Se non fosse stato per quell’educazione così rigida e spartana ricevuta fino ai dieci anni d’età, e totalmente priva di affetto negli anni dell’adolescenza, forse Ida Reyer Pfeiffer non sarebbe diventata quella spericolata viaggiatrice che tanto incuriosiva la società viennese di metà Ottocento.
Perché essere una donna che viaggia da sola in lungo e in largo (fa il giro del mondo due volte), tra tribù di cannibali e cacciatori di teste, con pochi soldi in tasca, sempre alla mercé di bande di predoni o semplicemente di una natura ostile, non è esattamente quello che ci aspetta da una signora della buona società austriaca.
Ida Pfeiffer
Ida Reyer nasce nel 1797 in una famiglia benestante, con il padre che fa il commerciante e la madre che non approva l’educazione che viene impartita alla fanciulla. Ida è l’unica femmina di sei figli, e il padre le consente di vestirsi e comportarsi come un maschiaccio. I suoi passatempi sono gli stessi dei fratelli e prevedono esercizio fisico all’aperto e sport.
D’altronde lei non ama le bambole né suonare il pianoforte, alle vesti lunghe preferisce i pantaloni. Tutti i ragazzi Reyer sono educati a obbedire senza discussioni, e perfino abituati a mangiare poco (nonostante le possibilità economiche della famiglia), ma quella libertà di crescere senza le restrizioni imposte dal suo sesso rappresenta per Ida un’insolita possibilità di coltivare quel lato forte e intraprendente del suo carattere. Il padre addirittura le dice scherzosamente che da grande potrà diventare un ufficiale dell’esercito.
Poi, quando Ida ha nove anni, il padre muore e tutto cambia
Addio a quell’insolita libertà, a quei giochi da maschio e agli sport all’aria aperta: Ida deve indossare i panni da femmina, quelli che poi le dovranno consentire di contrarre un buon matrimonio. La bambina non capisce e non accetta quel tipo di educazione, tanto da ammalarsi. Il medico consiglia di consentirle di vestirsi da maschio fino ai tredici anni, e comunque anche dopo, con gli abiti lunghi, continua a comportarsi “come un ragazzino scatenato”. Detesta le lezioni di pianoforte e di cucito, tanto che si brucia le dita con la cera pur di non sottoporsi a quel che lei ritiene dei “tediosi insegnamenti”.
La svolta arriva nel 1810, quando viene assunto un istitutore privato, Jozef Trimmel, che riesce in quello che la madre non ha mai ottenuto. Ida impara a cucire, a lavorare a maglia e a cucinare, grazie alla “pazienza e perseveranza “ dell’insegnante. La spiegazione di quel cambiamento la dà Ida stessa:
“Siccome avevo imparato a temere i miei genitori piuttosto che amarli, e questo signore era, per così dire, il primo essere umano che aveva mostrato simpatia e affetto per me, mi sono aggrappata a lui in cambio di un attaccamento entusiasta, desiderosa di soddisfare ogni suo desiderio, e mai così felice come quando sembrava soddisfatto dei miei sforzi. Ha preso l’intero incarico della mia educazione, e sebbene mi sia costato alcune lacrime abbandonare le mie visioni giovanili, intraprendendo attività che fino a quel momento avevo considerato con disprezzo, a tutto ciò mi sottoponevo per il mio affetto per lui.”
Da lì a considerare amore quell’affetto il passo è breve: Ida e Joseph vorrebbero sposarsi, ma la madre considera l’istitutore un partito non adatto alla figlia e nega il consenso. Lei, per ripicca, rifiuta molte proposte di matrimonio, finché non ce la fa più a vivere sotto lo stesso tetto di quella madre dispotica e accetta di sposare, quando ha 22 anni, un avvocato galiziano quarantaseienne, vedovo e con un figlio già grande.
Alla madre è sembrato un buon partito quel ricco e illustre avvocato, che però perde presto fortuna e incarichi perché denuncia la corruzione di alcuni funzionari austriaci in Galizia. Per i Pfeiffer, che intanto hanno avuto due figli, è la miseria. Lui cerca lavoro a destra e a manca, senza fortuna, lei si adatta a vivere in case fredde e umide, con quasi niente da mangiare. Lavora di nascosto, e con quello che guadagna dalle lezioni di disegno e musica non riesce a mettere nel piatto dei suoi figli altro che pane secco. Sono diciotto anni di miseria e privazioni, con lei che vive a Vienna insieme ai figli e il marito in Galizia, finché nel 1837 la madre di Ida muore e lei riceve la sua parte di eredità, che destina quasi interamente all’educazione dei figli.
Il marito lontano muore un anno dopo e Ida riassapora il gusto della libertà, che per lei significa, forse ancora inconsapevolmente, la possibilità di viaggiare. Fin da piccola restava incantata da racconti di avventure ed esplorazioni, ma è solo quando vede il mare per la prima volta, a Trieste, che le si scatena un’irrefrenabile voglia di viaggiare.
Le condizioni ci sono, perché i figli sono ormai grandi, ma quel progetto di andarsene in giro da sola, senza la protezione di un uomo e con pochi soldi a disposizione, sembra una follia. Lei dice di voler andare a Costantinopoli per visitare un’amica, ma in realtà ha in mente qualcosa di ben più azzardato. Il 22 marzo 1842, quando ha 44 anni, Ida inizia la sua avventura: da Vienna, navigando lungo il Danubio, arriva nel Mar Nero e poi a Costantinopoli.
Costantinopoli
Ma non si ferma lì, prosegue per Beirut, Gerusalemme e il Mar Morto, e poi Damasco, Baalbek, Alessandria d’Egitto e Il Cairo, dove visita le piramidi e si muove a dorso di un cammello.
Il suo viaggio è sempre all’insegna della più stretta economia (i giovani autostoppisti degli anni ’60/’70, con lo zaino in spalla, non hanno inventato nulla di nuovo): dorme dove può, mangia quel che trova e si sposta su carri trainati da buoi, o se va bene a cavallo e a dorso di cammello. Dalla capitale egiziana infatti si unisce a una carovana di cammellieri e attraversa il deserto fino a Suez, poi per rientrare a Vienna attraversa l’Italia, dalla Sicilia a Napoli, e quindi Roma e Firenze.
La storia di Ida Pfeiffer e dei suoi viaggi 1879
Quando alla fine arriva a Vienna, a dicembre del 1842, c’è qualche amico che la sprona a pubblicare i suoi diari di viaggio. Lei si convince, e nel 1843 esce, rigorosamente in forma anonima, Viaggio di una viennese in Terra Santa.
Beirut e le montagne del Libano
Quel libro è un grande successo, più volte ripubblicato (solo alla quarta edizione comparirà il suo nome come autrice), e grazie ai suoi proventi Ida può programmare un altro viaggio. Questa volta però decide di preparasi meglio e studia, studia tanto: l’inglese e il danese, i fondamenti della tecnica del neonato dagherrotipo, le basi della tassidermia e della botanica.
Parte ad aprile del 1845 e la destinazione è il grande Nord: Danimarca e Islanda passando per Praga e Amburgo. Quel viaggio durante il quale, al ritorno, incontra la regina di Svezia, la rende famosa in tutta Europa: tutti parlano di quella donna avventurosa e vogliono conoscerla. L’Islanda però rappresenta una delusione per Ida, che se la raffigurava come una sorta di Arcadia, un paradiso rurale che esisteva solo nella sua immaginazione.
L’Islanda
Da quella seconda avventura ricava il libro Viaggio nel nord scandinavo, con i proventi del quale riesce a finanziare il terzo viaggio, che la tiene lontana da Vienna per due anni e sette mesi:
E’ il suo primo giro del mondo
Parte il 1° maggio 1846 alla volta di Rio de Janeiro.
Rio de Janeiro
Il Brasile non è esattamente un paradiso, tra l’insopportabile caldo umido, gli insetti, e quel verde infinito che a lungo andare stanca, senza contare quel tentativo di assassinio al quale scampa, mentre è diretta a Petropolis.
Una foresta in fiamme – Brasile
Dopo aver visitato fazende e piantagioni, attraversato foreste spesso date alle fiamme per ottenere terreni da coltivare, e incontrato anche un gruppo di nativi (ne farà una descrizione poco entusiasta), Ida affronta la navigazione del tempestoso Capo Horn, e si ferma a Valparaiso, in Cile.
Capo Horn
Da lì, passando per Tahiti, arriva a Macao, e poi a Hong Kong e a Canton, dove non era cosa comune vedere una donna bianca, anzi. Ida deve talvolta indossare gli amati panni maschili per sfuggire a situazioni pericolose.
Casa cinese con giardino
Passando per Singapore Ida arriva a Ceylon, odierno Sri Lanka, che gira in lungo e in largo. A Ottobre del 1847 sbarca a Madras, e prosegue per Benares e Bombay. Resta in India per circa sei mesi, poi si imbarca per la Persia e la Mesopotamia. Visita la leggendaria Bagdad, le rovine di Babilonia, attraversa il deserto di Mosul insieme a una carovana di cammellieri, per arrivare a Ninive e, dopo essere sfuggita a un attacco di predoni, arriva a Tabriz, dove l’incredulo ambasciatore britannico non nasconde l’ammirazione per quella donna avventurosa, riuscita in un’impresa che nemmeno molti uomini avrebbero saputo compiere. Ma il giro del mondo non è ancora finito: Ida attraversa l’Armenia, la Georgia e passando per Odessa arriva a Costantinopoli e poi ad Atene. Dalla capitale greca torna alla fine a Vienna, a novembre del 1848.
Carovana di Tartari
Quel viaggio così lungo e pericoloso un po’ l’ha stancata, e Ida pensa di fermarsi. Intanto scrive Il viaggio di una donna intorno al mondo, che viene pubblicato nel 1850.
Nel 1851 però quel demone del viaggio si ripresenta e Ida riparte, a maggio, diretta prima a Londra e poi in Sudafrica. Mentre è a Città del Capo non sa decidersi: è meglio addentrarsi nel Continente Nero e poi andare in Australia, oppure raggiungere Singapore e visitare le Indie Orientali?
Singapore
Ida sceglie la seconda opzione e va in quella che è l’attuale Indonesia. Visita Giava, Sumatra e poi il Borneo, che nessuna donna occidentale aveva mai attraversato prima di lei, e dove fa di tutto per incontrare il popolo dei Dayak, temibili cacciatori di teste che la colpiscono in maniera estremamente favorevole. A Sumatra si ostina a voler conoscere i Batak, che praticano il cannibalismo e fino ad allora non hanno mai consentito a nessun occidentale di entrare nel loro territorio. Poi, toccando le isole della Sonda e le Molucche, arriva in California, proprio ai tempi della corsa all’oro, quindi scende verso il l’Ecuador e il Perù. Ritorna negli Stati Uniti passando per Panama, dal Mississippi sale in Missouri e poi su fino alla regione dei Grandi Laghi e alle cascate del Niagara. E poi visita ancora Boston e New York, finché riparte per Londra, dove arriva il 21 novembre del 1854.
Ida Pfeiffer in abiti da viaggio
Questa avventura è durata tre anni e mezzo, e viene raccontata in un libro in quattro volumi, Il mio secondo viaggio intorno al mondo. Ida è ormai famosa in tutta Europa, molti le riconoscono il merito di aver “compiuto cose impensabili”, in particolare per una donna, anche se c’è come sempre qualcuno che, a mezzo stampa, la bersaglia di critiche e prese in giro. Lei non se ne fa un cruccio, e riparte nel maggio 1856, con destinazione Australia.
Passando per Londra, Berlino, Amsterdam e Rotterdam, arriva a Mauritius, dove rimane per alcuni mesi, e poi prosegue per il Madagascar, un’isola dove gli stranieri non sono molto ben visti. Ottiene comunque, forse perché è donna, il permesso di girarla anche all’interno, fino alla capitale Antananarivo, dove incontra la regina Ranavalona, ma quando nel paese scoppiano tumulti e disordini, Ida viene arrestata con l’accusa di spionaggio.
Ida ricevuta dalla regina Ranavalona
Ida deve lasciare il paese, e per raggiungere la costa impiega 53 giorni, camminando attraverso terreni paludosi, mentre è già febbricitante. Arriva nuovamente a Mauritius, da dove spera ancora di partire per l’Australia, ma le ricorrenti febbri dovute alla malaria non glielo consentono. A settembre del 1858 è costretta a tornare a Vienna, dove muore un mese dopo. Viaggio in Madagascar, resoconto del suo ultimo viaggio, viene pubblicato postumo a cura del figlio Oscar.
L’albero dei Viaggiatori – Madagascar
Durante la sua vita, questa donna straordinaria ha percorso strade mai calpestate fino ad allora da nessun europeo, non si è fermata di fronte a difficoltà che avrebbero scoraggiato molti uomini, ha descritto luoghi sconosciuti e sorprendenti, rigorosamente vietati a viaggiatori di sesso maschile (come l’harem del viceré di Tabriz), conosciuto popolazioni ritenute ostili, sempre con le sue sole forze, senza il patrocinio o la protezione di alcun uomo.
Ida Pfeiffer nel 1856
I suoi viaggi le valgono l’ammissione come membro onorario della Società Etnografica Berlinese, e della Società Geografica Francese, mentre i suoi libri allargano gli orizzonti dei contemporanei, nonostante una narrazione ancora intrisa di preconcetti colonialisti, dove c’è una netta distinzione tra i nativi “selvaggi” che ha modo d’incontrare, e i rappresentanti “civilizzati” dei governi coloniali.
Dopo la sua morte Ida viene dimenticata, praticamente cancellata dalla storia dei grandi viaggiatori, forse perché il pregiudizio nei confronti di una donna indipendente e con il gusto dell’avventura non era ancora morto (e forse non lo è nemmeno al giorno d’oggi). Solo dopo oltre un secolo qualcuno ricomincia a parlare delle sue imprese, e i suoi libri vengono ripubblicati, ma la figura di Ida Pfeiffer rimane comunque sconosciuta ai più: un destino che divide con molte altre donne di valore, spesso citate solo in qualche nota a piè di pagina.