«Se vuole scrivere romanzi, una donna deve avere soldi e una stanza per sé», diceva Virginia Woolf in un saggio del 1928.
E lei, in quanto artista, femminista e donna anticonvenzionale, una stanza tutta per sé ce l’aveva. Chiudeva la porta, prendeva carta e penna e realizzava i suoi capolavori. Ce l’aveva anche il 28 marzo del 1941, quando, però, non le bastava più. Si trovava alla Monk’s House, la sua casa di campagna nel Sussex, e la Seconda guerra mondiale imperversava in tutta Europa.

La depressione era tornata più forte che mai e non era pronta a rivivere quel vortice di ansie e paure che la accompagnava fin da bambina. Abbandonò la sua stanza tutta per sé e lasciò due lettere, una al marito Leonard e una alla sorella Vanessa; poi indossò un cappotto, riempì le tasche con dei sassi e si incamminò verso il fiume Ouse.

L’infanzia fra Londra e Talland House
Adeline Virginia Stephen nasce a Londra il 25 gennaio del 1882, da Leslie Stephen e Julia Jackson. La sua è una famiglia allargata e, oltre ai fratelli di sangue, Vanessa, Thoby ed Adrian, ci sono i fratellastri George, Stella e Gerald da parte di Julia, e la sorellastra Laura da parte di Leslie, tutti figli di primo letto dei genitori, rimasti vedovi e convolati a nozze nel 1878.

Gli Stephen abitano al numero 22 di Hyde Park Gate e nel loro salotto hanno spesso ospiti illustri come il romanziere Henry James e il poeta Thomas Hardy. Leslie è uno stimato umanista e fa sì che tutti i suoi figli vivano in un ambiente stimolante.

Virginia è una bambina molto curiosa e inizia a scrivere da giovanissima. A nove anni fonda una sorta di giornalino domestico, l’Hyde Park Gate News, e insieme ai suoi fratelli realizza articoli scherzosi su ciò che accade in casa.

I ricordi infantili più belli, però, li colleziona in Cornovaglia, dove gli Stephen trascorrono le estati nella Talland House. C’è la quiete, la spiaggia e il faro di Godrevy Point, che anni dopo le ispirerà il romanzo To the Lighthouse.

Secondo le usanze dell’epoca vittoriana, solo i maschi hanno il diritto di frequentare la scuola e la piccola Virginia deve accontentarsi di ricevere lezioni private, ma, in compenso, il padre ne appoggia la propensione letteraria dandole libero accesso alla sua immensa biblioteca.

I lutti e il tentato suicidio
L’idillio giovanile lascia il posto alle turbe psichiche nel 1895, quando a 13 anni Virginia perde sua madre per una febbre reumatica e ha un esaurimento nervoso. In estate, suo padre non ce la fa a recarsi nella Talland House senza la moglie e vende il cottage.

Il 22 di Hyde Park Gate perde la sua aria festosa e Virginia smette di scrivere articoli per il giornalino domestico. Il mondo in cui è cresciuta le si è sgretolato fra le mani, ma non sa che la attendono ancora altri eventi traumatici.

Nel 1897, la sorellastra Stella si sposa e muore di peritonite durante la luna di miele. La ragazza aveva solo 28 anni, e Virginia ricomincia la sua discesa negli inferi. Il 22 febbraio del 1904 è il turno del padre, Leslie, che si spegne per le conseguenze di un cancro e scatena il secondo esaurimento nervoso della figlia.

La ventiduenne Virgilia è troppo fragile per restare a Londra; ha bisogno di allontanarsi da quelle mura impregnate di lutti e ad aprile parte per un viaggio fra Italia e Francia, ma le sue condizioni non migliorano, anzi, precipitano, e a maggio tenta il suicidio.

Il gruppo di Bloomsbury e la beffa della Dreadnought
Trascorre qualche mese in una clinica e nella seconda metà dell’anno, lei, Vanessa, Adrian e Thoby si trasferiscono a Bloomsbury, un quartiere bohemien di Londra. L’abbandono del 22 di Hyde Park Gate offre ai fratelli Stephen la possibilità di vivere in un ambiente più libertino, dove argomenti come la parità di genere, i diritti delle donne e l’omosessualità sono all’ordine del giorno.

Non mancano i dibattiti letterari, politici e sociali, e grazie alle frequenti visite degli amici di Thoby del Trinity College, nasce il cosiddetto gruppo di Bloomsbury, una cerchia di intellettuali che si riunisce in casa dei giovani Stephen. In uno di questi incontri, Virginia conosce anche il suo futuro marito Leonard Woolf.

Nel 1905, la sua salute mentale è stabile e inizia la sua carriera giornalistica con degli articoli per il The Times Literary Supplement, ma nel 1906 Thoby muore per una febbre tifoidea e Vanessa accetta la proposta di matrimonio di Clive Bell, un critico d’arte e membro del gruppo di Bloomsbury.
Il lutto per Thoby e la perdita di un punto di riferimento come Vanessa le costano una nuova depressione

Trova rifugio nella scrittura, inizia la stesura del romanzo La crociera e, nel 1910, prende parte alla cosiddetta beffa della Dreadnought. L’idea dello scherzo è del poeta Horace de Vere Cole, che recluta cinque persone, di cui tre sono membri del gruppo di Bloomsbury- Virginia, suo fratello Adrian e il pittore Duncan Grant – per vestire i panni di una delegazione abissina e prendersi gioco della marina britannica.

Il piano è semplice. Cole inoltra al capitano della corazzata di guerra HMS Dreadnought, ormeggiata a Portland, un finto telegramma in cui annuncia una visita imminente dell’imperatore dell’Abissinia e del suo entourage. Il 7 febbraio, i partecipanti si anneriscono la pelle con del trucco, vestono degli abiti orientali e indossano barbe e baffi finti, poi si fanno venire a prendere alla stazione e salgono sulla nave, dove trascorrono un’intera giornata senza che nessuno sospetti niente.

La verità viene a galla nel giro di una settimana, con Cole stesso che racconta la storia ai giornali e denuncia il suo scherzo alla Camera dei Lord, ma le autorità decidono di non punire il gesto per non ingigantire la figuraccia fatta sulla Dreadnought.

Il matrimonio e il secondo tentato suicidio
Tralasciando questo curioso aneddoto della sua biografia, la vita di Virginia prosegue fra alti e bassi, e nel 1911 incontra di nuovo Leonard Woolf, di ritorno da un incarico governativo nelle colonie, che la corteggia e, l’11 gennaio del 1912, le propone di sposarlo. Le sue insicurezze la frenano dal dargli subito una risposta e, addirittura, ha un crollo emotivo che rende necessario l’ennesimo soggiorno in clinica.
Alla fine, accetta e, il 10 agosto, lei e Leonard diventano marito e moglie

I demoni interiori di Virginia tornano alla carica fra il 1913 e il 1915 e la fanno ricadere nel baratro della depressione. Ha paura che la sorella Vanessa la disprezzi, che Leonard si sia già stancato e voglia abbandonarla, che la sua scrittura non valga niente. A questi timori infondati si aggiungono le ombre del passato, la morte dei genitori e la perdita dell’amata casa in Cornovaglia su tutte, e il 9 settembre del 1913 tenta il suicidio ingerendo cento grammi di barbiturici.

Il male che la accompagna è tanto invisibile quanto meschino. Il suo umore passa dalla felicità alla tristezza in un niente, la solitudine la terrorizza, emicranie e insonnia la perseguitano, sente le voci e ha le allucinazioni.
Una volta dirà di aver visto degli uccelli cantare in greco

Il quadro clinico di Virginia Woolf
Nemmeno l’arte le dà sollievo, o, almeno, non come vorrebbe. La colpa è del medico di famiglia degli Stephen, il dottor Seton, che, interpellato da Leslie dopo la morte di Julia, visita la piccola Virginia e le sconsiglia di continuare a leggere e scrivere.

Secondo lui, sono pratiche deleterie per la psiche della paziente e anche il dottor Savage, che la avrà in cura ai tempi del primo tentato suicidio, punterà il dito contro la sua educazione troppo umanistica per gli standard femminili dell’epoca. Il risultato è che quando è impegnata nella produzione di un romanzo, di un saggio o di un articolo, la povera Virginia Woolf si sente a disagio.
Ma, allora, di cosa soffriva?

Sappiamo che le diagnosi di Seton e Savage sono errate, perché, in realtà, ogni nuovo impegno letterario le dà un sollievo momentaneo, e la depressione torna solo quando smette di scrivere.

Nessun medico che l’ha avuta in cura è riuscito a capire il suo quadro clinico, e oggi è opinione condivisa che Virginia abbia sofferto di un grave disturbo bipolare, forse aggravato da presunti abusi sessuali dei fratellastri George e Gerald, i figli di primo letto della madre. Ne fa menzione in due saggi autobiografici, dove descrive i fatti capitati a lei e a Vanessa come delle “tastate inappropriate”, ma su questo argomento i biografi della Woolf ancora dibattono.

Un ultimo aspetto da prendere in considerazione è il fattore ereditario. Pare che anche Leslie soffrisse di attacchi d’ansia, insonnia e irritabilità, in forma minore rispetto alla figlia, ed è probabile che le paranoie maniaco-depressive di Virginia siano state il frutto di un misto fra il corredo genetico del padre e gli eventi traumatici dell’infanzia.

I successi letterari
Dopo il tentato suicidio, Leonard la incoraggia a continuare la stesura del suo primo romanzo, che vede la luce nel 1915. Ne La crociera, Virginia mostra in forma primitiva quelli che diventeranno i tratti distintivi delle sue opere successive.

Come James Joyce, cerca di rompere il romanzo tradizionale e di annullare la scansione cronologica degli eventi in favore del flusso di coscienza dei personaggi. Ci sono anche accenni alla parità dei sessi, ai diritti delle donne e alla libertà intellettuale, tutti elementi che, portati a compimento, la consacreranno come scrittrice di riferimento dell’avanguardia modernista e del movimento femminista.

Nella speranza di tenera a bada la depressione della moglie, nel 1917, Leonard fonda la Hogarth Press, una casa editrice da gestire con Virginia. La coppia prosegue gli intenti letterari della Woolf e mette in catalogo solo opere di autori che adottano punti di vista non convenzionali, come, ad esempio, il futuro premio Nobel Thomas Stearns Eliot.

Nel 1919, Leonard acquista una casa di campagna nel Sussex, la Monk’s House, e Virginia gode di sprazzi di felicità ospitando salotti letterari, facendo escursioni nella natura e gite in bicicletta. Nel 1922, conosce la poetessa Vita Sackville-West e, dal 1925 al 1928, le due donne, entrambe sposate ma non intenzionate a lasciare i mariti, hanno una relazione che, una volta conclusa, si trasforma in una sincera amicizia.

Vita la aiuta a prendere più consapevolezza di sé stessa, sia come scrittrice sia come donna, e, nel 1925, esce La signora Dalloway, in cui Virginia completa l’evoluzione stilistica del suo flusso di coscienza che le frutta il plauso di pubblico e critica. Il 5 maggio del 1927, invece, nel 32° anniversario della morte della madre, arriva in libreria Al faro, ispirato ai paesaggi e alle atmosfere delle sue estati spensierate alla Talland House.

La fine della relazione con Vita coincide con la pubblicazione di Orlando, un romanzo sperimentale in cui la Woolf ritrae l’amante nei panni di un uomo che si trasforma in donna e attraversa ben tre secoli di storia, dall’età elisabettiana all’epoca vittoriana.

La depressione, l’ombra del nazismo e la morte
Gli attacchi di depressione ci sono ancora, non l’hanno certo abbandonata, ma, se gli anni ’20 sono stati clementi, quelli ’30 fanno da preambolo al tragico epilogo della sua esistenza.

Nel 1934, rimane turbata dalla morte del pittore Roger Fry, suo amico di vecchia data e membro del gruppo di Bloomsbury, e di suo nipote Julian Bell, il figlio di Vanessa impegnato sui campi di battaglia della Guerra civile spagnola. Cerca conforto nel lavoro, ma la sua biografia su Fry viene accolta con freddezza e l’inizio della Seconda guerra mondiale getta l’Inghilterra nel caos.

Nel settembre del 1940, un bombardamento della Luftwaffe danneggia la casa londinese dei Woolf e la coppia si stabilisce in pianta stabile alla Monk’s House, dove Virginia completa Between the Acts, il suo ultimo romanzo che, purtroppo, uscirà postumo.

L’ombra del nazismo si aggiunge alle sue paure e, insieme a Leonard, decide che, in caso di invasione dei tedeschi, entrambi si suicideranno per sottrarsi all’arresto. Il marito è ebreo, lei una scrittrice tanto famosa quanto scomoda. Non può saperlo, ma nel progettare l’utopica occupazione della Gran Bretagna, Hitler l’ha addirittura inserita in una lista di proscrizione con intellettuali influenti del calibro di H. G. Wells e Aldous Huxley. In sostanza, dal punto di vista dei Woolf, la morte è più dignitosa della prigionia o di chissà quali altre atrocità.

Intanto la guerra va avanti e gli orrori del fronte hanno delle ripercussioni che risvegliano tutti i suoi demoni interiori. Ansia, depressione, emicranie ed allucinazioni tornano insieme all’insonnia e a un inspiegabile disagio esistenziale. Virginia psicologicamente è in un vicolo cieco: non riesce a domare la sua malattia mentale.
Una mattina si arrende e si suicida nel fiume Ouse, con tante pietre nelle tasche e tanti demoni nella sua mente

Quel giorno Leonard non è in casa e quando torna, vede due lettere. Una è per lui.
“Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E stavolta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. […] Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. […] Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. […] Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere felici più di quanto lo siamo stati noi“.

In quell’addio c’è tutta l’essenza di sua moglie: una donna fragile e insicura, ma capace di grandi sentimenti. È il 28 marzo del 1941 e Leonard Woolf ha fra le mani l’ultimo flusso di coscienza della grande Virginia Woolf. L’uomo sopravvivrà alla moglie per altri 28 anni, avrà una tormentata relazione con Trekkie Parsons e otterrà numerosi riconoscimenti, ricostruendosi una vita al di là dei demoni di Virginia.
Fonti:
Virginia Woolf, una scrittrice tormentata – Storica National Geographic
Virginia Woolf – Enciclopedia Britannica
Virginia Woolf – Wikipedia tedesco
Virginia Woolf – Wikipedia inglese