L’Homo naledi rappresenta uno degli anelli di congiunzione fra australopiteco e il genere Homo. Scoperto nelle caverne Dinaledi nel 2014, in Sudafrica, quando fu pubblicato lo studio sui resti fossili i ricercatori ipotizzarono potesse esser collocato cronologicamente sino a 3 milioni di anni fa, lasciando però la possibilità di una datazione inferiore al milione di anni orsono. La datazione più recente, emersa in questi giorni, colloca gli scheletri di questi nostri antenati fra i 300 e i 200.000 anni fa.
John Hawks, dell’Università del Wisconsin, ha chiarito al programma radiofonico della BBC “Inside Science”:
“Risalgono all’età dei Neanderthal in Europa e all’età dei Denisovani in Asia, e risalgono all’età dei primi esseri umani moderni che vissero in Africa. Sono parte di quella diversità in quel mondo dove la nostra specie ha origine…..
Non abbiamo idea di cosa si possa trovare là in Africa – per me questo è un grande messaggio. Se questa linea, che sembra essersi originata due milioni di anni fa, era ancora presente 200.000 anni fa, probabilmente non è la fine, non abbiamo trovato l’ultimo uomo [Homo naledi], ne abbiamo trovato uno“.
Sotto, olotipo dell’Homo naledi, composto con i resti dei 15 individui trovati nelle caverne. Fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Di seguito sono riportati alcuni dei confronti anatomici dell’uomo moderno con l’Homo naledi, che è simile per certi aspetti mentre è completamente differente per altri, primo fra tutti le dimensioni del cervello.
Il cervello dell’Homo naledi era grande quanto un’arancia e la fronte era sporgente, mentre i denti erano simili ai nostri.
La scoperta di un ominide che, pur somigliando all’Homo sapiens, è dotato di un cervello tanto più piccolo, evidenzia che sino a poche centinaia di migliaia di anni orsono uomini antichissimi e moderni convissero. L’evoluzione della specie fece poi il suo corso, che i ricercatori indicheranno in modo sempre più preciso e dettagliato.