I Sonderkommandos: le “Unità Speciali” di ebrei costrette a fare il lavoro sporco dello sterminio nazista

Agosto 1944: nel campo di stermino di Auschwitz-Birkenau si lavora senza sosta allo smaltimento dei cadaveri delle persone uccise nelle famigerate camere a gas. Quando i crematori non sono sufficienti, i corpi delle vittime vengono bruciati all’esterno, in apposite fosse.

Foto del Sonderkommando

A testimoniare questo tragico processo di morte esistono quattro fotografie, scattate di nascosto e a rischio della vita, che documentano le fasi dell’orrore, dall’inizio, quando le persone denudate sono spinte verso le “docce”, alla fine, quando i cadaveri vengono bruciati. Sono le “Foto del Sonderkommando”.

Foto del Sonderkommando

Le scatta un prigioniero greco d’origine ebrea, chiamato Alex, la cui identità non è certa. Si tratta probabilmente di Alberto Errera, un militare greco passato a combattere nella resistenza antinazista, che viene arrestato a marzo del ’44 e deportato ad Auschwitz, dove arriva l’11 di aprile.

Fa parte di un gruppo di 320 greci destinati ai lavori forzati. Ma a lui (come a migliaia di altri ebrei) spetta uno dei compiti più orrendi che si possano immaginare. E’ destinato a far parte di un Sonderkommando, una “unità speciale” composta interamente da prigionieri, che deve occuparsi del lavoro sporco del processo di sterminio.

I nazisti procedono alle esecuzioni, con l’uso riservato a loro dello Zyklon B, ma tutte le altre operazione vengono svolte dai prigionieri scelti per questo scopo: tenere tranquille le persone destinate a morire, radunate in un boschetto di betulle nei pressi dei forni crematori, raccontando loro che erano in attesa di fare una doccia, prima di rivedere la propria famiglia; portare via i corpi dalle camere a gas, tagliare i capelli delle donne, rimuovere i denti d’oro; recuperare i vestiti e cercare eventuali oggetti di valore nascosti; trasportare i cadaveri nei crematori e bruciarli, per poi raccogliere le ceneri e riversarle nelle acque della Vistola e della Sola.

Come immaginare un orrore peggiore di questo?

Le persone reclutate per i Sonderkommandos, scelte quasi sempre al loro arrivo al campo, non sanno a cosa vanno incontro, devono semplicemente obbedire perché sotto la costante minaccia di morte. L’unico modo per fuggire da quell’incarico è il suicidio, e nessuno può dire in quanti abbiano scelto quella strada. Loro sanno di essere comunque condannati: conoscono troppi segreti di quelle fabbriche di morte, segreti che il governo nazista vuole in ogni modo tenere nascosti. Sono i soli testimoni oculari dell’orrore.

Per questo i detenuti dell’unità speciale non entrano in contatto con gli altri prigionieri, non indossano la divisa a righe, dormono in baracche riservate e ricevono addirittura cibo migliore, sigarette e qualche altro genere di lusso, perché senza il loro contributo la macchina della morte non può procedere a passo spedito; le guardie naziste non possono maltrattarli, né ucciderli senza un valido motivo.

Nel 1943, a Birkeanu operano nei sonderkommandos circa 400 sventurati, ma nel 1944, quando al campo arrivano gli ebrei deportati dall’Ungheria, il loro numero arriva a 900.

E se può apparire, la loro, quasi una posizione privilegiata per quel trattamento apparentemente più “umano” rispetto agli altri detenuti, basta immaginare che poteva accadere di spostare e bruciare i resti di qualche loro familiare.

E comunque, prima o poi, anche il loro destino è quello di finire in una camera a gas: sono Geheimnisträger, portatori di segreti, e quindi ogni tre mesi circa vengono rimpiazzati da nuovi arrivati. Pochi sopravvivono alla guerra, forse meno di un centinaio tra le migliaia di persone che sono state obbligate ad assolvere questo compito.

Il lavoro orrendo e quei pochi lussi goduti hanno consegnato alla storia, nell’immediato dopoguerra, un’immagine negativa di questi sventurati, in particolare tra gli ex deportati. Primo Levi li descrive come poco meno che “collaboratori”, ma allo stesso tempo chiede una sospensione del giudizio per loro, perché in effetti, nessuno che non abbia vissuto quella tragedia, può giudicare, come scrive il poeta tedesco Gunther Anders:

“Non tu, non io! Non siamo stati costretti a questo calvario!”

Ma alcuni degli uomini dei Sonderkommandos, consapevoli più di tutti gli altri di quello che stava accadendo nei campi di sterminio, hanno sentito il dovere di lasciare qualche traccia di quell’orrore: qualcuno scrive dei resoconti e poi li sotterra in qualche angolo del lager.

Ex membri dell’unità Sonderkommando 1005 posano accanto a una macchina per frantumare ossa nel campo di concentramento di Janowska

Immagine di pubblico dominio

Tra loro c’è Zelman Gradowski, probabilmente ucciso nel 1944, che lascia una testimonianza seppellita in un angolo del crematorio di Auschwitz, dove si rivolge a chi troverà il suo scritto:

“Caro cercatore di questi appunti, ho una richiesta per te, che è, in effetti, l’obiettivo pratico per i miei scritti… che i miei giorni di inferno, che il mio domani senza speranza trovino uno scopo nel futuro. Trasmetto solo una parte di ciò che è accaduto nell’inferno di Birkenau-Auschwitz. Ti renderai conto di com’era la realtà… Da tutto questo avrai un’immagine di come è morta la nostra gente.”

Non è il solo. Nel 1980, uno studente polacco impegnato a ripulire il sito di Birkenau, trova sepolta, a 40 centimetri sottoterra, una valigetta che contiene un termos, dove sono nascosti all’interno dei fogli, quasi completamente illeggibili, ma evidentemente scritti in greco. Li ha messi lì Marcel Nadjari, un detenuto che ha fatto parte di un Sonderkommando, e le sue parole, recuperate grazie a un lavoro di imaging digitale, costituiscono una delle più agghiaccianti testimonianze dell’olocausto:

“Il crematorio è un grande edificio con un ampio camino e 15 forni. Sotto un giardino ci sono due enormi cantine. Uno è dove le persone si spogliano e l’altro è la camera della morte. La gente entra nuda e una volta che sono dentro in circa 3000, è chiusa a chiave e vengono gasati. Dopo sei o sette minuti di sofferenza muoiono”.

“Le bombole del gas venivano sempre consegnate in un veicolo della Croce Rossa tedesca con due uomini delle SS. Poi hanno fatto cadere il gas attraverso le aperture e mezz’ora dopo è iniziato il nostro lavoro. Abbiamo trascinato i corpi di quelle donne e bambini innocenti nell’ascensore, che li ha portati ai forni”.

Ingresso al Crematorio III ad Auschwitz II (Birkenau)

Immagine di Pimke via Wikipedia – licenza CC BY 2.5

Come sopportare e avere la forza di andare avanti? Lo spiega Nadjari:

“Spesso pensavo di entrare con gli altri, per porre fine a tutto questo. Ma la vendetta mi ha sempre impedito di farlo. Volevo e voglio vivere, per vendicare la morte di papà, mamma e la mia cara sorellina”.

Nadjari non si aspetta di rimanere vivo, e così, a novembre del 1944 lascia quel terribile documento composto da 13 pagine, dove annota, fra l’altro, che le ceneri di una vittima adulta pesano circa 640 grammi.

Contro le sue previsioni sopravvive Nadjari: ad Auschwitz, dove lo aspetta una morte certa (proprio per segreti di cui è a conoscenza), quando il campo viene evacuato riesce a intrufolarsi tra i prigionieri trasferiti a Mauthausen con le famigerate marce della morte. Poi lo spostano in altri due lager austriaci, fino a quando l’esercito degli Stati Uniti lo libera. Dopo la guerra si trasferisce negli Stati Uniti, dove muore nel 1971, a 53 anni. Le sue note sugli orrori di Auschwitz saranno ritrovate nove anni dopo, e rese leggibili solo nel 2017.

Alberto Errera

Immagine di pubblico dominio

Chi non ce la fa, tra gli altri, è invece Alberto Errera, il soldato greco che è probabilmente quell’Alex che ha scattato le quattro fotografie ad Auschwitz, la testimonianza visiva di quel lavoro sporco dell’olocausto.

Le prime due foto, che mostrano un ammasso di corpi destinati a essere cremati in una fossa all’aperto, sono state scattate dall’interno del crematorio, attraverso una porta.

Le altre due invece sono riprese dalla parte opposta e ritraggono, una un gruppo di donne nude pronte per inviate alle “docce”, e l’altra solo i rami di un albero.

Le immagini sono ovviamente non ben inquadrate e sfocate, perché l’operazione era estremamente rischiosa, riuscita grazie alla collaborazione di diversi prigionieri. La pellicola esce dal campo nascosta in un tubetto di dentifricio, e arriva nelle mani della resistenza polacca. Quelle foto saranno usate durante i processi per i crimini commessi ad Auschwitz, nel 1945/47.

Alberto Errera muore il 9 agosto del ’44, quando tenta la fuga mentre sta portando le ceneri delle vittime dal crematorio alla Vistola. Quando è sul fiume, Errera colpisce con una pala le due guardie naziste, poi si tuffa in acqua e nuota, nuota disperatamente cercando la salvezza.

Invece viene ripreso dopo due o tre giorni, torturato e ucciso

Forse il suo corpo, dopo essere rimasto appeso all’ingresso del campo per qualche giorno (come monito per chi avesse velleità di fuga), viene bruciato proprio da qualcuno dei suoi compagni di sventura, e quel che rimane di lui, 640 grammi di ceneri, gettato nella Vistola, un fiume trasformato in cimitero dalla follia nazista.


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