I Colossi di Memnone: le statue che “cantavano” all’Alba

Due enormi statue di pietra dall’aspetto abbastanza inquietante osservano da millenni il lento scorrere del grande fiume, il Nilo, con lo sguardo rivolto verso il sole nascente.
Sono i Colossi di Memnone, che si ergono sulla riva occidentale del Nilo, di fronte all’odierna Luxor.

Le statue gemelle raffigurano il faraone Amenhotep III, che regnò in Egitto circa 3.400 anni fa. Il sovrano è raffigurato in posizione seduta, con le mani appoggiate sulle ginocchia e lo sguardo rivolto ad est, in direzione del fiume sacro agli Egizi. Le statue, all’epoca della loro costruzione, erano poste a guardia del Tempio di Milioni di Anni, un’edificio sacro che ogni faraone del Nuovo Regno dedicava a se stesso per affermare la propria natura divina. I colossi di Memnone si trovavano all’ingresso del gigantesco luogo di culto e complesso funerario costruito da Amenhotep III mentre era ancora in vita. Il sovrano fece costruire il tempio più grande e ricco dell’intero Egitto – 35 ettari di superficie – tanto che nemmeno in seguito altri sovrani come Ramesse II e Ramesse III riuscirono ad eguagliare tanta opulenza.

Sotto, i colossi di Memnone, fotografia di MusikAnimal condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia:

Oggi purtroppo, oltre ai Colossi, non rimane praticamente nulla del tempio, perché sorgeva proprio a ridosso della pianura alluvionale del Nilo, che con le sue esondazioni annuali gradualmente ne corrose le fondamenta. L’enorme complesso era già in stato di degrado quando in Egitto ancora regnavano i faraoni, che probabilmente utilizzarono per altre costruzioni i blocchi di pietra del tempio. Solo le due grandi statue furono risparmiate, malgrado fossero in grave stato di conservazione.

I Colossi di Memnone in una fotografia del 19° secolo.

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Una poetica leggenda è legata ad una delle statue: nel 27 a.C. un terremoto causò la parziale distruzione di uno dei Colossi: la parte superiore crollò, mentre quella inferiore riportò delle crepe. Dopo la rottura, si cominciò ad udire una strana musica proveniente dalla metà inferiore della statua, solitamente all’alba.

Fin dall’antichità, viaggiatori greci e romani si recavano sul luogo per sentire la prodigiosa musica; furono proprio i greci a battezzare i colossi col nome di Memnone, un re etiope che combatté coraggiosamente a difesa di Troia, morendo infine per mano di Achille. L’eroe era figlio di Eos, la dea dell’alba, che dopo la sua morte piangeva, ogni mattina, lacrime di rugiada. Il suono prodotto dalla statua fu interpretato come un saluto del re morto alla madre.

Probabilmente il fenomeno era causato dall’aumento della temperatura che, facendo evaporare la rugiada, produceva un suono simile ad una ‘musica’

Gli antichi viaggiatori non potevano sapere che le statue rappresentavano un faraone morto da oltre tremila anni, e pensarono che fossero dedicate al mitico eroe. Il primo riferimento alla statua che cantava venne fatto dallo storico e geografo greco Strabone, che affermò di avere udito la musica durante un viaggio effettuato nel 20 aC. Altri viaggiatori, come il greco Pausania e i romani Tacito e Giovenale, descrissero il fenomeno, tanto che alla statua furono attribuiti poteri oracolari. La fama raggiunta dal Colosso portò un flusso costante di visitatori, compresi diversi imperatori romani. Ancora oggi sono leggibili circa 90 iscrizioni di persone che nell’antichità avevano sentito il suono emesso dalla statua.

Dettaglio del pannello laterale che mostra due immagini in rilievo affiancate della divinità Hapi e, a destra, una scultura della moglie reale Tiye. Fotografia di MusikAnimal condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia:

L’ultima menzione del “canto” risale al 196 dC. Poco tempo dopo, forse intorno al 199, la statua fu restaurata, pare per ordine dell’imperatore Settimio Severo, che voleva ingraziarsi l’oracolo, ma la musica cessò per sempre.

Oggi, una moderna strada corre lungo le rovine dall’antico tempio, a pochi passi dalle statue di Amenhotep III, che certo non poteva prevedere di essere declassato da “dio in terra” ad attrazione turistica.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.