Una parola: spietata. Non serve altro per descrivere Griselda Blanco, la donna che, fra gli anni ’70 e ’80 del Novecento è stata una delle principali esportatrici di droga negli Stati Uniti d’America. La “madrina della cocaina” – così la chiamavano – non guardava in faccia a niente e nessuno, nemmeno ai suoi tre mariti… tutti morti. Anche se lo ha sempre negato, grazie alle confessioni dei suoi più stretti collaboratori, sappiamo che li uccise o li fece uccidere per i motivi più disparati, procurandosi il soprannome di “Vedova nera”, come l’esemplare femmina del ragno omonimo, che sopprimere il partner dopo l’accoppiamento.

Delle sue tre vedovanze, la più famosa è la seconda, nata da un episodio molto particolare risalente al 1975, quando la madrina del narcotraffico era convinta che l’allora marito e socio in affari Alberto Bravo le stesse nascondendo alcuni milioni dalle entrate del commercio. Lo affrontò faccia a faccia nel parcheggio di un night-club di Bogotà, la discussione degenerò e Griselda gli puntò una pistola contro. Lui a sua volta estrasse una mitraglietta Uzi e il duello armato si concluse con la morte di Bravo e delle sue guardie del corpo, mentre la Blanco se la cavò con una lieve ferita allo stomaco.
Se, all’incirca negli stessi anni, Pablo Escobar gestiva il narcotraffico con la tattica del “plata o plomo?”, “argento o piombo?” – ovvero far scegliere alle persone se lasciarsi corrompere o farsi uccidere – Griselda Blanco preferiva solo la seconda opzione. Nessuna via di mezzo; non con lei, non con la madrina della cocaina…
La più efferata, la più temuta

I primi delitti e l’ascesa nel narcotraffico
Griselda Blanco nasce il 15 febbraio del 1943 a Cartagena de Indias, una città portuale sulla costa caraibica della Colombia – anche se altre fonti indicano Santa Marta, sempre nei Caraibi – da Fernando e Ana Blanco. Il padre la abbandona e va via di casa quando è ancora in fasce e, a tre anni, si trasferisce insieme alla madre, una donna con seri problemi di alcolismo, in una delle baraccopoli più malfamate di Medellín. Cresce nell’indigenza, a contatto con la criminalità di strada, e firma il suo primo delitto ad appena undici anni.

Un giorno Griselda e i suoi amici decidono di rapire il figlio di una ricca famiglia del posto e chiedono un riscatto, ma quando i genitori del ragazzo si rifiutano di pagare, Griselda lo uccide a sangue freddo con un colpo alla testa.
Non ancora adolescente ha già un omicidio all’attivo e una avviata carriera da borseggiatrice, ma è solo l’inizio. A quattordici anni scappa di casa per sottrarsi alle molestie del patrigno e si dà alla prostituzione; poi sposa il suo primo marito Carlos Trujillo, da cui ha tre figli – Dixon, Osvaldo e Uber – e lo uccide per una mera questione di affari.

Negli anni ’70, si trasferisce a New York insieme al suo secondo marito, il narcotrafficante Alberto Bravo, con cui si immette nel mercato della cocaina e si procura clienti importanti, inclusi attori e attrici di Hollywood. Se la madrina ha successo, il merito è tutto delle sue capacità imprenditoriali – se così le possiamo definire – che la portano a concepire la singolarissima idea di creare una linea di intimo femminile con scomparti segreti per nascondere la droga ed eludere i controlli della DEA.

Gli affari vanno a gonfie vele, ma la sua ascesa criminale non passa inosservata e, nel 1975, entra nel mirino dei federali, che riescono a incriminarla per spaccio di sostanze stupefacenti. La DEA, però, non fa in tempo ad arrestarla che la madrina è già emigrata in Colombia, dove uccide il marito e, tempo qualche mese, torna negli Stati Uniti, destinazione Miami, dove inizia a creare il suo impero del narcotraffico. La richiesta è in aumento, la Florida è un terreno fertile e Griselda arriva ad avere 600 sottoposti, guadagnando qualcosa come 80 milioni di dollari al mese.
L’organizzazione cresce, aumentano gli introiti e, sul finire degli anni ’70, Griselda Blanco è per tutti “la madrina”, una donna tanto abile negli affari quanto spietata nell’eliminare la concorrenza, come dimostra la sua intuizione di eseguire gli agguati per strada a bordo di motociclette, per permettere ai sicari di ammazzare velocemente e dileguarsi senza problemi.
Ma la Blanco ha anche una certa vena mitomane e il soprannome legato alla tradizione mafiosa, un altisonante richiamo al film Il Padrino, la lusinga a tal punto che, quando lei e il suo terzo marito, Darío Sepúlveda, concepiscono un figlio, decide di battezzarlo Michael Corleone Blanco, in onore al personaggio interpretato da Al Pacino. Nella sua mente, lei è la controparte reale di don Vito Corleone, mentre il giovane Michael diventerà il suo erede, colui che raccoglierà l’impero multimilionario della madre.

La Miami Drug War
Sono anni in cui Griselda è intoccabile e lei stessa non esita a scendere in campo in quella che sarà definita la Miami Drug War (anche detta la Cocaine Cowboys Wars), una guerra per il controllo del traffico degli stupefacenti, combattuta dal governo degli Stati Uniti, i signori della droga colombiani – la Blanco ed Escobar in primis – e vari narcotrafficanti di origini cubane.
Chi apre le danze è la madrina

L’11 luglio del 1979, un furgoncino equipaggiato a mo’ di carro da guerra arriva al Dadeland Mall, un centro commerciale di Kendall, dove tre suoi sicari irrompono in un negozio di liquori e massacrano un narcotrafficante rivale, la sua guardia del corpo e un cassiere. È l’inizio di un’escalation di violenza che porta la città di Miami a diventare una sorta di capitale mondiale dell’omicidio, soprannominata dal Times “Paradise Lost”, il paradiso perduto, per evidenziare i circa 3/4 morti al giorno, a cui fa seguito un’estate di sangue, quella del 1981, con 621 delitti legati al mondo della droga.

Nel mezzo delle Cocaine Cowboys Wars, uno dei figli di primo letto della madrina ha un battibecco molto acceso con un ex collaboratore della madre, tale Jesus Castro, che secondo la Blanco deve pagare l’affronto con la vita. Il 6 luglio del 1982, Griselda ordina al suo braccio destro Jorge Ayala di eliminarlo. Quel giorno Jesus Castro è in auto con il figlio piccolo Johnnie, di soli tre anni, che non viene risparmiato. L’assurdità è che Castro si salva per miracolo e i sicari della madrina ricevono l’ordine di prendere il cadavere del bambino, imbavagliarlo e lasciarlo nei pressi di una chiesa con tre rose in mano, in riferimento all’età.
Anni dopo, in sede processuale, Ayala racconterà che la reazione della Blanco fu questa: «All’inizio era molto arrabbiata, perché mancava il padre, ma quando ha saputo che avevamo avuto il figlio per caso, ha detto che era contenta, che ormai erano in pari».

Una donna che non si ferma davanti a niente e non guarda in faccia a nessuno, nemmeno a suo marito Darío, che, nel 1983, la abbandona e torna in Colombia insieme al giovane Michael. La madrina non ci sta a perdere la custodia del figlio e passa alle maniere forti: paga alcuni sicari per stanare l’ex coniuge a Medellín, ucciderlo e riportare Michael da lei.

L’arresto, i processi e la morte
Intanto, il conflitto armato prosegue e, nel 1984, gli eventi prendono una brutta piega. La madrina ha ormai troppi nemici determinati a sconfiggerla. Abbandona la Florida per la California, ma lì i federali la arrestano il 17 febbraio del 1985, ponendo fine alle Cocaine Cowboys Wars.
Se la Blanco è in manette, il merito è delle vecchie imputazioni del ’75, che le valgono una condanna a 15 anni di carcere, ma il pubblico ministero non si accontenta di sbatterla dentro per reati legati allo spaccio e, mentre è in prigione, cerca di incastrarla per almeno uno dei circa 200 delitti di cui è sospettata.

L’occasione arriva nel 1994, quando Jorge Ayala stringe un accordo con il governo statunitense e diventa un testimone chiave dell’accusa, che riesce a formulare tre capi d’imputazione per omicidio. Con le confessioni del suo ex braccio destro, la madrina rischia grosso, ma quando tutto è pronto per andare a processo, salta fuori che Ayala ha avuto dei rapporti spinti telefonici con una segretaria dell’ufficio del procuratore della Florida. Lo scandalo rende non credibile il testimone e il pubblico ministero è costretto a rinunciare al processo, patteggiando con la Blanco nel 1998 e offrendole un sostanzioso sconto della pena in cambio di una dichiarazione di colpevolezza.

Griselda accetta, torna in liberà sei anni dopo e viene rispedita in Colombia, dove, ormai fuori dai giochi del narcotraffico, di lei si perdono le tracce fino al 3 settembre del 2012. Quel giorno l’ex madrina della cocaina è in giro per Medellín e quando esce dalla macelleria Cardiso, all’angolo fra la 29ª e la 30ª strada, due uomini in motocicletta la uccidono con due colpi di pistola alla testa. Griselda Blanco ha 69 anni e muore nella città dove tutto è iniziato… Ironia della sorte, proprio con quel metodo veloce che l’ha resa famosa come una delle narcotrafficanti più potenti ed efficaci dell’epoca.
Fonti:
- Griselda Blanco: 8 cose che (forse) non sai sulla “madrina” della mafia colombiana – Focus
- Griselda Blanco – Enciclopedia Britannica
- ‘Godmother of cocaine’ shot dead in Colombia – The Guardian
- Griselda Blanco – Wikipedia inglese
- Griselda Blanco – Wikipedia spagnolo
- Miami drug war – Wikipedia inglese