Ai primi di febbraio del 1661, nei corridoi del Palais-Royal di Parigi si aggirava un cinquantottenne stanco e malato, con così poca forza nelle gambe che le pantofole gli strusciavano sul pavimento. Si guardava attorno e posava lo sguardo sulla sua inestimabile collezione artistica.

C’erano arazzi, statue, quadri del Veronese, del Correggio e di tanti altri artisti, senza dimenticare una biblioteca di circa 40.000 volumi. In tutta la sua vita aveva accumulato un patrimonio dai 30 ai 35 milioni di lire; una cifra esorbitante per un uomo che era partito dal basso e aveva raggiunto i vertici della politica francese.

Quell’uomo si chiamava Giulio Mazzarino e, nei suoi quasi vent’anni da primo ministro aveva fermato gli Asburgo, domato l’aristocrazia e plasmato Luigi XIV, il Re Sole.

Le origini di Mazzarino
Giulio Mazzarino nacque il 14 luglio del 1602 nella città abruzzese di Pescina, da Pietro Mazzarino e Ortensia Bufalini. La sua era una famiglia della piccola nobiltà e il padre era al servizio di Filippo Colonna, Principe di Paliano e Duca di Tagliacozzo, che fece di Giulio il suo protetto e lo affiancò al figlio Girolamo, futuro cardinale e arcivescovo.

Crebbe a Roma, dove frequentò il prestigioso Collegio Romano dei Gesuiti, ma oltre ai libri si appassionò anche alle avventure galanti e al gioco d’azzardo. Per calmarlo, Pietro lo mandò a studiare in Spagna e Giulio tornò a Roma tre anni dopo, laureandosi in diritto canonico alla Sapienza.

Esordì nelle file della diplomazia nel 1628. La morte senza eredi di Vincenzo II Gonzaga aveva innescato la Guerra di successione di Mantova e del Monferrato, che si inseriva nella più ampia Guerra dei Trent’anni. Si erano create due fazioni, Francia e Repubblica di Venezia da un lato e Sacro Romano Impero, Spagna e Ducato di Savoia dall’altro, con ciascuna un suo candidato.

In funzione dell’amicizia con Girolamo Colonna, Mazzarino entrò a far parte di una delegazione pontificia che doveva mediare fra le parti, e fu uno degli artefici della firma del Trattato di Cherasco del 6 aprile del 1631.

Da protégé di Richelieu a Primo Ministro di Francia
Grazie all’intervento di Mazzarino, che aveva ben compreso la superiorità militare della Francia rispetto alla Spagna e l’aveva fatta comprendere anche agli spagnoli, la spuntò il candidato dei francesi, e Mazzarino si guadagnò l’attenzione di Luigi XIII e del suo primo ministro, il cardinale Richelieu. Questi lo fece arrivare a Parigi e lo prese sotto la sua ala protettiva, affidandogli altri incarichi diplomatici per conto della corona.

Nel 1639 lo volle in pianta stabile a Parigi come suo segretario personale e, quando Richelieu morì, il 4 dicembre del 1642, il re lo incluse nel Consiglio di Corte.
Da lì in avanti, la strada fu tortuosa e complessa

Il 21 aprile del 1643, fece da padrino al delfino di Francia, il futuro Luigi XIV, e la vicinanza alla famiglia reale gli valse una posizione di tutto rispetto, che consolidò a partire dal 14 maggio di quell’anno, con la scomparsa prematura di Luigi XIII.

A causa della minore età del figlio, Anna d’Austria assunse la reggenza e nominò Mazzarino primo ministro, ma gli aristocratici, che ambivano a ridimensionare i poteri della corona, non ne furono entusiasti.

La fine della Guerra dei Trent’anni
A quei tempi Mazzarino aveva altro a cui pensare. Da Richelieu aveva ereditato una Francia in difficoltà, con la Guerra dei Trent’anni che imperversava e lo stato sull’orlo della bancarotta. Il 19 maggio del 1643 le truppe francesi di Luigi II di Borbone, principe di Condé, riportarono una grande vittoria nella battaglia di Rocroi, ma servivano nuove entrare per finanziare lo sforzo bellico e accelerare la fine del conflitto.

Mazzarino optò per una scelta azzardata: ordinò una nuova e impopolarissima ondata di tasse e creò cariche amministrative da vendere ai ricchi borghesi in cerca di maggior prestigio sociale.

Il gioco valse la candela e i successi in chiave anti-asburgica degli anni successivi favorirono la firma della pace di Vestfalia del 1648. Il trattato era a vantaggio della Francia, che guadagnò nuovi territori e obbligò gli Asburgo d’Austria a rinunciare al progetto di unire il frammentario mondo tedesco in un’unica grande potenza.

Chi non firmò fu la Spagna, che, invece, portò avanti il conflitto con i francesi fino al 1659, ma di questo ne parleremo fra poco.

La Fronda Parlamentare
Il successo diplomatico di Mazzarino non ebbe alcun effetto sul morale della nazione, e il malcontento generale nei confronti suoi e della regina sfociò in un movimento rivoluzionario detto la Fronda. Il Parlamento di Parigi rispose alla forte ondata di tassazione con la proposta di una serie di riforme fiscali molto sospette. Il primo ministro capì che i parlamentari, la cosiddetta nobiltà di toga, stavano cercando di ridurre il potere della corona a proprio vantaggio, e ne fece arrestare alcuni.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il popolo si unì alla causa rivoltosa ed ebbe inizio la Fronda Parlamentare, con la Francia che si spaccò in due. Agli inizi del 1649, la situazione degenerò con delle sommosse che misero a ferro e fuoco Parigi e costrinsero Mazzarino, Anna e Luigi a scappare a Saint-Germain-en-Laye nella notte fra il 5 e il 6 gennaio.

Dall’esilio la monarchia incaricò Luigi di Borbone, anche detto il Grand Condé, di intervenire con l’esercito e il conflitto si protrasse per circa tre mesi. Il fronte ribelle, però, non era compatto, e l’11 marzo si giunse a un accordo. La pace di Rueil permise alla famiglia reale, Mazzarino incluso, di tornare a Parigi, e il Parlamento ottenne l’amnistia per coloro che avevano preso parte all’insurrezione.

La Fronda Nobiliare
Si trattò di una quiete prima della tempesta, e Mazzarino dovette fare i conti con le mire del Gran Condé, che, insieme al fratello Armando di Borbone e al cognato Enrico II di Orléans-Longueville, governava su alcune delle province più importanti della nazione. I Condé, direttamente imparentati con la casata reale, erano ricchi, avevano un esercito e ambizioni politiche che cozzavano con il progetto di centralizzazione del potere messo in atto da Mazzarino. Il 18 gennaio del 1650, il primo ministro ordinò l’arresto precauzionale dei tre principi Condé e l’evento diede il via al secondo atto della rivolta, la Fronda Nobiliare.

La nobiltà di spada unì le forze con la nobiltà di toga, e il 6 febbraio del 1651 Mazzarino dovette abbandonare Parigi, mentre la regina Anna rimase sotto stretta sorveglianza a palazzo insieme al figlio. Il 16 febbraio Luigi di Borbone tornò in libertà e mosse il suo esercito contro quello del cardinale, con a capo il maresciallo di Francia Henri de Turenne.

Il 17 settembre l’esito della rivolta era ancora incerto, ma Luigi XIV raggiunse la maggiore età e la regina richiamò il primo ministro a Parigi. I frondisti si divisero in chi ancora sposava la causa dell’aristocrazia, che ambiva a usurpare la carica di Mazzarino, e chi voleva solo tornare normalità.

Il fallimento della Fronda e la fine della Guerra franco-spagnola
Le incertezze dei rivoltosi favorirono la controffensiva delle truppe del cardinale e il Gran Condé si giocò la carta dell’alleanza con la Spagna. Coadiuvato dagli iberici, cinse d’assedio la capitale, ma Turenne lo sconfisse nel luglio del 1652 nella decisiva battaglia di Parigi. Entro il 1653 la nobiltà rientrò nei ranghi, la ribellione scemò e si concluse la Fronda Nobiliare.

Restava solo da regolare i conti con Luigi II di Borbone-Condé, che, nel frattempo, aveva cambiato fazione e si era unito all’esercito spagnolo. Mazzarino intuì che poteva prendere due piccioni con una fava: sbarazzarsi del nobile e porre fine ai contrasti con Madrid.

Si avvalse dell’aiuto dell’Inghilterra di Oliver Cromwell, a cui promise la città di Dunkerque, e l’esercito anglo-francese insidiò i rivali fino alla battaglia delle Dune del 14 giugno del 1658, che spianò la strada alla pace dei Pirenei del 1659.

La Spagna rinunciò ai suoi progetti di egemonia, la Francia si affermò come grande potenza europea e Mazzarino siglò il suo più grande successo diplomatico, con una postilla che prevedeva la pacificazione delle due casate attraverso l’unione matrimoniale fra Luigi XIV e l’Infante di Spagna, Maria Teresa d’Asburgo.

C’era solo un problema:
Il re di Francia era innamorato di Maria Mancini, una delle celebri Mazarinettes

Le Mazarinettes
Le Mazarinettes erano le sette nipoti di Mazzarino che il cardinale aveva portato a Parigi per due motivi: avere delle confidenti di sangue con cui rilassarsi e trascorrere il tempo libero e combinar loro dei matrimoni vantaggiosi con membri di spicco della nobiltà francese e italiana.

Lo zio le aveva accolte fra il 1647 e il 1653 e le ragazze, tutte note per la loro avvenenza, erano cresciute sotto la protezione della regina Anna e al fianco del giovane Luigi XIV. Il futuro re, però, si era invaghito, ricambiato, di Maria Mancini: bruna, vivace e bella, come la descrissero i suoi contemporanei.

Il loro fu un amore puro, mai consumato, ma Luigi faceva sul serio e voleva a tutti i costi sposarla. Mazzarino dovette intervenire a malincuore. Se da un lato la nipote sul trono di Francia avrebbe rappresentato la ciliegina sulla torta della sua grande ascesa sociale, dall’altro c’era in ballo l’alleanza franco-spagnola.

Fece valere la ragion di stato e, con il beneplacito della regina, mandò la nipote in Italia, dove andò in sposa a Lorenzo Onofrio Colonna. La relazione con Luigi era nota negli ambienti aristocratici e leggenda narra che, dopo la prima notte di nozze, il nobile restò sorpreso quando constatò che sua moglie era ancora illibata.

Quanto a Luigi, non ebbe altra scelta che rinunciare alla Mancini e sposare Maria Teresa. Riuscì a consolarsi solo molti anni dopo, con l’umilissima Madame de Maintenon, ma questa è un’altra storia.

La malattia, la morte e l’eredità di Mazzarino
Agli inizi del 1661, la salute di Mazzarino, già da un po’ cagionevole, peggiorò e, l’8 febbraio si trasferì a Vincennes, nella speranza che l’aria salubre di campagna gli desse sollievo dalla pielonefrite di cui soffriva. La cura non funzionò e il 6 marzo fece testamento.

Lasciò il suo inestimabile patrimonio a parenti e istituzioni, ma la fetta più grossa la destinò alla nipote Ortensia Mancini e a suo marito Armand Charles de La Porte de La Meilleraye, a sua volta nipote di Richelieu, molto probabilmente per omaggiare il suo vecchio benefattore.

Si spense il 9 marzo del 1661 e fu sepolto nella cappella del Collège des Quatre-Nations di Parigi.

Aveva messo fine alla Guerra dei Trent’anni e pacificato due nazioni ostili come Francia e Spagna. Aveva fermato le brame della nobiltà, istruito Luigi XIV all’assolutismo e concentrato tutto il potere nelle mani della corona. Era stato un uomo di chiesa, un mecenate, uno statista scaltro e astuto. La prof.ssa Alessandra Necci della LUISS di Roma lo ha definito un esempio di “Realpolitik”, chissà se Mazzarino sarebbe stato d’accordo con questa definizione…

L’era di Mazzarino stava tramontando e all’orizzonte albeggiava il regno del Re Sole, il monarca illuminato, il simbolo dell’Ancien Régime, che governerà all’insegna della frase: “L’État, c’est moi!“.
Lo Stato sono io!
Fonti:
Aurelio Musi, Le vie della modernità, Sansoni, Firenze, 2015
AA. VV., Chiaroscuro 1, Società Editrice Internazionale, Torino, 2010
Giulio Mazzarino – Wikipedia italiano
Giulio Mazzarino – Wikipedia inglese
Giulio Mazzarino – Wikipedia francese
Giulio Mazzarino – Enciclopedia Treccani