I “Carusi” delle Zolfare: gli Schiavi-Bambini Siciliani del XIX e XX Secolo

Anche se lo zolfo in Sicilia fu probabilmente estratto fin dal 1600 aC, e sicuramente in epoca romana, quando i prigionieri venivano mandati ai lavori forzati “ad metalla” (nelle miniere), il grande sviluppo delle solfatare avvenne solo agli inizi del 19° secolo.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

L’enorme richiesta di zolfo, prezioso elemento usato prevalentemente nella produzione della polvere da sparo, incentivò l’apertura di un enorme numero di miniere nella zona centrale della Sicilia, nelle quali andarono a lavorare numerosi i poverissimi contadini della regione.

Il lavoro era durissimo, oltre che estremamente pericoloso, condotto in modo rudimentale, usando semplicemente pale, picconi e ceste per il trasporto del materiale.

La figura principale nel sistema estrattivo era quella del picconiere (pirriatauri), che staccava il minerale dalle gallerie.

In un sistema arcaico e quasi feudale, in cui il padrone della miniera pretendeva la gabella (il 40/50 % del materiale estratto) dal capo picconiere, si sviluppò una forma di sfruttamento della manodopera non troppo lontana dallo schiavismo, soprattutto per l’impiego dei “carusi”, ragazzi tra i 7 e i 16 anni di età.

L’atavica miseria dei contadini siciliani rendeva necessario alle famiglie procurarsi una fonte di guadagno anche dalle piccole braccia dei bambini. I carusi delle solfatare lavoravano dalle 10 alle 16 ore al giorno, trasportando su per gli stretti cunicoli delle miniere carichi di zolfo che pesavano 20-25 chili (per i bambini più piccoli) e fino a 70-80 chili per i ragazzi di 16/18 anni.

I carusi passavano davanti al tavolo dell’addetto alla conta dei viaggi effettuati

Questa manodopera minorile veniva arruolata, e pagata, direttamente dal picconiere, con una formula chiamata soccorso morto: ai genitori del bambino veniva corrisposta anticipatamente una somma di circa 100/150 lire, che andava riscattata con il lavoro del figlio.

I pochi centesimi giornalieri che costituivano la paga dei carusi rendeva praticamente impossibile l’estinzione del debito, mentre la fatica a cui erano sottoposti li faceva spesso crescere storpi o rachitici.

L’educatore e scrittore afroamericano Booker T. Washington, un ex schiavo, nel 1912 scrisse a proposito dei carusi:

Da questa schiavitù non vi è alcuna speranza di libertà, perché né i genitori, né il figlio potranno mai avere denaro sufficiente per rimborsare il prestito originario. […]
Le crudeltà a cui i bambini schiavi erano sottoposti, come riferito da coloro che li hanno visti da vicino, nessuna crudeltà simile è mai stata segnalata nella schiavitù dei negri. Questi ragazzi schiavi erano spesso picchiati e malmenati, al fine di estorcere dai loro corpi sovraccarichi l’ultima goccia di forza. Quando i pestaggi non erano sufficienti, vi era l’usanza di bruciare i polpacci delle gambe con le lanterne per rimetterli di nuovo in piedi. Se avessero cercato scampo da questa schiavitù, erano catturati e percossi, a volte anche uccisi

Innumerevoli furono gli incidenti mortali nelle solfatare, ma tra tutti commuove quello avvenuto nella miniera di Gessolungo: una lampada ad acetilene (gas estremamente infiammabile) provocò un’esplosione di grisou, che costò la vita a 65 minatori. 19 di loro erano carusi. Tra questi, 9 rimasero sconosciuti, schiavi senza nome e senza identità.

Com’era schiavo Rosso Malpelo, il ragazzo malizioso e “cattivo” (perché aveva i capelli rossi) protagonista di una delle più belle novelle di Giovanni Verga. Malpelo è un caruso di miniera come tanti altri, che oltre alla disumana fatica quotidiana conosce solo sopraffazione e violenza. L’unico riscatto da una vita di sofferenze può arrivare solo dalla morte, alla quale Malpelo va incontro consapevolmente e con un senso di liberazione, quando gli viene ordinata un’esplorazione nel ventre della miniera, come era avvenuto a quel minatore che “si era smarrito, da anni ed anni, e cammina e cammina ancora al buio gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo…”

Questa storia di schiavismo e sfruttamento del lavoro minorile, tutta italiana, cesserà soltanto fra il 1967 ed il 1970, quando le zolfare siciliane verranno definitivamente chiuse. Nel corso di quasi due secoli, morirono migliaia di bambini nelle profondità della terra, e altre decine di migliaia crebbero fra la paura e il terrore delle sevizie degli sfruttatori e del buio delle solfatare.

Per chi volesse approfondire, Rosso Malpelo è uno dei capolavori di Verga, disponibile anche su Amazon, mentre è del 1992 il film drammatico “La discesa di Aclà a Floristella”, di cui sotto trovate il trailer:

Anche l’arte si interessò ai piccoli schiavi siciliani, ed il primo quadro di denuncia sociale fu “I Carusi”, di Onofrio Tomaselli, del 1905:

Mentre è del 1953 il famoso “La Zolfara” di Renato Guttuso, allievo dello stesso Tomaselli:


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