Oggi è molto facile prendere l’aereo per spostarsi, talmente facile da sembrare quasi scontato. Eppure, se ci pensiamo su, è un mezzo di trasporto incredibilmente moderno e recente, messo a servizio del trasporto civile su grande scala soltanto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il naturale antenato dell’aeroplano è sicuramente la mongolfiera, essendo il primo mezzo di trasporto volante, e l’anello di congiunzione tra i due è il dirigibile, che gli appassionati di rock associano al gruppo dei Led Zeppelin e che quasi tutti noi ricordiamo di averne visto uno protagonista di una rocambolesca fuga nel fortunato film Indiana Jones e L’Ultima Crociata del 1989.
In realtà, i dirigibili ebbero un ruolo importantissimo a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il primo a capirne il potenziale e ad investire delle somme di denaro sulla loro costruzione e sviluppo tecnologico fu il barone tedesco Ferdinand von Zeppelin, dopo aver visto dei palloni pieni d’aria essere usati per l’assedio di Parigi durante la guerra franco-prussiana e durante la Guerra di Secessione americana. Nel 1895 depositò il brevetto del dirigibile rigido, nonostante molte caratteristiche descritte nel documento furono poi raggiunte nel corso del tempo e delle modifiche apportate agli aeromobili, e nel 1898 fondò la Gesellschaft zur Förderung der Luftschiffahrt, ovvero la Compagnia per la Promozione del volo con Aeronavi, in quanto nessun privato si mostrò interessato a finanziare il progetto.
Il primo modello di dirigibile si rivelò un fallimento, precipitando durante il primo volo sul lago di Costanza e costringendo il barone a dover chiudere la sua Compagnia. Nonostante questa iniziale debacle, la prestazione dell’aeronave era stata comunque soddisfacente rispetto agli standard dell’epoca, e questo incoraggiò i privati a finanziare il progetto, consentendo così alla compagnia di rinascere dalle proprie ceneri con il nome di Luftschiffbau Zeppelin GmbH, ovvero costruzioni aeronavali Zeppelin s.r.l. Il terzo modello di aeronave fu quello decisivo, riuscendo a coprire quasi 4400 km in circa quarantacinque voli. Questa sua resistenza fu il motivo principale per cui anche l’esercito cominciò a interessarsi dei dirigibili, intuendo un grande potenziale militare.
Negli anni che vanno dall’inizio del Novecento allo scoppio della Prima Guerra Mondiale vennero costruiti circa venticinque dirigibili, ognuno dei quali era una versione migliorata del dirigibile precedente, tanto da arrivare ad essere quelli che oggi noi chiamiamo aerei di linea per il trasporto passeggeri e da “nave Scuola” all’interno dell’esercito tedesco.
Con lo scoppio della guerra, l’esercito tedesco vide nei dirigibili un possibile asso nella manica per poter vincere il conflitto, essendo veloci tanto quanto i primi aeroplani, ma con una capacità nettamente maggiore per il trasporto delle bombe. I dirigibili quindi furono usati per la prima volta per il bombardamento aereo civile, cercando così di colpire l’inavvicinabile Inghilterra. Nei primi anni di conflitto la strategia riuscì ma quando successivamente l’esercito inglese riorganizzò le forze per contrastare gli attacchi aerei, ecco che i dirigibili dimostrarono i limiti dovuti alla loro imponente stazza.
Dopo la fine della guerra, i dirigibili vennero dismessi dall’impiego militare e vennero utilizzati semplicemente per il trasporto civile. La compagnia Zeppelin sopravvisse al primo conflitto mondiale e, nel corso degli anni, riuscì a farsi un’ottima pubblicità a livello mondiale, vantandosi della sicurezza delle proprie aeronavi. In quegli stessi anni, anche le altre potenze europee e mondiale si affidarono ai dirigibili per il trasporto civile, ma nessuno era all’altezza delle aeronavi tedesche. La Zeppelin aveva due mezzi che rappresentavano il suo fiore all’occhiello: il Graf Zeppelin e l’Hindenburg.
Il Graf Zeppelin, che prendeva il nome dal barone Ferdinand Graf von Zeppelin e varato in occasione di quello che sarebbe stato il novantesimo compleanno del fondatore della compagnia, era considerata la nave più sicura al mondo, con all’attivo un milione e mezzo di chilometri percorsi, coprendo addirittura la prima circumnavigazione aerea del pianeta nel 1929 e la prima traversata artica nel 1931.
L’Hindenburg, che prendeva il nome dal Presidente della Repubblica di Weimar del periodo Paul von Hindenburg, era stato costruito con l’intento di stupire il mondo, essendo il mezzo volante più grande mai costruito fino a quel momento. Lungo poco meno del Titanic, l’Hindenburg fu costosissimo da realizzare e le spese furono sostenute non solo dalla compagnia Zeppelin ma anche dal nuovo cancelliere Adolf Hitler, che lo rese l’orgoglioso della Germania Nazista. L’aeronave si rivelò un gioiello di innovazione e tecnologia, riuscendo a compiere la traversata atlantica in cinque giorni, diciannove ore e cinquantuno minuti, battendo ogni record mondiale stabilito dai suoi predecessori nella compagnia Zeppelin. Per essere più veloce e più sicuro, l’Hindenburg venne coperto con una tela di cotone e fu progettato per andare a elio. Purtroppo, a causa di un embargo degli Stati Uniti, unici produttori ed esportatori di elio a livello mondiale, i tedeschi si trovarono costretti a ripiegare sull’infiammabilissimo idrogeno.
La vita dell’Hindenburg fu tanto splendente quanto breve.
il 6 maggio del 1937, completando una delle sue regolari traversate atlantiche, l’Hindenburg arrivò alla stazione aeronavale di Lakehurst, nel New Jersey. Tutto avvenne molto velocemente: nel giro di un minuto e mezzo il dirigibile prese fuoco e delle novantasette persone a bordo tra equipaggio e passeggeri ne perirono trentacinque. Il che fu una fortuna nella sfortuna, perchè durante il volo verso New York l’Hindenburg non era al massimo della sua capienza, ma lo sarebbe stato nel viaggio di ritorno verso Berlino, in quanto molta gente aveva comprato il biglietto per la Germania con l’intenzione poi di recarsi a Londra per l’incoronazione di Re Giorgio VI e della Regina Consorte Elisabetta (Bowes-Lyon).
Com’era d’abitudine all’epoca per le navi e i dirigibili, erano presenti anche i giornalisti e i cameraman per le riprese da proiettare poi nei cinegiornali. Questo perché, all’epoca, erano molte poche le persone che potevano permettersi una traversata oceanica in termini economici e di tempo e i mezzi non erano frequenti come al giorno d’oggi. I cinegiornali annunciavano dunque l’arrivo di nobili, diplomatici, capi di stato e ricchi imprenditori in città. Questo gravoso compito toccò al giornalista Herbert Morrison, la cui cronaca dal vivo dell’incidente entrò nella storia. Rimasero celebri le parole “oh humanity” (oh, l’umanità) osservando la catastrofe che si stava consumando davanti ai suoi occhi mentre il cameraman che lo accompagnava riprendeva quel terribile incidente.
Tornando agli attimi dell’incidente e ai passeggeri, le persone che si trovavano in punti favorevoli alla fuga, come i ponti più bassi dell’aeromobile, o più lontani dall’incendio riuscirono a salvarsi. Molti morirono a causa del grande dislivello con il terreno al momento del salto per la fuga, mentre altri perirono per il fuoco e la caduta di rottami, o anche per tornare a salvare i propri cari. Alcuni non morirono subito, ma nei giorni seguenti a causa delle gravissime ustioni che riportarono durante la fuga. Morì anche un operatore di terra, unica vittima che non si trovava a bordo al momento dello scoppio dell’incendio.
Ma come ebbe inizio questo terribile incidente?
Come è facile prevedere, il non avere certezze su cosa scatenò il terribile incidente portò alla congettura di svariate teorie a riguardo. Ancora oggi, dopo più di ottant’anni, gli scienziati si domandano come fu possibile che il velivolo più sicuro al mondo finisse in cenere in soli 34 secondi.
La prima teoria a riguardo, anche temporalmente in quanto fu la prima ipotesi resa pubblica subito dopo l’incidente, fu sicuramente la cospirazione e il sabotaggio. All’epoca la Germania era governata dal partito nazista di Hitler, che non godeva di molte simpatie, né nel Vecchio Continente né tantomeno oltre oceano. Nonostante fossero state istituite delle commissioni d’inchiesta sia in Germania sia negli Stati Uniti e con tutti i testimoni ancora in vita, le indagini non andarono avanti perché lo scoppio della guerra spostò l’attenzione su argomenti molto più scottanti. Non solo: poco prima dell’ultimo volo dell’Hindenburg, la sede della compagnia Zeppelin ricevette una lettera anonima che affermava che l’Hindenburg avrebbe avuto problemi alla coda, punto da cui ebbe effettivamente inizio l’incendio. Insomma, sembrava proprio che qualcuno volesse far sfigurare la Germania Nazista. Non avendo immediatamente altre idee a cui aggrapparsi, la pista del sabotaggio fu quella più battuta in quei primi tempi e, naturalmente, i primi sospettati erano proprio i membri dell’equipaggio. Dopo aver interrogato i superstiti, si decise di spostare l’attenzione soprattutto su uno dei passeggeri, Joseph Spaeh, un acrobata tedesco naturalizzato statunitense, reo di aver raccontato barzellette anti-naziste durante il volo. Spaeh era sospetto perchè portò con sè anche il suo cane che non aveva accesso alla cabina passeggeri ed era stato collocato vicino la coda del dirigibile. Spaeh andò più volte nella coda del velivolo con la scusa di controllare il suo animale. Essendo il fuoco partito proprio dalla coda del dirigibile ed essendo Spaeh un acrobata eccezionale, fu facile pensare che solo un uomo della sua statura e con le sue capacità potesse collocare una bomba in quella zona dell’aeromobile.
Nel tempo, vennero ipotizzati nuovi scenari di sabotaggio, includendo anche membri dell’equipaggio morti durante l’incendio o subito dopo, ma il racconto dei testimoni oculari, sia a bordo dell’Hindenburg sia a terra, non coincideva con la teoria del sabotaggio, in quanto i tempi scientifici non coincidevano, quindi la teoria venne abbandonata nel corso degli anni.
Con uno sguardo più attento e obiettivo, si cercò una spiegazione più scientifica. La seconda grande ipotesi riguardo l’incidente dell’Hindenburg è legata all’elettricità statica e al campo magnetico della Terra. Quando l’Hindenburg arrivò a Lakehurst, per la prima volta nella sua carriera lo Zeppelin portò un ritardo di circa dodici ore a causa delle condizioni climatiche trovate durante la traversata oceanica e poi al porto d’arrivo. L’Hindenburg era carico di carica negativa quando scese di quota e la corda usata per atterrare poggiò sul terreno carico di energia positiva, fungendo quindi da conduttore. Il materiale usato per l’esterno del dirigibile era però idrorepellente e l’acqua accumulata durante il viaggio si rivelò uno scarso conduttore. Questo portò all’ipotesi di una scintilla tra l’involucro del velivolo e la sua struttura in metallo, combinato con l’infiammabilissimo idrogeno.
Questa teoria venne messa in pratica da un gruppo di scienziati convinti di trovare una volta per tutte la causa dell’incendio dell’Hindenburg. Per quanto, però, questa fosse l’ipotesi più accreditata, emersero delle importanti differenze tra l’incendio del modellino ricreato in scala e l’incendio del vero Hindenburg. Il modello dell’esperimento, infatti, bruciò velocemente esattamente come l’originale, ma le fiamme rimasero ben contenute vicino lo scheletro del velivolo, mentre dalle foto dell’epoca si evince come le fiamme dell’Hindenburg presero quasi la forma di un fungo atomico. Si prestò quindi attenzione alla pelle dell’Hindenburg, in quanto i tedeschi utilizzarono una vernice altamente infiammabile. Ma purtroppo anche questa ipotesi svanisce in quanto la vernice brucia ma non da inizio all’esplosione che si vede nelle poche immagini dell’epoca.
Si decise così di dare ascolto a chi vide l’Hindenburg incendiarsi quel giorno a Lakehurst. La maggior parte dei testimoni sono ormai deceduti, ma sono utili i racconti dei bambini dell’epoca. Chi era presente racconta di aver visto delle fiamme blu sulla coda dell’Hindenburg al momento dell’esplosione. Gli scienziati individuarono in queste fiamme il raro fenomeno chiamato Fuoco di Sant’Elmo.
Il Fuoco di Sant’Elmo è un fenomeno elettrico che si manifesta sotto forma di fiamme blu durante i temporali in presenza di una importante differenza tra campi magnetici. Fenomeno conosciuto sin dagli antichi Greci, il fenomeno prende il nome da Sant’Erasmo di Formia, conosciuto anche come Sant’Elmo, in quanto, secondo la sua agiografia, si manifestò proprio durante la sua condanna a morte al rogo.
Ma come poteva un fenomeno meramente elettrico far incendiare il dirigibile più grande e meglio progettato e isolato al mondo?
Il Fuoco di Sant’Elmo, preso come fenomeno a sé, è completamente innocuo: si manifesta come fiamma blu tra due oggetti con una carica elettrica differente, ma di per sè non arreca nessun danno. Ma, come già detto, l’Hindenburg era costretto ad andare a idrogeno, che è altamente infiammabile. I tedeschi avevano pensato di “profumare” l’idrogeno con la cipolla, in modo da individuare subito un’eventuale fuga di gas, senza considerare però la mole gigantesca del velivolo. La carica elettrica del Fuoco di Sant’Elmo deve essere entrato in contatto con l’idrogeno, causando così l’esplosione.
Ricreando il fenomeno in laboratorio con un modellino in scala dell’Hindenburg, è possibile notare come il velivolo in scala esploda e si afflosci al suolo esattamente come l’originale quasi un secolo prima.
Si può quindi ricostruire la dinamica dell’incidente. L’Hindenburg, all’arrivo a Lakehurst, viaggiò attraverso una tempesta elettrica. A causa del maltempo, il capitano del dirigibile tentò varie manovre molto limitate nello spazio, che di sicuro non si addicevano a un mezzo di quelle dimensioni, il che portò quasi sicuramente a uno stiramento o a uno strappo delle camere a idrogeno presenti all’interno. A causa dell’enorme disparità di carica elettrica, il Fuoco di Sant’Elmo si manifestò, entrando a contatto con la fuga di idrogeno che si propagava attraverso l’impianto di ventilazione, causando così il disastro.
Dopo quasi un secolo è possibile così ricreare il disastro che segnò la fine di un’era del trasporto aereo e, forse, anche del Terzo Reich. Ormai noi siamo talmente abituati al trasporto aereo da non farci nemmeno più caso, ma sicuramente non proveremo mai l’emozione di veder volare un gigante come l’Hindenburg sopra le nostre teste o, meglio ancora, dello stupore che destò durante la cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici del 1936 quando volò sopra Berlino.