La famiglia Medici è famosa per il suo impegno in politica, la sua rete di affari in Europa e il grande interesse verso l’arte e la cultura. Proprio grazie ai collegamenti politici, i membri della famiglia riuscirono a incrementare il proprio bagaglio culturale e a esportare usi e costumi nelle corti più raffinate d’Europa.
Grazie poi al loro mecenatismo nell’arte, dettarono anche i canoni di bellezza dell’epoca. Gli uomini non portavano la barba e i capelli erano lunghi appena fino alla spalle; le donne, come durante tutte le epoche, avevano delle regole molto più rigide:
“i capelli dovevano essere biondi e lunghi, con sfumature d’oro brunito, la pelle luminosa come l’avorio, le sopracciglia color d’ebano folte nel centro, più sottili alle estremità, le ciglia né troppo lunghe, né troppo spesse, né troppo scure, gli occhi grandi, le gote rosee, la bocca piccola, le labbra coralline né troppo sottili né troppo grosse, i denti piccoli, uguali, ordinati e bianchi come l’avorio, le gengive rosse simili al rosso del raso, il collo bianco e lungo, il petto rosato, ampio e luminoso senza alcun osso in evidenza e infine le mani bianche e morbide come la bambagia”.
Alcune donne, come Simonetta Vespucci, la musa di Sandro Botticelli, possedevano già tutte queste caratteristiche grazie a madre natura; tutte le altre ricorrevano a stratagemmi e trucchetti cosmetici per poter raggiungere quei canoni. Insomma, niente di diverso dal trucco e dai ritocchini di chirurgia estetica dei nostri giorni.
Ma se i canoni di bellezza cambiavano nel tempo, e con loro anche i metodi per raggiungere quegli standard, una cosa che rimase invariata per secoli fu la questione dell’igiene personale.
Sappiamo che nell’antica Roma l’igiene personale era un affare molto serio, non solo per la salute, ma come vero e proprio rituale sociale, con l’affollamento delle terme pubbliche. Con la caduta dell’Impero Romano e l’imporsi del Cristianesimo come religione ufficiale i costumi relativi all’igiene cambiarono e si radicarono nella società nel corso del XVI secolo, durante l’ennesima epidemia di peste. L’acqua veniva vista come veicolo di malattie, credenza fomentata con le varie epidemie di peste, il solo toccare le parti intime per lavarsi era considerato impuro dalla dottrina cristiana, e i raggruppamenti di persone nude nell’acqua era considerato l’apice dell’immoralità.
Non si erano ancora raggiunti gli alti standard di sporcizia e fetore che caratterizzarono Versailles tra il XVII e il XVIII secolo, ma visti con gli occhi moderni nemmeno i raffinatissimi Medici risultavano l’emblema della pulizia e dell’igiene, nonostante i locali di Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti a Firenze dimostrano che nonostante tutto fossero abbastanza attenti all’igiene in quanto erano diffuse le sale da bagno, anche se ora molte delle decorazioni sono andate perdute.
Venivano lavate le parti del corpo a vista, dunque viso, mani e braccia una volta al giorno, mentre il resto veniva ritenuto meno importante perchè coperto dai vestiti, che andavano cambiati frequentemente per mantenere un aspetto pulito. Le eccezioni a queste regole erano i denti e i capelli, che andavano lavati regolarmente, anche se non su base quotidiana. La pulizia dei denti non era molto diversa da quella dei nostri giorni: si utilizzavano delle polveri profumate, antenate dei dentifrici, strofinate sui denti con delle pezze di lino, nelle case più povere, o da dei nettadenti che erano dei veri e propri gioielli nelle case più ricche.
Naturalmente, dobbiamo immedesimarci nella realtà del XV secolo in cui non esistevano i saponi liquidi con componenti chimici. Esistevano i saponi solidi di origine marina, prodotti principalmente a Genova e Venezia, ma erano utilizzati soltanto per il bucato, mentre per l’igiene personale si preferivano le “acque odorifere”, ovvero infusi di lavanda ed erbe aromatiche.
Al giorno d’oggi, poi, sappiamo che la pulizia è il primo passo per vivere una vita sana e serena: il solo pensiero di pulci o insetti vari ci fa scorrere un brivido lungo la schiena. All’epoca invece, ma in realtà fino a relativamente poco tempo fa se pensiamo a quando la scienza dimostrò quanto la pulizia incidesse sulla salute di ciascuno, le pulci e altri insetti erano delle costanti nella vita umana, tanto che l’atto di spulciare veniva considerato un vero e proprio atto d’amore verso il coniuge, i figli o le persone di cui ci si prendeva cura. Senza la scienza moderna che spiega il collegamento tra la sporcizia e le pulci, i nostri antenati si sbizzarrirono a trovare le cause più disparate per giustificare la presenza di questi sgraditi ospiti. Si pensava infatti che fossero gli umori del corpo a determinarne la presenza, e naturalmente la prima cosa attenzionata era il cibo. Ma ciò non esclude anche la presenza di bizzarri rimedi contro le pulci:
“Recipe per li pidocchi, e lendini del capo, e quelli spegnere, prendi della vita salvatica, che fa e ravetuschi, e ardila, e fanne cenere, e stempera con l’olio come unguento, e ugni il capo e per tutto, ove sono, e tutti morranno. Ancora per uccidere, e lendini prendi sugo di bietole, e lava con esso il capo, e tutti andar via. […] Ancora per spegnere le pulci, togli delle foglie dell’ellera, et mettine nel letto, entorno il letto, e dove saranno, e tutti si morranno”
(Per li pidocchi e lendini, Don Antonio de’ Medici, pp. 508-509)
I bagni continuarono ad esistere più per una funzione medica che igienica: i bagni termali, tutt’oggi ancora esistenti, avevano il compito di accogliere i malati di infezioni cutanee e donne potenzialmente sterili e “guarirli”. Una tradizione che veniva tramandata dall’antichità, come testimoniano le statue del dio greco Esculapio.
Quello che ignoriamo è che i Medici, oltre i loro mille talenti, furono dei veri e propri maestri della profumeria.
I profumi erano molto apprezzati nell’antichità, come dimostrano le boccette ritrovate nelle tombe, tanto da essere considerati come un completamento del corpo. La dottrina cristiana condannò l’uso dei profumi, additandoli come un vezzo che corrompeva l’anima e la distoglieva dallo scopo della vita, ovvero guadagnarsi il paradiso. Furono i Crociati che, tornati dal Medio Oriente, ripristinarono l’uso dei profumi e ne riabilitarono la fama. Com’è facile immaginare, gli spagnoli, grazie alla grande presenza di mori nel Paese, erano dei maestri della profumeria. Con la scoperta dell’America, si sviluppò l’interesse verso ingredienti nuovi ed esotici creando così nuove fragranze che rappresentavano il potere della Spagna. I Medici vennero a conoscenze degli erbari spagnoli grazie ai rapporti con i territori del Sud Italia, all’epoca sotto il dominio iberico, e grazie agli accordi con Venezia e Genova superarono anche i maestri della disciplina. Tanto era l’interesse verso i giardini e le piante che almeno un componente di ogni generazione della famiglia divenne un esperto di profumi.
I profumi potevano essere di origine animale o vegetale. Le donne preferivano i primi perché più forti, decisi e rari:
-Ambra odorifera, ovvero la secrezione intestinale del capodoglio, che popolava il mare di Giava;
-Muschio, ovvero una sostanza odorosa che si ricava dalle ghiandole periombelicali del mosco, una razza di capriolo che vive sulle montagne dell’Asia Centrale;
-Zibetto, ovvero la secrezione delle ghiandole genitali di alcune razze di mammiferi carnivori che vivono nelle regioni calde di Africa, Asia e Giava.
Essendo però molto forti come fragranze, spesso venivano mescolate con essenze di provenienza vegetale:
-Storace liquida, un balsamo che si ottiene bollendo la corteccia di un albero originario dell’Asia Minore e poi spremendola;
-Storace calamita, ottenuta mescolando i residui della corteccia sopracitata;
-Legno aloe, che come dice il nome stesso si ricava dall’aloe, pianta originaria dell’India;
-Sandalo bianco, ovvero un olio giallo e dal profumo gradevole ottenuto da una pianta parassita del Sud Est dell’India, e da quest’olio derivano anche i sandali citrini;
-Sandalo rosso, una polvere ottenuta dalle piante leguminose e che aveva la funzione di colorare i cosmetici;
-Benzoino o Belzuino, una resina balsamica che si ottiene dalla secrezione della corteccia di alcune piante dell’Estremo Oriente;
-Musco Alboreo, una pianticella che nasce sulle cortecce di alcuni alberi come la quercia, il cedro e l’abete;
-Cipperi alessandrini e odorosi, piante tipiche dell’Egitto;
-Incenso, Noci moscate, Chiodi di garofano e Rizomi degli iris.
Com’è però facile immaginare, i profumi di origine animale erano tanto rari quanto costosi, infatti solo le donne di famiglie nobili potevano permetterseli; le altre dovevano accontentarsi di fragranze provenienti dai giardini: le fragranze più amate erano rose, gelsomini e lavande.
Ma i profumi non furono solo dei vezzi corporali. Durante il XVI e il XVII secolo le piante che provenivano dal Nuovo Mondo erano fonte di grande curiosità e, intuendo le loro proprietà nutrienti, si imposero nella dieta mediterranea. Grazie a questi nuovi odori si ritenne necessario far profumare i cibi, aggiungendo fragranze e polveri odorifere. Un esempio è la ricetta dei bomboni, conservata nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze:
“Recipe zucchero fine once 16, pesto, e stacciato fine. Ambra grigia mezza oncia, muschio fine 2 dramme, e con una chiara d’uovo ben sbattuta, e più bisognando, in mortaio di bronzo si batta bene per lo spazio di quattro ore, e si faccia pasta, e come è ben unita, si faccia Bomboni. Di Spagna.”
Ma l’utilizzo dei profumi non si fermava al semplice uso quotidiano. Senza le conoscenze scientifiche odierne, le sostante odorose venivano collegate alla magia e di conseguenza usate in contesti meno chiacchierati:
Per far ingravidare: “Fa profumo a la natura, della donna, con Legno Aloè.”
Profumi alle doglie: “Recipe quattrini uno d’erbaca pesta, quattrini uno d’incenso pesto mescola detta polvere in su la brace di sopra coperta bene, e non, esalino, i detti profumi per la doglia, et è vero.”
Per far coito: “Recipe latte boccale 1, metti al fuoco un calderotto, e lascialo star caldo, e poi bollire, e quando bolle gettalo in una pentola, dove già sieno battuti sette ò otto rossi d’uovi, e dimena forte sino, che tutto sia incorporato, poi rimettasi in calderotto, e si tenga al fuoco dimenando tanto che venga à foggia di brodetto, e volendolo odorifero ò dolce sarà in albitrio dell’operante il farlo come si vuole.”
Lorenzo Magalotti, Gentiluomo di Camera di Ferdinando II e amico fidato di Cosimo III d’ Medici, fu un grande estimatore ed esperto di profumi, tanto che è grazie a lui e ai suoi scritti se conosciamo l’importanza e la raffinatezza dei profumi in età barocca. Descrisse minuziosamente l’uso dei profumi nella realtà quotidiana:
“Tralascio adesso l’odorose suppellettili dei polvigli, dei guancialetti, dei preziosi soppanni delle scrivanie, quali pelli d’ambra e quali d’ermisini imbottiti di cotone profumato con ricchi suffumigi e con polveri di fiori, le pelli d’ambra traforate surrogate di drappi da coprire i panni e all’istesse coperte da letti, l’arte di dar conce invisibili al rovescio di qualunque sorta di drappi di seta e d’oro, le lavande e gli addobbi preziosi che si danno all’ovatte, gli smalti e l’incrostature, e le v ernici odorose, onde s’inebriano per di dentro le cassette degli scrigni.”
I profumi non erano concepiti come un vezzo con cui uscire la mattina. Osservando gli oggetti quotidiani della famiglia Medici è incredibile quanti oggetti per spruzzare, esalare e diffondere le fragranze fossero presenti. Inoltre, i profumi potevano avere qualsiasi forma: liquidi, in polvere, solidi. Insomma, se nelle profumerie al giorno d’oggi vediamo una confezione particolare di un profumo, sappiamo di non aver inventato nulla di nuovo.
I profumi solidi avevano delle forme particolari, spesso di uccelli, e sprigionavano la fragranza a contatto con il calore della mano. Questo tipo di profumi ebbe un grande successo durante il XVII secolo, durante l’ennesima epidemia di peste, in quanto si pensava che il profumo fungesse da amuleto contro il contagio. I profumi solidi venivano spesso racchiusi in una “gabbia” d’oro o d’argento in modo da preservarli. Venivano usati anche per realizzare dei gioielli: la collezione della famiglia Medici presenta tantissimi orecchini, bracciali, collane, cinture e bottoni realizzati con paste odorifere. Ma non solo oggetti raffinati: venivano creati anche ciotole, tazze, rosari, galanterie d’arredo come figurine di genere, mitologiche e religiose.
I profumi in polvere, invece, venivano utilizzati in un’altra delle specialità fiorentine: la concia della pelle. Man mano che la lavorazione della pelle si raffinava sempre più, venivano scelte le fragranze in polvere più delicate ed esotiche per profumare gli indumenti, soprattutto i guanti, indumento particolarmente amato da Cosimo III de’ Medici che amava regalarli insieme ai vini e ai profumi ai suoi ospiti stranieri, e da dal duca Alessandro de’ Medici che li indossò al suo incontro galante con la sua innamorata, una Ginori, ma purtroppo gli risultarono fatali.
Ma come venivano conservati i profumi?
Le paste e le polveri odoriferi venivano conservate in preziosissimi scatolini o in oro o in argento dalle forme varie e stravaganti, oppure in cassettini di legno pregiato o di cristallo. Le polveri potevano anche essere conservati in sacchetti di stoffa che si portavano nelle tasche interne dei vestiti o all’interno dei bauli con la biancheria. Dei veri e propri antenati del potpourri e dei profumatori di armadi.
Anche i profumi liquidi venivano usati per gli ambienti, ma si conservavano negli schizzatoi, piccoli innaffiatoi che liberavano i profumi in piccole gocce nell’ambiente. Oggi lo chiameremmo spray. Gli schizzatoi più costosi erano delle forme più varie: limone, melone e anche coccodrillo. Lorenzo Magalotti ci tramanda quanto diffuso fosse l’uso degli schizzatoi:
“Con dei siringoni d’argento alla mano, e uno d’aceto, e gl’altri d’acque alterate si profumavano le tele alle finestre, l’aria; […] una sera di questi tempi in casa mia a conto di cert’acqua che era stata spruzzata per le camere […]; con ambra e con muschio per spruzzare l’aria, per annaffiare i pavimenti.”
Come già accennato in precedenza, le conoscenze mediche all’epoca erano naturalmente molto ridotte rispetto a oggi. CI si era ormai abituati alla convivenza con le pulci e altri insetti, dunque non ci si poneva il problema se fossero le pulci la vera causa di contagio in caso di peste.
L’Europa venne attraversata da numerose epidemie di peste dal Medioevo fino a circa il XVII secolo. Non si aveva la minima idea sul fatto che la mancanza di igiene e pulizia personale fosse la prima causa del contagio. Anzi, veniva sostenuta la tesi che l’acqua, allargando i pori, favorisse il contagio, dunque le già poche misure di igiene vennero abbandonate in fretta per paura. SI pensava invece che i profumi e gli odori molto forti tenessero lontana la malattia, in quanto era credenza comune che fossero gli umori corporali a determinare il contagio. Fu anche per questo motivo che divennero di gran moda i profumi solidi di cui abbiamo parlato prima. Non solo, si pensava che i profumi creassero una vera e propria protezione contro la malattia.
Così come si cercava di mascherare i lezzi maleodoranti che impestavano le città, l’urina delle tintorie, la pelle delle concerie, i macellai, gli escrementi degli animali e l’odore dei bachi da seta, allo stesso modo ci si cospargeva di profumi forti sperando di essere graziati durante l’epidemia. Questa stessa tattica era utilizzata dai medici, ma con delle accortezze in più che gli permettevano di salvarsi più degli altri: indossavano delle maschere con dei lunghi becchi che riempivano di sostanze odorose, si coprivano con dei lunghi mantelli di tela cerata e si cospargevano di aceto mani e bocca.
Con le credenze dell’epoca, è facile immaginare come i ricettari dell’epoca fossero pieni di istruzioni per preparazioni che avevano la funzione di proteggere dalla peste, che letti al giorno d’oggi fanno sorridere e anche rabbrividire per gli ingredienti scelti e i machiavellici procedimenti come ci racconta don Antonio de’ Medici: profumi da tenere in mano; olii da cospargere sul corpo; bevande da ingerire giornalmente; suffumigi per purgare l’aria; ungere i polsi, le braccia, le tempie, il petto, il collo dei piedi e i reni con olio di scorpione; ungere le narici, i polsi e le piante dei piedi con un unguento a base di cera, olio profumato e aceto; portare in bocca un grano di seme di cedro; bere un liquido di acquavite e melissa.
Anche le case dovevano essere continuamente profumate, esattamente come i corpi, e ci si affidava così ai bruciaprofumi: di chiara origine orientale, avevano la stessa forma e funzione dei turiboli delle chiese, ovvero diffondere il profumo nelle stanze. Dalle forme preziose che li rendevano anche delle suppellettili pregiate, al loro interno avevano lo spazio per contenere il carbone e il profumo solido. Alcuni esemplari, più raffinati e grandi, svolgevano anche la funzione di scaldavivande e scaldaletti.
Ma non solo l’olfatto, che Lorenzo Magalotti esaltava come il senso più importante; anche l’occhio voleva la sua parte. Il trucco a Firenze, a differenza di Versailles, all’inizio non veniva usato per perfezionare la propria bellezza, quanto piuttosto per nascondere le macchie e i segni lasciati da malattie come il vaiolo e il morbillo. Ma con il tempo aumentò la vanità delle classi più abbienti che volevano distinguersi dai contadini con la pelle arsa dal sole. Cosmetico indispensabile era la polvere di Cipro, oggi divenuta semplicemente cipria, di colore bianco e dai molteplici utilizzi: schiarire la pelle del volto e delle mani, fissare i capelli delle parrucche, “lavare” a secco i capelli.
Riguardo la moda delle capigliature, è interessante una breve parentesi sulle parrucche. Costume importato dalla Francia durante il XVII secolo, presto divennero una moda lungo tutto lo stivale. I motivi di tale moda erano i più vari: le ragazze giovani cercavano le parrucche bionde per risultare più belle e nascondere i capelli scuri, le persone avanti con l’età o con calvizie precoce le usavano per ovvia necessità. Le parrucche venivano create con capelli veri, spesso donati da ragazze in difficoltà, come la povera Fantine de I Miserabili di Victor Hugo, o venivano presi direttamente dai cadaveri e rivendute a prezzi esorbitanti, tanto che in molte famiglie le parrucche erano dei veri e propri tesori da lasciare in eredità.
Insomma, tempi che vai, profumi che trovi. Ormai per noi questi metodi di bellezza e salute non sono solo anacronistici, ma anche strani e pericolosi. Soffermandoci però sulla totale mancanza di scienza moderna, è incredibile quanto anche in questo campo la famiglia Medici si sia rivelata pioniera e mecenate di nuove tecniche di bellezza, alcune delle quali, come il profumo e la cipria, sopravvissute fino ai nostri giorni.