I Clisteri di Fumo: la Bizzarra Tecnica di Rianimazione del XVIII Secolo

Il fumo, quello di sigaretta, o più genericamente di tabacco (sigari, pipa etc.) è oggi riconosciuto come estremamente dannoso per la salute, ma fino a qualche secolo fa venne usato, anche se in maniera “alternativa”, nelle tecniche di rianimazione per persone in fin di vita, in particolare per le vittime da annegamento.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Alla fine del 1700 i clisteri di tabacco si diffusero in tutta Europa, in particolare a Londra, dove divennero oggetto di una pratica medica consueta, tanto che lungo il fiume Tamigi, ed altri importanti corsi d’acqua, era permanentemente appesa l’apparecchiatura utilizzata per la complicata procedura. Tutti coloro che usavano le vie navigabili erano tenuti a conoscere le posizioni di queste attrezzature “salvavita”, una sorta di defibrillatori ante-litteram. Anche a Venezia la strumentazione necessaria doveva essere distribuita nei luoghi che all’epoca funzionavano come punti di primo soccorso (chiese, spezierie…).

Il fumo veniva soffiato dal medico su per il retto attraverso un mantice e una cannula, anche se talvolta, volendo arrivare direttamente ai polmoni dalla via più breve, veniva insufflato attraverso il naso e la bocca. La maggior parte dei medici dell’epoca riteneva comunque che la via rettale fosse la più efficace. La nicotina contenuta nel tabacco era considerata un potente stimolante per il cuore, capace di provocare un aumento del battito che di conseguenza avrebbe favorito la ripresa della respirazione. Si pensava anche che il fumo avrebbe scaldato la parte interna del corpo, asciugando l’eccessiva umidità.

Una delle prime testimonianze dell’uso di questa pratica risale al 1746: in Inghilterra, un uomo che abitualmente fumava tabacco con l’apposito tubo (le sigarette come le conosciamo oggi furono inventate nel 1832), rianimò la moglie, che apparentemente sembrava morta per annegamento, con la tecnica di cui probabilmente aveva sentito parlare.

Inserì la sua cannula da fumo nel retto della donna e soffiò

Per quanto strano possa sembrare oggi, la cosa funzionò e la moglie si riprese. Da allora la tecnica prese sempre più piede, tanto che divenne una procedura medica regolarmente applicata, non solo in caso di annegamento, ma anche per mal di testa, tifo, colera in fase terminale e per molte altre patologie.

L’idea di utilizzare il tabacco come medicina arrivò in Europa dalle Americhe, dove i nativi lo utilizzavano per trattare diversi disturbi, oltre che per scopi più ricreativi, e durante le cerimonie religiose. In tutto il Sud America era (e lo è ancora presso alcune tribù indigene) diffusa anche la pratica dei “clisteri psicoattivi”, per i quali si usavano polveri allucinogene.

Il botanico e medico inglese Nicholas Culpeper portò in Europa le tecniche curative dei nativi americani, compresi i clisteri di fumo, per curare coliche o ernie. Anni dopo, fu il medico Richard Mead a diffondendone l’uso. Inizialmente venivano utilizzate le troppo corte cannule usate abitualmente per fumare, poi fu messo a punto uno speciale strumento, che evitava, a chi eseguiva il clistere, di inghiottire accidentalmente il contenuto della cavità rettale del paziente.

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I clisteri di fumo vennero praticati abitualmente fino alla metà del 19° secolo, anche se già nel 1811 il medico inglese Ben Brodie aveva messo in guardia sulla pericolosità del fumo per il sistema cardiocircolatorio. Nonostante la tecnica cadde in disuso durante l’800 pare che siano stati utilizzati anche, come tecnica di rianimazione, durante la terribile epidemia di influenza spagnola del 1918. L’ultimo tentativo per rianimare un paziente sul baratro…


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