I Libri Sibillini e la profezia sulla caduta dell’Impero Romano d’Occidente

Sono gli afosi giorni di fine agosto nella paludosa Ravenna, nell’anno 408 d.C.

Ormai abbandonato da quasi tutti i suoi soldati, un esausto magister militum (e fino a poco tempo prima, potentissimo reggente dell’impero d’occidente), arriva finalmente nella nuova capitale e si rifugia in una chiesa, dove dovrebbe essere al sicuro. Sa che la sua fine è vicina, non ha più l’appoggio del giovane Onorio, ma vorrebbe comunque tentare di discolparsi da quella terribile accusa di tradimento. I suoi nemici sobillano l’imperatore raccontandogli di come lui, il generale Flavio Stilicone (che tra l’altro è anche suo suocero) fosse dalla parte dei barbari germanici, Alarico in testa, e di come volesse mettere sul trono di Costantinopoli il proprio figlio Eucherio.

Flavio Stilicone – Parte del Dittico di Stilicone – Monza, Museo del Duomo

Immagine via Wikipedia – licenza CC0

Sulla veridicità di queste accuse ci sarebbe molto da discutere perché, come al solito, la narrazione varia a seconda delle fonti più o meno ostili a Stilicone. Certo è che il generale si muove in anni difficilissimi, di profonda crisi, che avrebbero richiesto capacità politico-militari maggiori delle sue, volendo escludere la malafede.

Comunque sia a Ravenna, in quel giorno d’estate, Stilicone è vittima, lui sì, di un tradimento: le guardie di Onorio si presentano nella chiesa dove il generale è rifugiato, mostrano al vescovo una missiva dell’imperatore, dove si assicura con solenne giuramento che il generale sarebbe stato mandato in carcere ma non giustiziato.
Peccato che, appena fuori dall’edificio sacro, il comandante Eracliano (che pochi anni dopo tenterà di usurpare Onorio e per questo ci rimetterà la testa) esibisca un’altra lettera:

E’ la condanna a morte di Stilicone, prontamente eseguita da Eracliano stesso

Il giovanissimo imperatore Onorio – Jean-Paul Laurens, 1880

Immagine di pubblico dominio

Non è una mossa astuta, e per giunta tutti i barbari foederati, fedeli di Stilicone, sono vittime di violente rappresaglie e non tardano a unirsi al visigoto Alarico, che di lì a due anni compie un’impresa portata a termine, fino ad allora, solo dal gallo Brenno, 800 anni prima:

Saccheggia Roma

Il sacco di Roma in un dipinto di Evariste-Vital Luminais

Immagine di pubblico dominio

C’è da dire che forse Stilicone, già da tempo, un po’ se l’immaginava come sarebbe andata a finire, tanto che nel 405 ordina la distruzione dei Libri Sibillini.

Perché il magister militum ritiene così pericolosi quei libri antichissimi, gelosamente conservati a Roma nel Tempio di Apollo Palatino? Forse ha paura che i suoi nemici ne facciano un uso politico contro di lui, come d’altronde era avvenuto in precedenza, nel corso della lunga storia dell’Urbe.

Flavio Stilicone è un uomo di potere, un romano a cui, una volta morto, viene affibbiata una paternità vandala (sulla quale non c’è certezza). Comunque sia, lui è l’uomo di fiducia di Teodosio, che gli dà in sposa la nipote prediletta, Serena.

Alla morte dell’imperatore Onorio governa in occidente, ma è troppo giovane, così Stilicone assume la funzione di reggente. A Oriente sale al trono il diciottenne Arcadio, di poco carattere, che ha al fianco il Prefetto del Pretorio Rufino.

La divisione dell’impero romano alla morte di Teodosio

Immagine di Geuiwogbil via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 3.0

Tra Rufino e Stilicone non corre buon sangue perché, a onor del vero, il magister milutum pretenderebbe di essere reggente anche di Arcadio, adducendo una presunta disposizione di Teodosio. In realtà quella di Stilicone non è – probabilmente – mera sete di potere, ma un tentativo per mantenere unito l’impero con una linea politica comune. Invece, oltre al problema della pressione sui confini, alla perdita di alcune province, alla sempre più difficile gestione dei barbari foederati e, non ultimi, i tentavi di usurpazione, le due parti dell’impero litigano fra loro per questioni di confine.

Serena ritratta col marito Stilicone e il figlio Eucherio, nel Dittico di Stilicone

Immagine di pubblico dominio

Stilicone, per rendere più stretto il suo legame con Onorio, gli fa sposare la figlia Maria e, dopo la sua morte prematura, la secondogenita Termanzia, proprio nel 408, quando ormai la sua stella sta declinando.

Negli anni della reggenza, il generale prosegue con la politica portata avanti da Teodosio, ovvero l’inclusione di barbari nell’esercito romano e il convinto sostegno al cristianesimo niceno, in lotta con le eresie ariane e soprattutto con la fede pagana, ancora tanto cara ai senatori romani. Tuttavia, lui non è un fanatico distruttore di templi, anzi, si rifiuta di abbatterli, anche per preservare la bellezza delle città romane.

E i suoi oppositori glielo rinfacciano. Forse è questo – tacitare i suoi nemici – uno dei motivi che lo inducono a bruciare i Libri Sibillini.

Ma c’è di più: pare che in quei libri fosse riportata una profezia risalente addirittura alla fondazione di Roma. Romolo, in quel famoso 21 aprile del 753 a.C. (data puramente indicativa, ovviamente), aveva visto volare sul colle Palatino dodici avvoltoi, un segno rivelatore sulla vita della città, che sarebbe stata di 12 secoli.

E visto che i popoli antichi, romani compresi, prendevano molto sul serio le profezie, ai tempi di Onorio il giorno della caduta dell’Urbe era pericolosamente vicino, calcolato intorno al 440 o 450. Per mettere la parola fine a tutte quelle illazioni, Stilicone quindi decide di bruciare i Libri Sibillini (in realtà, ancora per molti decenni a seguire si fa riferimento a quella profezia), almeno secondo quanto racconta Rutilio Claudio Namaziano, che potrebbe essere una fonte attendibile, visto che è contemporaneo di Stilicone e nel 414 è praefectus urbi. Lui è pagano, e per ciò ostile a Stilicone, ma nella sua struggente opera poetica De reditu suo, si può leggere tutta la disperazione – raccontata attraverso il viaggio da Roma verso la natia Gallia – di un nobile romano per la decadenza dell’impero, guidato da un incapace rinchiuso nel suo palazzo (lo storico Edward Gibbon definisce Onorio “l’imperatore indifferente”), con una classe senatoria avida e autoreferenziale, e una popolazione in balia di popoli barbari, che rendono insicure le strade, peraltro inagibili per l’incuria, mentre tante città sono semi-abbandonate, dopo i saccheggi subiti. Rutilio imputa tanta decadenza e l’imminente catastrofe anche alla religione cristiana, professata, a suo dire, da persone che vivono “al di fuori della luce” (riferendosi alle catacombe).

L’Imperatore Onorio nella reggia di Ravenna – John William Waterhouse

Immagine di pubblico dominio

Per Stilicone ha parole di fuoco:

“Il traditore non si accontentava di attaccare [Roma] con le armi dei Goti. Ha annientato, con i Libri Sibillini, il futuro svelato a Roma. […] Che siano sospesi i tormenti dell’infernale Nerone! Un’ombra più colpevole deve evocare le torce delle Furie. Nerone ha colpito solo un mortale. È un immortale che Stilicone ha battuto: uno ha ucciso sua madre, l’altro la madre del mondo”.

Perché dunque i Libri Sibillini erano, per i pagani, tanto importanti?

Perché raccoglievano degli oracoli, scritti in greco, enunciati in tempi antichissimi da una Sibilla, donna dotata di poteri chiaroveggenti grazie a un dio (Apollo nella fattispecie). In un percorso tortuoso, che parte dalla Sibilla Ellespontina e attraverso quella Eritrea arriva alla Sibilla Cumana, i Libri vengono offerti a uno degli ultimi re di Roma, un Tarquinio, forse Prisco o forse il Superbo.

La Sibilla Eritrea – Michelangelo

Immagine di pubblico dominio

La leggenda racconta di un’anziana donna (forse proprio una sibilla cumana) che un giorno si presenta al Re di Roma e gli offre, dietro pagamento di un’ingente somma, nove libri dove sono raccolti oracoli importantissimi per il futuro dell’Urbe. Tarquinio non si sogna nemmeno di sborsare tutti quei soldi e la donna, per tutta risposta, ne brucia tre e pretende la stessa somma per i restanti sei. Al nuovo rifiuto, altri tre libri vanno in fumo, e la testarda vecchietta continua a chiedere tutti quei soldi. Tarquinio comincia ad avere qualche dubbio e, per mettersi dalla parte del sicuro, chiede consiglio agli Auguri, che si disperano per la distruzione dei sei libri e convincono il Re a comprare almeno i tre rimasti, poi messi al sicuro nei sotterranei del tempio di Giove Capitolino.

Tarquinio rifiuta di acquistare i Libri Sibillini

Immagine di pubblico dominio

I libri Sibillini – tenuti sotto stretto controllo dal Senato romano attraverso dei funzionari (da due passarono a dieci e poi a quindici) responsabili della loro cura e del mantenimento dei loro segreti – non contenevano però profezie, ovvero non prevedevano eventi futuri, ma venivano consultati quando si manifestavano presagi sfavorevoli e spaventosi (eventi come pestilenze, terremoti, “una pioggia di pietre” ecc.), per sapere a quale divinità chiedere aiuto e con quali riti. In questo modo entrano nel pantheon romano diverse nuove divinità provenienti dalla Grecia e dell’Asia Minore, si costruiscono templi a loro dedicati, oppure si prelevano le loro statue dai luoghi di culto originali, o semplicemente si pregano collettivamente in pubblico.

Qualche volta gli interpreti degli oracoli si spingono un po’ oltre, come quando fanno seppellire vivi due Galli e due Greci, dopo la disfatta di Canne ad opera di Annibale.

Il potere dei Libri Sibillini è dunque enorme e pericoloso, la segretezza del loro contenuto è questione di vitale importanza per lo stato, tanto che uno dei custodi viene messo a morte (con la pena riservata ai parricidi) per averne fatto una copia.

L’uso politico degli oracoli diventa evidente nella tarda età repubblicana quando, ad esempio, viene chiesta l’espulsione del console Cornelio Cinna (87 a.C.), oppure quando Cornelio Lentulo partecipa alla congiura di Catilina, adducendo la predizione sul terzo membro dei Cornelii (ovvero lui stesso) destinato a governare Roma; e ancora quando l’oracolo dice che la Partia sarebbe stata conquistata solo da un re, proprio alla viglia della campagna di Giulio Cesare, che accetta il titolo, ma solo in riferimento ai territori conquistati. E più avanti, Ottaviano Augusto ordina la consultazione dei Libri per dimostrare che la cosiddetta età dell’oro, da tempo attesa dai romani, era cominciata l’anno 17 a.C, giusto dieci anni dopo la sua ascesa al trono.

In età imperiale il ricorso ai Libri va gradualmente a scemare, e sono ritenuti poco affidabili i resoconti riportati nella Historia Augusta (notoriamente fonte di falsità), ma sembra quasi certa la consultazione di Massenzio alla viglia della battaglia di Ponte Milvio contro Costantino, nel 312 d.C. Il responso era, appunto, sibillino:

Quel giorno sarebbe morto il nemico dei romani

Comunque, quando Stilicone brucia i libri, vanno in fumo delle copie, che nel tempo erano state ampliate e rimaneggiate. Gli originali erano bruciati nell’incendio dell’83 d.C, durante la guerra civile, e quindi sostituiti con una raccolta di oracoli recuperati in giro, dall’Africa alla Sicilia, dall’Anatolia alla Grecia. Vengono confiscati anche libri fino ad allora in mano di privati, non più autorizzati a detenerli, e quelli ritenuti falsi (circa 2000) finiscono bruciati.

Augusto ordine una revisione degli oracoli (teme delle falsificazioni) e ne fa fare una copia, poi fa conservare i Libri nel Tempio di Apollo Palatino. Anche le nuove copie sono scritte in greco (a testimonianza dell’importanza della cultura greca nel mondo romano), tanto che alla consultazione dei libri presenziavano sempre anche due interpreti.

I Libri Sibillini, espressione della religione pagana, sono d’ispirazione anche per le fedi giudaico-cristiane (rielaborati negli Oracoli Sibillini), tanto che addirittura Agostino d’Ippona ravvisa in essi la profezia sulla venuta di “Gesù Cristo figlio di Dio, salvatore”.

Purtroppo i libri non sono sopravvissuti, se non in frammenti dalla dubbia autenticità, e quindi nessuno può verificare se, come testimoniato da Cicerone (che aveva il permesso di consultarli), le iniziali dei versi formassero degli acrostici, uno dei quali è proprio quello citato da Sant’Agostino.

Battaglia di Ravenna: Romolo Augusto cede la corona ad Odoacre

Immagine di pubblico dominio

Oggi, non possiamo fare altro che notare la straordinaria corrispondenza tra la profezia sui 12 avvoltoi avvistati da Romolo e l’anno della caduta dell’impero romano d’occidente, il 476, avvenuta appunto 12 secoli dopo, quando sul trono sedeva, guarda caso, un imperatore chiamato Romolo (Augusto)…

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.