I Gatti in Giappone: fra Amore e mostri del Folklore tradizionale

Ti piacciono di più i gatti o i cani? Era questa la domanda che ci facevamo da bambini per capire se un compagno di classe poteva entrare nel nostro gruppo di giochi, o scartarlo per sempre. Ma la verità è che anche una volta diventati adulti c’è chi continua ad avere una preferenza verso l’uno o l’altro. I giapponesi in generale amano molto i cani, ma è per il gatto che nutrono da sempre un amore particolare. Se ne servono abbondantemente anche nella cultura pop contemporanea: basti pensare a Doraemon, il gatto robot venuto dal futuro per aiutare un bambino pasticcione, Nobita, a diventare più intraprendente; oppure il gatto dal fiocco rosa più famoso di tutti i tempi, Hello Kitty. È dal Giappone inoltre, e non dalla Cina come in molti pensano, che arrivano i “Maneki-Neko”, ovvero dei porta fortuna a forma di gatto raffigurato seduto sulle zampe posteriori e con quelle anteriori (a volte le destra, a volte la sinistra) che si muovono avanti e indietro come a salutare chi vi è davanti. Lo potete vedere anche voi in Italia in molti ristoranti cinesi, magari posto vicino alla cassa che vi invita ad entrare e a farvi una bella scorpacciata.

Ma sappiamo anche che il Giappone è uno dei paesi con le cose più strambe in assoluto, ed è appunto qui nel Sol Levante, in particolare nella prefettura di Wakayama, che il ruolo di capostazione della stazione di Kishi è stato ricoperto dal 2007 fino alla morte avvenuta nel 2015 da una gatta di nome Tama. La gatta salvò la stazione sull’orlo del fallimento, facendola diventare un’attrazione turistica con tanto di edificio munito di orecchie a forma di gatto che spuntano dal tetto e un treno decorato con l’immagine della gatta-capostazione.

Storicamente il gatto in Giappone ha origini molto antiche, si pensa che sia arrivato dalla Cina insieme al Buddhismo nel VI secolo d.C. Infatti per difendere le numerose sacre scritture dalla ferocia dei topi, i giapponesi si servirono proprio dei gatti. L’imperatore giapponese Uda (governo 887-897d.c) scrisse sul suo diario di avere un gatto di colore nero, dandoci la prima testimonianza scritta della presenza di un gatto a corte. Col Buddhismo inoltre cominciano anche ad affiorare le prima leggende. Una particolarmente nota è quella che vuole il gatto insofferente alla morte del Buddha a differenza di tutti gli altri animali che piansero la sua scomparsa. Alcuni dicono che la ragione per cui il gatto non pianse è perché nella sua saggezza sapeva già dell’immortalità del Buddha e quindi non c’era alcun motivo di piangerlo. Altri invece spiegano l’avvenimento imputando al gatto un animo malvagio. Ed è qui che entrano in scena le leggende sugli Yokai, ovvero creature mitologiche, fantasmi, apparizioni e demoni del folklore giapponese di cui anche per i gatti è presente una categoria.

Cominciamo dal “Bakeneko”, ovvero letteralmente mostro-gatto, molto più grosso dei gatti normali, che diventa tale una volta raggiunta un’età avanzata. Ha il potere di creare sfere di fuoco, di camminare su due zampe e anche di trasformarsi in un umano, mantenendo però dei tratti felini. Un aspetto molto interessante vuole all’origine dei Bakeneko degli episodi storici realmente accaduti, si tratta di gatti così affamati da trovarsi a leccare le lampade ad olio usate per fare luce. L’olio a quei tempi era ricavato dalle sardine che richiamava l’appetito di gatti randagi. Così la figura di un gatto di notte, con gli occhi incendiati della luce della lampada, potrebbe aver alimentato la credenza in questi racconti.

“Ume no Haru Gojūsantsugi” (梅初春五十三駅) di Utagawa Kuniyoshi:

Le leggende metropolitane con protagonista i Bakeneko sono numerose, qui ne voglio raccontare una: una volta un vecchio gatto appartenuto ad un uomo di nome Takasu Genbei scomparse in circostanza misteriose. Coincidenza vuole che proprio nello stesso periodo la madre di Takasu cominciò ad avere un atteggiamento molto strano. La donna infatti era sempre più scontrosa e passava la maggior parte del tempo da sola chiusa nella sua camera. Così Takasu e gli altri familiari preoccupati decisero di spiarla per vedere cosa faceva tutto il tempo in camera sua, e quello che videro fu raccapricciante. Da sola in camera non c’era la madre, ma un mostro-gatto intento a mangiare una carcassa di un animale. Così Takasu decise di raccogliere tutto il suo coraggio e uccidere la creatura. Egli riuscì nell’impresa e passato un giorno il mostro riprese le sembianze del vecchio gatto domestico che era scomparso tempo prima. La cosa agghiacciante è che trovarono sotto il tatami le ossa spolpate della madre che era stata evidentemente mangiata dal mostro.

“Il Bakeneko della famiglia Sasakibara” (榊原家の化け猫) da Buson Yōkai Emaki di Yosa Buson:

Un’altra figura simile al Bakeneko è quella del Nekomata: anche questo si nutre di essere umani ed è spesso un gatto domestico diventato anziano. I Nekomata possono assumere le sembianze di umani per ingannare la preda e mangiarla, e siccome le prede siamo noi umani vi dico che per distinguerlo dai gatti normali è utile guardare la coda: i Nekomata ne hanno due, motivo per cui fino al XVII secolo in Giappone si usò tagliare la coda ai gatti per impedir loro di trasformarsi in Nekomata.

Un altro yokai legato alla figura del gatto è il così detto Kasha, che vorrebbe dire letteralmente carro in fiamme (giap. 火車). A volte è descritto come un demone che trasporta le anime dei dannati su un carro infuocato diretto all’inferno, altre invece come un entità che ruba dai cimiteri i cadaveri di persone che in vita sono stati peccatori per nutrirsene o usarli per i propri scopi malvagi.

Come fare quindi per evitare che il cadavere venga portato via dal crudele Kasha?

Il metodo cambia da zona a zona: per esempio a Yawatahama nella prefettura di Ehime si usava lasciare un rasoio sulla tomba, mentre invece nella prefettura di Yamanashi si usava fare due funerali, uno mettendo dei sassi nella bara per eludere il famigerato yokai, e il secondo, il vero funerale, con il vero cadavere posto nella bara.

Ma ora lasciamoci alle spalle le storie spaventose dei gatti yokai ed avventuriamoci in un tempio scintoista, situato a Kyōtango nella prefettura di Kyoto. Il tempio si chiama Kotohira-jinja ed è l’unico tempio in tutto il Giappone che come guardiani all’ingresso si serve di statue di gatti al posto dei più comuni cani. I gatti guardiani si chiamano Komaneko e sono una particolarità che vanno a sostituire i ben più noti Komainu che sono appunto dei cani-leoni che troviamo all’entrata dei templi e che hanno il compito di proteggerlo. Come mai solo al Kotohira-jinja troviamo dei gatti allora? Questo perché gli abitanti della città hanno voluto esprimere la loro gratitudine nei confronti dei gatti che cacciavano i topi i quali altrimenti avrebbero mangiato i bachi da seta preziosissimi per l’economia della città. I turisti che visitano il tempio possono partecipare a un laboratorio che permette loro di colorare il proprio personale gatto-guardiano e portarselo a casa come ricordo.

Come ultima riflessione sull’importanza dei gatti in Giappone vorrei presentarvi anche i famosi “Neko Cafè” di cui sicuramente tanti hanno sentito parlare. Neko è la parola giapponese che sta per “gatto” e si tratta di cafè dove i clienti, sorseggiando una tazza di cappuccino caldo, possono al contempo ammirare la bellezza di questi felini che si aggirano per il locale indisturbati o invidiare la rilassatezza con cui schiacciano un pisolino negli angoli più scomodi e impensabili del locale. L’idea non nasce in Giappone, ma ben si in Taiwan a Taipei dove nel 1998 sorge il primo cafè, per trovarli anche in Giappone dobbiamo aspettare il 2004. Ora sono dappertutto e sono molto frequentati, anche per gli effetti positivi che secondo alcuni studi darebbe il gesto di accarezzare un gatto, avrebbe infatti dei benefici sullo stress e sull’ansia di cui i giapponesi soffrono moltissimo. Nei Neko caffè però ci sono anche dei divieti volti a garantire il benessere degli animali: per esempio ai clienti è vietato disturbare i gatti mentre dormono, o usare il flash per le foto, e prima di accarezzarli ci si deve lavare le mani. Il locale a sua volta si impegna affinché tutti i gatti siano vaccinati e in salute.

Nekokaigi, un piccolo neko café a Kyoto. Fotografia di sprklg condivisa con licenza Creative Commons 2.0 via Wikipedia:

L’idea dei Neko cafè è stata esportata in tutto il mondo, e se siete curiosi di vederne uno dal vivo lo troverete a Torino, Milano, Vicenza e in tante altre città d’Italia.

E a voi? Piacciono di più i gatti o i cani?

Manuela Amato

Laureata in giapponese vivo ora a Tokyo. Sono appassionata di Giappone e storia. Nel tempo libero faccio video su YouTube e mi dedico alla scrittura. Sono sempre impegnata nella costruzione del mio destino.