Gli Splendidi Colori delle Sculture nell’Antichità Classica

Nel 1811 un gruppo di studiosi inglesi e tedeschi visitò il tempio di Afaia, sull’isola di Egina, in Grecia. Il tempio risaliva all’incirca al 500 aC e, nonostante i secoli trascorsi, all’epoca il sito conservava ancora resti di sculture in marmo dai frontoni est e ovest del tempio. Queste figure raffiguravano scene delle guerre di Troia e, sebbene esposte alle intemperie e in parte rotte, contenevano anche un dettaglio intrigante: segni visibili di vernice rossa e blu.

Nel 2006, gli archeologi tedeschi Vinzenz Brinkmann e Ulrike Koch-Brinkmann hanno esaminato una di queste figure più da vicino, usando la luce radente e la fotografia ultravioletta. Quello che scoprirono fu che l’arciere troiano, acquattato in basso con l’arco teso, in realtà era un tempo dipinto di splendide fantasie cromatiche, dalla testa ai piedi. Diamanti, animali e trame a zig-zag adornavano i suoi vestiti. Nelle sue mani cingeva un arco dorato. Brinkmann non effettuò queste scoperte per caso, ma in qualità di curatore della Gliptoteca di Monaco di Baviera, dove le opere sono attualmente conservate.

Di tutto il lavoro svolto da Brinkmann è stato recentemente pubblicato un libro “Gods in Color: Polychromy in the Ancient World ” (“Dei a Colori: Policromia nel Mondo Antico”, in vendita in Italia su Amazon), che comprende diverse ricostruzioni di statue portate in giro per il mondo in mostre ed esibizioni dedicate a far riscoprire le fantasie cromatiche dell’antichità classica.

Come spiegato da Annalisa Lo Monaco su Vanilla Magazine qualche tempo fa, il fraintendimento sui colori delle statue è dovuto all’interpretazione di Johann Joachim Wincklemann, storico del XVIII secolo, che diminuiva volutamente e pervicacemente l’importanza del colore nell’antichità. Nel 1805, quando ormai gli splendidi marmi del frontone del Partenone era già stati asportati da Elgin e trasportati in Gran Bretagna, dove tutt’ora risiedono, lo studioso Edward Dodwell e il pittore italiano Simone Pomardi si recarono in visita ad Atene. Lì osservarono gli sbiaditi colori del Partenone e dell’Eretteo. Sia gli schizzi di Dodwell sia di Pomari mostrano tracce dell’antichissima pittura, incredibilmente più vivida soltanto 2 secoli fa.

Sotto, il Dipinto di Pomari, del 1805, che raffigura l’Eretteo con le Cariatidi:

Nonostante molte evidenze riguardo il colore nelle statue antiche, per i secoli seguenti l’opinione delle statue di “eterea purezza marmorea” continuò ad andare per la maggiore

Wincklemann, probabilmente l’uomo che più ha contribuito al fraintendimento, scriveva nel 1764: “Il colore contribuisce alla bellezza, ma non è la bellezza stessa, anche se generalmente migliora la bellezza e le sue forme. Dal momento che il bianco è il colore che riflette il maggior numero di raggi di luce, e quindi è più facilmente percepibile, un bel corpo sarà tanto più bello quanto più è bianco, e il nudo apparirà così più maestoso di quanto no sia in realtà”. Wincklemann non solo minimizzò l’importanza della policromia, ma allo stesso tempo promosse il candore come ideale.

Tale fu l’influenza di Wincklemann che, nonostante le evidenti prove dei colori sulle statue antiche, la policromia continuò a essere argomento di dibattito per tutto il 19° secolo. Fu solo negli anni ’60 che le sculture classiche cominciarono a essere esaminate con la fotografia ultravioletta, e oggi, grazie alla combinazione di luminescenza a Raggi X, la fluorescenza, la luce ultravioletta e gli infrarossi, si può determinare con precisione i colori ormai scomparsi.

Dall’Acropoli a Roma, da Pompei alla Spagna, tantissime statue dell’antichità classica sono tornate, almeno nei modelli 3D in computer grafica, a risplendere negli antichi colori.

Ma non solo il marmo veniva dipinto

I famosi Bronzi di Riace, sculture emerse dai nostri mari nel 1972, sono state recentemente ricostruite nei loro colori originari dallo staff dell’archeologo tedesco. Analizzando i residui di zolfo, Brinkmann e il suo team hanno potuto ipotizzare i colori dipinti sulla pelle e sui capelli dei bronzi originali.

I due bronzi sono stati infine ricostruiti, usando prima la modellazione 3D per creare lo stampo e poi colando realmente il bronzo al suo interno. La ricostruzione di queste statue ci consente di comprendere l’immenso splendore delle città durante l’epoca Greca e Romana, un eco di antichissima bellezza che respira di eternità.

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Sotto, Brinkmann all’opera alla Gliptoteca di Monaco:


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