I Bambini di Svevia: la storia dimenticata di Piccoli schiavi d’Europa

Quando nel cielo, all’improvviso, si vedono volare le prime rondini, è sempre una gioia. Il lungo e freddo inverno è ormai finito, la primavera si annuncia con le sue promesse di colori e rinascita. Così, sentendo parlare di “bambini delle rondini”, nessuno potrebbe immaginare la triste realtà nascosta dietro un termine tanto poetico. Perché i “bambini delle rondini” sono stati per secoli le piccole vittime di miseria e sfruttamento, di quell’infanzia negata che subito viene da associare all’Inghilterra del XIX secolo, oppure, per restare in Italia, ai carusi costretti a lavorare come schiavi nelle zolfare, in una terra di sconfinata bellezza e atavica miseria come la Sicilia.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Molto meno conosciuto è il dramma dello sfruttamento dei minori in regioni dove il benessere odierno non lascia immaginare una dolorosa realtà vissuta non poi così lontano nel tempo, addirittura fino agli anni ’50 del secolo scorso.

A riportare alla luce una realtà quasi dimenticata (almeno In Italia, un po’ meno in Germania) ci ha pensato Romina Casagrande con il suo romanzo I bambini di Svevia.

I “bambini di Svevia” sono sempre loro, i “bambini delle rondini”, costretti a lasciare casa e famiglia quando appunto arrivavano le rondini, per andare a lavorare come pastori, braccianti o servette di case, in ricche fattorie di quella regione della Germania che un tempo era l’Alta Svevia.

Posizione approssimativa dell’Alta Svevia

Immagine di Maximilian Dörrbecker via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.5

Questi piccoli, maschi e femmine, partono da regioni poverissime dell’Austria occidentale, della Svizzera, del Liechtenstein, del Tirolo e Alto Adige, per raggiungere, a piedi, le lontane aree agricole della Svevia (oggi Baviera e Baden-Württemberg). I più piccoli hanno solo 5/6 anni, i più grandi non superano i quattordici, ma tutti hanno una cosa in comune:

La fame

“Bambini di Svevia” in una fattoria di Emerlanden

Immagine di Paebi via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0

Nelle loro famiglie ci sono solo miseria e tante bocche da sfamare. Per questo i genitori li “vendono”, o meglio, li “affittano”, dalla primavera all’autunno inoltrato, a mediatori che raccolgono tutta questa manodopera nelle povere capanne di montagna, pagandola una manciata di “talleri”, come scrive uno sconosciuto autore nel 1866, raccontando “Un commercio di bambini”:

Ma l’uomo ha contato sul tavolo dei bei talleri tintinnanti, e il padre li conta esattamente – e il luccichio dei soldi lo asciuga – sì, è quasi incredibile! – asciuga anche le lacrime di molte madri.”

“Bambini di Svevia” a Friedrichshafen, con il loro accompagnatore

Immagine di pubblico dominio

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Quei bambini, dopo un lunghissimo viaggio – 200 e anche 300 chilometri per chi proveniva dal Sud Tirolo, ovvero dall’odierno Alto Adige – attraverso passi alpini ancora innevati, coperti solo da miseri stracci, non sono portati direttamente nelle fattorie tedesche, ma finiscono – ed è difficile solo a dirlo – nei mercati di bambini, che si tenevano intorno alla ricorrenza di San Giuseppe, e comunque sempre prima della Pasqua.

Il mercato dei bambini a Ravensburg – 1849

Immagine di pubblico dominio

E sì, proprio come siamo abituati a immaginare la vendita degli schiavi arrivati in America dall’Africa, ugualmente queste creature vengono esposte nelle piazze di paesi e città, in particolare a Friedrichshafen e Ravensburg.

E’ la legge della domanda e dell’offerta: lassù, nella ricca Svevia, già a metà ‘800 pochi giovani volevano fare i pastori o i braccianti, mentre nelle valli del Tirolo – per rimanere nella realtà a noi più vicina – le famiglie numerose dei contadini stentavano a campare, per svariate ragioni: dalla inarrestabile divisione, generazione dopo generazione, della proprietà dei terreni agricoli, all’aumento del numero dei bambini che sopravvivevano alla prima infanzia, per finire alla mancanza di alternative per chi viveva nelle valli alpine ancora molto isolate.

Per contro, la Svevia era scarsamente popolata, per i motivi opposti: i fondi agricoli rimanevano, indivisi, ad un solo erede, l’unico della famiglia che aveva poi diritto di sposarsi e mettere al mondo dei figli (legittimi). Ci sono dunque grandi e ricche fattorie con allevamenti di bestiame, che richiedono molta forza lavoro, non reperibile nella zona. Sta dunque tutta qui la spiegazione dell’impiego dei bambini di Svevia, manodopera a bassissimo costo e probabilmente molto più facile da gestire (e maltrattare) rispetto a braccianti e pastori adulti.

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Bambini di Svevia ad Arnach -1907

Immagine di pubblico dominio

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L’esodo stagionale dei bambini verso l’Alta Svevia ha una storia lunga: esistono testimonianze del fenomeno già nel XVI e XVII secolo, ma è nel 1800 che raggiunge il culmine, con circa cinque e forse seimila bambini che ogni anno affrontano il pericoloso viaggio – basta solo immaginare che dal Tirolo devono attraversare il passo Resia, a 1507 metri di altitudine, e l’impegnativo Passo dell’Arlberg, a 1793 metri – per arrivare stremati ai mercati dove l’accompagnatore, spesso un sacerdote, contratta il prezzo con il “compratore”.

Mercato dei bambini a Ravensburg – 1894

Immagine di pubblico dominio

A loro, ai bambini che lavorano come schiavi nelle stalle e nei campi, alle bambine che servono nelle case (e spesso ripartono con un figlio indesiderato in grembo), dall’alba al tramonto, non arriva che qualche spicciolo e un doppio cambio di abiti da riportare a casa, quando riprendono la strada del ritorno, di solito a inizio novembre (per San Martino).

Questi bambini privati dell’infanzia non hanno diritto neppure a un’istruzione di base. Quando rientrano nei loro paesi d’origine sono esentati dalla frequenza scolastica, come lo sono in Svevia, dove l’obbligo scolastico risale al 1836, ma non è ovviamente esteso ai bambini stranieri. Nel corso degli anni qualche politico di buona volontà pretende che la norma includa anche i piccoli emigranti, ma una potente organizzazione di agricoltori impedisce che ciò accada.

Opera di Peter Lenk : “Mercatino dei bambini di Ravensburg” Bachstrasse, Ravensburg – Un sacerdote siede sulle spalle di un “‘padrone” che siede sulle spalle di un “bambino di Svevia”

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Nel frattempo, un giornale pubblicato a Cincinnati, negli Stati Uniti, nel 1908 denuncia quel triste commercio: il mercato dei bambini di Friedrichshafen non è altro che la replica di un mercato di schiavi. Eppure, nonostante l’indignazione che segue, nulla cambia, almeno fino al 1921, quando nel Wūrttemberg viene approvato l’obbligo scolastico anche per i bambini stranieri.

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Il mercato dei bambini in Germania, da: Cincinnati Times Star, 17 aprile 1908

 

Articolo sul mercato dei bambini e le accuse americane, Oberschwaebischer Anzeiger, Ravensburg, 25 giugno 1908

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Eppure, ancora negli anni del dopoguerra, l’emigrazione stagionale verso la Svevia prosegue, anche se con un numero molto inferiore di bambini, forse duecento l’anno.

Che non cambia la sostanza del fenomeno. Per dirla con le parole antiche dell’anonimo scrittore del 1866:

[Il mercato] È solo una parte della tratta degli schiavi, puoi provare quanto vuoi a guardare la cosa brutta con un occhio più mite. Là stanno i poveri bambini, strappati dalla capanna dei genitori, consegnati al potere di un estraneo per tanti talleri, sfiniti dalla lunga camminata e tormentati dalla fame e dal freddo – alcuni ridotti a stupidi rimuginare dallo sforzo eccessivo, altri con un migliore potere dell’Anima, singhiozzando e piangendo. Attorno a loro si accalca la folla desiderosa di comprare, il contadino o la moglie del contadino, il voluttuoso figlio di casa […] C’è una creatura più pietosa sotto il cielo di un bambino il cui aspetto più supplichevole qui non conta nulla, a cui viene dato il valore più alto solo dalla possibilità di muscoli migliori? […] Questa è la festa di Pasqua quando i poveri bambini scalavano la neve delle Alpi!

Il passo dell’Arlberg innevato

Immagine via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 3.0

Per dovere di cronaca ritengo utile una breve considerazione: la denuncia sulla vergogna dei mercati dei bambini di Svevia parte dagli Stati Uniti nel 1908, come quella di un educatore (ex schiavo) sulla terribile condizione dei carusi siciliani, nel 1912. Perché si sa, gli USA sono terra di libertà e diritti, da rivendicare in particolare quando questi sono calpestati in paesi stranieri. Ma a ben guardare, in quegli stessi anni il lavoro minorile era una piaga ancora ben presente negli Stati Uniti, che però riguardava sopratutto i figli degli immigrati, non-cittadini senza diritto all’istruzione e nemmeno, come testimoniano le fotografie d’epoca, a una vita dignitosa.


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