogni giorno. Luigi XVI, invece, componeva dei percorsi profumati nel giardino con diverse varietà di fiori per Maria Antonietta.
La Regina Maria Antonietta:
Oltre il profumo, un altro stratagemma per apparire puliti era il trucco. Come già detto, il bianco era considerato il colore della pulizia, quindi quale soluzione migliore di imbiancarsi il viso con la cipria e il cerone? Per dare invece un aspetto più naturale, pensando di far risaltare l’incarnato, si coloravano le guance con del fard rosso. Se ne metteva talmente tanto che in francese è rimasta l’espressione “sans fard”, cioè senza trucco, metafora per il concetto di “verità”. Tutto questo trucco creava dei mascheroni caricaturali, che marcavano ogni minima espressione. Non è un caso che l’amore per il trucco sia espressione del XVII secolo francese, secolo in cui, proprio in Francia, l’attenzione verso il teatro e le espressioni facciali era al culmine.
Il bianco, per il volto, rappresentava la purezza dell’anima e la verginità, oltre che a enfatizzare il pallore che distingueva l’incarnato dei nobili da quello bruciato dal sole dei popolani. Così come era nei tempi antichi, il cosmetico bianco era a base cerosa, che a lungo andare, considerando che il viso non veniva deterso mai, deturpava e irritava enormemente la pelle, tanto che gli anziani non potevano più imbiancarsi il viso.
I cosmetici dell’epoca non avevano la stessa durata di quelli odierni con componenti chimici; quindi, sia uomini sia donne avevano un vero e proprio necessaire in miniatura con l’occorrente per rinfrescare il trucco. Lady Montagu, nobildonna inglese in visita a Versailles, osservando il trucco dei nobili a corte, non poté trattenersi dal descriverli come “un assembramento di montoni nuovamente scuoiati”.
Lady Montague:
I nobili si presentavano come maschere carnevalesche: viso bianco pallido, le gote rosse come pomodori, le vene blu che risaltavano sotto il cerone e l’enorme parrucca sulla testa che sembrava lana per la tanta cipria con cui era cosparsa. La cipria non veniva utilizzata solo per ritoccare il trucco, ma anche come “shampoo a secco” per pulire i capelli senza lavarli davvero. I risultati erano disastrosi, tanto da dover ricorrere alle parrucche, che causavano non pochi problemi come emicranie e dolori posturali, di cui soffrì anche lo stesso Luigi XIV. La lana non era usata solo per le parrucche, ma anche per riempire le bocche a cui mancavano troppi denti oppure troppo anziane e quindi non più toniche. Possiamo dunque dire che, seppur in modo grottesco, si cercava di dare all’aspetto personale una parvenza di pulizia e decoro.
Come già detto prima, a Versailles sono pressoché inesistenti le salles de bains, a cui comunque in casi eccezionali si provava a rimediare, e le toilettes, presenti in forma privata solo negli appartamenti reali, dove si chiamavano “cabinet de la chaise – gabinetto della sedia“. Mentre la corte era solita usare i vasi da notte, e non solo, che ogni mattina venivano svuotati dal balcone, nel mentre Luigi XIV era un amante della cosiddetta chaise percée, letteralmente sedia bucata, tanto da averne una vicina al suo ufficio e una nel guardaroba.

Secondo il dizionario dell’epoca, l’espressione “aller à le guardrobe”, andare al guardaroba, era sinonimo dell’odierno andare in bagno. La chaise percée altro non è che l’antenato del nostro gabinetto. Quella di Luigi XIV, e poi dei suoi successori, è un esempio di lusso sfrenato anche per un’azione non proprio elegante: nascosta in un armadietto di legno pregiato, l’interno è in ceramica, mentre la seduta è in velluto, per consentire maggiore comodità ed evitare il freddo durante i rigidi inverni francesi.
Divertente pensare che ci sia un aneddoto legato a quest’oggetto: un giorno un gatto bianco si intrufolò nella stanza e si nascose nella chaise percée. Luigi XVI entrò per i suoi bisogni fisiologici e, una volta seduto, dovette alzarsi in tutta fretta, perché il gatto, spaventato, gli graffiò tutto il fondoschiena. Nel XVIII secolo si cercò di adeguarsi al modello inglese chiamato water-closet, posizionando la chaise percée in una stanza apposita. Maria Antonietta amava la chaise percée, a differenza della corte, e usava dei filamenti di lana come carta igienica.
Quando il castello fu costruito il re fece costruire dei vespasiani per gli uomini, chiamati mures à pisser, cioè dei muri per urinare, che bastavano appena per la corte. Quando i vespasiani erano troppo lontani o troppo affollati, ci si arrangiava come si poteva: dietro le porte, sotto le scale, sulle tappezzerie, in mezzo al giardino e qualcuno addirittura dalla balaustra della cappella. Tutto ciò riguardava gli uomini. Per le donne era molto più complicato. A differenza degli uomini, le donne non portavano camicia e culotte, ma pesanti sottane che davano volume a un abito già abbastanza ingombrante. Ricorrevano dunque ai pottes de chambre, più comunemente chiamati bourdaloue, ovvero dei piccoli vasi, reperibili ovunque nel castello, che sistemavano al di sotto del vestito e vi ci si sedevano sopra.

A questo periodo risale anche l’espressione paesi bassi per indicare certe parti del corpo: la Francia era in guerra con l’Olanda, regione dei Paesi Bassi, e come sfregio si diede il titolo “Voyage aux Pays-Bas”, viaggio nei Paesi bassi, ai libri finti che servivano a camuffare le chaises percée. La locuzione divenne dunque sinonimo di andare a defecare, proprio perché si defecava sui Paesi Bassi.
A Versailles c’era un vero e proprio esercito di addetti alle pulizie, i quali erano in guerra contro un esercito ben nutrito e quasi invincibile: i topi, che invadevano il castello, dalle cucine alle camere da letto. Oltre i topi, un’altra fonte di possibili epidemie e malattie erano i pozzi neri sotto le fondamenta del palazzo, che venivano svuotati molto di rado. Bisogna anche tenere in conto che le camere da letto dei nobili davano sui cortili, dove si trovavano i mures à pisser e gli sbocchi dei pozzi neri; dunque, nessuno era risparmiato dal fetore e dai miasmi. Maria Antonietta, cresciuta nella corte austriaca, in cui la pulizia e l’igiene erano tenuti in gran conto, non mancava mai di lamentarsi per i cattivi odori che entravano dalle finestre e di come i suoi vestiti puzzassero per essere stati lavati con acqua sporca.

Alla morte di Luigi XIV, la corte tornò a Parigi, lasciando il palazzo disabitato. Gli abitanti della cittadina di Versailles, esasperati dal fetore, svuotarono i pozzi neri nei torrenti che affluivano al corso d’acqua principale che attraversava Cluny, dove la gente pescava e prendeva l’acqua, cui seguirono diversi problemi di igiene pubblica. Quando Luigi XV decise di trasferire nuovamente a Versailles, le condizioni igieniche del palazzo erano disastrose. Il nuovo sovrano era molto attento alla pulizia e, soprattutto, non aveva una paura incondizionata dell’acqua.
Grazie alla macchina di Marly, meraviglia dell’ingegneria idraulica dell’epoca, fece deviare il corso della Senna, facendolo risalire fino al castello, e per la prima volta l’acqua venne sottoposta a un processo di filtraggio prima di diventare acqua corrente. Come già detto, Luigi XV era un amante della pulizia, tanto da far costruire sette salles de bains, mentre il suo successore, Luigi XVI, era meno maniacale, accontentandosi di una sola. Fece costruire inoltre anche i servizi igienici per la corte, assegnandone uno per ogni appartamento; dunque, i nobili si trovavano a condividerli con i propri “coinquilini”. Crebbe, oltre il senso dell’igiene, anche il senso del pudore e della privacy nelle salles de bains e, grazie alle innovazioni idrauliche, non c’era più bisogno del valletto che riempiva e poi svuotava la vasca da bagno. Quando le vasche venivano liberate l’acqua non andava sprecata: veniva riutilizzata nei giochi d’acqua delle fontane, per innaffiare i giardini e nei lavatoi. Oggi la chiameremmo una scelta green. A questo periodo risale anche l’invenzione del bidet, poi rivisto nella forma alla reggia di Caserta, e la diffusione delle vasche da bagno in tutti i ceti sociali, anche i meno abbienti.

Un’altra grande amante dell’igiene fu Maria Antonietta, e si può vedere dentro il Petit Trianon: la salle de bains è grande e al suo interno si trova anche un letto, perché per la regina era molto importante riposare dopo il bagno. Dalle lettere che scrisse alla madre si scopre che la sovrana fu la prima a imporre alle cortigiane di indossare delle bande di tessuto legate alla cintura durante i giorni del ciclo, e si occupò personalmente di fare il bagnetto ai figli piccoli, rendendolo un vero e proprio rito nella vita di un neonato.

In questo periodo nel castello si incontravano due generazioni opposte: i più anziani, con il loro viso grottescamente truccato e le pesanti parrucche, e i più giovani, amanti di un aspetto più naturale con meno trucco sul viso. Complici di questo cambio radicale nella moda furono sicuramente i libri degli illuministi, soprattutto di Rousseau, e già all’epoca ci si accorse di quanto fossero dannosi i comportamenti delle generazioni precedenti.