I primi Cristiani: adoratori di teste d’asino?

Apostoli e discepoli, dopo la morte di Gesù nel I secolo d.C, andarono in tutto l’impero romano a evangelizzare e a costruire comunità cristiane. Ma come reagirono le classi dirigenti alla formazione di questa nuova religione? I cittadini romani che si confrontavano con le prime comunità cristiane instaurate nell’impero si trovavano in uno stato di ignoranza circa le feste, gli usi e le celebrazioni dei cristiani. Così tra i ceti medio-bassi iniziarono a prendere vita e a diffondersi pregiudizi e congetture nei loro riguardi: i delitti più gravi di cui si macchiavano i cristiani, secondo il popolo, erano quelli di incesto e cannibalismo, oltre all’adorazione di una testa d’asino e all’uso di pratiche magiche.

Queste accuse provenienti dal fronte popolare le ritroviamo grazie alle testimonianze degli esponenti della classe colta pagana. Nell’Octavius, ad esempio, lo scrittore cristiano Minucio Felice riporta L’Orazione contro i cristiani di Frontone, dalla quale si apprende che: «i cristiani venerano dopo averla consacrata, una testa d’asino» e poi ancora: «un bambino cosparso di farina (…) viene ucciso orribile a dirsi ne succhiano poi il sangue». Le fonti di quest’ultima imputazione probabilmente sono da ricercarsi nella pratica eucaristica cristiana, infatti le fractio panis, così veniva definita l’Eucarestia, avveniva nelle case dei privati, in un clima di segretezza (per le persecuzioni, anche se sporadiche) e ciò permise lo sviluppo di tali maldicenze sul versante popolare.

Il graffito di Alessameno o graffito del Palatino e graffito blasfemo del Palatino è una raffigurazione, accompagnata da un’iscrizione in greco che gli archeologi interpretano come irridente nei confronti del culto del Cristianesimo. Il graffito è conservato a Roma presso l’Antiquarium del Palatino.

Lo storico Tacito invece, nelle Historiae, riconduce la pratica di adorare una testa d’asino ad una interpretazione dell’Esodo ebraico, mutuata da una tradizione storiografica greco-egizia fortemente ostile all’ebraismo, per la quale gli ebrei dopo giorni di peregrinazione nel deserto e stremati dalla sete scorsero una torma di asini selvatici che condussero Mosè in un suolo erboso attraversato da una ricca vena d’acqua; gli ebrei da quel momento venerarono l’asino, dio inviso invece agli egiziani. Questa vicenda, pur essendo legata al popolo ebraico, fu in seguito attribuita ai seguaci del cristianesimo considerato dai pagani soltanto una setta dell’ebraismo.

Da diverse fonti apprendiamo che i cristiani, alla fine del II secolo, erano perfettamente integrati nella vita sociale del tempo: frequentavano i luoghi pubblici (come il mercato, il foro, gli ostelli) commerciavano, navigavano e lavoravano senza limitazioni.

Nonostante ciò una lettera indirizzata dallo scrittore Plinio, governatore del Ponto e della Bitinia, all’imperatore Traiano, ci aiuta a gettare luce sul trattamento riservato ai cristiani durante i processi a loro carico. Nella lettera in questione Plinio chiede delucidazioni circa l’atteggiamento da tenere durante gli interrogatori ai seguaci di Cristo, e domanda all’illustre interlocutore se:

«non vi siano discriminazioni a motivo dell’età o se la tenera età debba essere trattata diversamente dall’adulta (…)»

e altre informazioni di carattere generale. Plinio spiega come si comporti allo stato attuale delle cose e passa alla descrizione del processo, affermando di chiedere tre volte agli imputati se questi siano cristiani; coloro che perseverano nel dichiararsi tali li fa uccidere, a coloro che rinnegano invece il culto cristiano vengono chiesti sacrifici con incenso e vino davanti l’immagine dell’imperatore, oltre a far maledire Gesù Cristo.

Traiano risponde alla lettera inviata dal governatore, e raccomanda di tenere un atteggiamento diverso. I cristiani non dovevano essere ricercati d’ufficio, e non è necessario dare valore alle denunce anonime, tuttavia coloro che si sospettava essere cristiani avrebbero dovuto dare prova dell’appartenenza al paganesimo con sacrifici agli dei. L’imperatore non distingueva i criminali dai cristiani poiché era certo, seguendo la mentalità comune, che questi compissero nefandezze durante i loro riti.

Questa appena descritta è la consuetudo traianea, cioè la prassi vigente da Nerone a Settimio Severo nei processi contro i cristiani. È importante specificare che questa fosse una consuetudo e non una lex, in quanto non c’era una legge che determinasse a livello giuridico un comportamento univoco da tenere contro i cristiani. La lotta al cristianesimo andò avanti per circa tre secoli, con alcuni periodi, molto limitati a livello cronologico, durante i quali si assistette a vere e proprie persecuzioni, fino al 313 d.C. quando l’imperatore Costantino con l’editto di Milano concesse la libertà religiosa e pose fine alle stesse.

Fonti usate:

G. JOSSA, Il cristianesimo antico. Dalle origini al concilio di Nicea, Carocci 2008.

P.SINISCALCO, il cammino di Cristo e l’impero romano, Laterza, Roma 1987.

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PLINIO IL GIOVANE, Epistola 10, 96.


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