La Nazionale italiana di calcio nasce ufficialmente il 13 gennaio 1910 quando, sulla rivista “Foot-ball”, organo ufficiale della FIGC, il presidente Luigi Bosisio e e il segretario Arturo Baraldi annunciano la costituzione di una commissione tecnica incaricata di selezionare i migliori giocatori italiani per dare vita a una squadra nazionale sul modello di quelle che, già da qualche decennio, si stavano diffondendo nel Regno Unito e nel Nord Europa.

Tale commissione tecnica è composta da ex giocatori divenuti arbitri, dato che di allenatori ancora non si parla. Ne fanno parte Umberto Meazza, Alberto Crivelli, Agostino Recalcati, Giuseppe Gama e Giannino Campello: il giovane Meazza, nato nel 1882 a Milano, sarà designato “allenatore” dagli altri.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Non è un buon momento per cominciare una simile avventura: durante le selezioni dei giocatori è esplosa la grana Pro Vercelli. La squadra piemontese, una delle più forti del campionato, doveva disputare la finale scudetto con l’Internazionale di Milano, ma ha chiesto ripetutamente di far spostare tale incontro per poter disporre di alcuni suoi giocatori che in quel periodo stavano disputando dei tornei militari (che erano diffusissimi a quel tempo).
Non ottenendo il rinvio, il 24 aprile 1910, il presidente Bozino ha schierato una squadra composta da ragazzi delle giovanili, età media 11 anni, che ovviamente ha perso 10-3. La federazione reagisce alla protesta squalificando tutti i vercellesi, dirigenti e giocatori, fino al 31 dicembre dello stesso anno.

Meazza e gli altri devono fare quindi a meno dei fortissimi vercellesi, i giocatori che in quel periodo esprimevano il calcio più atletico e moderno (fra l’altro sono considerati gli inventori del pressing e dei primi schemi di gioco, soprattutto sui calci da fermo), e attingono soprattutto dalle squadre di Milano e di Torino.

Inizialmente dividono i convocati in due compagnie: i “probabili” e i “possibili”, che fecero incrociare in alcune amichevoli, al termine delle quali uno dei “possibili”, Enrico Debernardi, toglie il posto di titolare al talentuoso ma discontinuo Franco Bontadini, uno studente di medicina appena 17enne, che era stato inizialmente inserito tra i “probabili”.

Quando finalmente la squadra scende in campo, contro la Francia, il 15 maggio 1910, davanti ai 4.000 spettatori dell’Arena Civica di Milano, la formazione presenta: il portiere Mario De Simoni, i difensori Francesco Calì (capitano, coetaneo del mister Meazza e unico giocatore di una compagine genovese, l’Andrea Doria), Franco Varisco, Virgilio Fossati e Attilio Trerè, i centrocampisti Domenico Capello, Enrico Debernardi (unici rappresentanti del Torino) e Giuseppe Rizzi, gli attaccanti Aldo Cevenini, Pietro Lana e Arturo Boiocchi. 8 giocatori su 11 provengono da squadre milanesi.
La divisa è composta da maglia e calzoncini bianchi (ancora oggi la divisa di riserva della Nazionale) con calzettoni scuri. La maglia azzurra arriverà solo l’anno seguente

Arbitra l’inglese Harry Goodley. I francesi sono piuttosto accreditati, hanno molta più esperienza internazionale degli italiani, ma la lunga e scomoda trasferta in treno li ha stancati. Gli italiani, poi, hanno dalla loro l’entusiasmo giovanile e il tifo indiavolato del pubblico. E’ il 13′ quando il ventitreenne Pietro Lana, un piccoletto sgusciante soprannominato “fantaccino”, già autore del primo gol in un derby Milan-Inter, porta l’Italia in vantaggio. 7 minuti dopo, il capitano dell’Inter, l’altissimo e atletico ventunenne Virgilio Fossati, che nella vita fa il ragioniere, mette a segno il secondo gol.
Il primo tempo finisce 2-0 per i futuri “Azzurri”
Nella ripresa i francesi tentano la rimonta e al 49′ accorciano le distanze con un gol del veterano Henri Belloq, ma dieci minuti dopo Lana ristabilisce le distanze. Passano altri 3 minuti e Jean Ducruet, astro nascente della compagine francese, segna il 3-2 che sembra riaprire la gara. Ma poi emerge la migliore tenuta fisica degli italiani, che nell’ultima fase dell’incontro segnano ancora 4 volte, con Rizzi, Debernardi e ancora Lana.
Finisce 6-2, nel tripudio degli spettatori

La larga vittoria fa montare un po’ la testa a tutti, dai vertici della FIGC alla commissione tecnica, per arrivare ai giocatori stessi, e si decide di accettare immediatamente l’invito appena ricevuto dalla federazione ungherese per disputare un altro incontro contro quella nazionale, a Budapest, il 26 maggio, appena 11 giorni dopo il primo.
La FIGC (come veniva chiamata allora) ha entusiasmo, ma non ha molti mezzi. Nonostante il successo di pubblico, neanche l’incontro di Milano è riuscito a rimpolpare un po’ le sue magrissime casse. Bosisio e Baraldi, per mandare i giocatori e il mister Meazza in Ungheria, pur raschiando il fondo del barile, riescono al massimo ad acquistare dei biglietti ferroviari di terza classe, per cui i nostri giocatori dovranno viaggiare per una giornata e una nottata intere seduti su panche di legno. La nottata è proprio quella tra il 25 e il 26 maggio, perché non ci sono neanche i soldi per sistemare tutti in un albergo. E nemmeno per mandarli al ristorante. Per risolvere il problema del cibo, Bosisio e Baraldi si rivolgono a uno dei giocatori stessi, Attilio Trerè, che ha un amico salumiere. Questo, dopo un po’ di trattative, pratica un prezzo di favore e fornisce alla Nazionale abbastanza salumi e formaggi stagionati da riempire una valigia, trascinando la quale Trerè raggiunge i compagni direttamente alla stazione centrale di Milano.
La valigia delle vettovaglie sarà la principale preoccupazione dei giocatori durante il viaggio, visto che i vagoni di terza classe sono pieni di ladri

Per tenerla sempre d’occhio, Trerè a un certo punto ci si distende sopra cercando di dormire. I ladri allora si dedicano ad altri obiettivi e rubacchiano qualcosa dai bagagli personali dei giocatori.
Spariscono, tra le altre cose, le scarpe da gioco di Fossati

Sfiniti e mezzo addormentati, gli azzurri scendono in campo nel pomeriggio del 26 e trovano anche un terreno umido e scivoloso, perché sono giorni di pioggia. Fossati, che indossa le scarpe da passeggio in mancanza di alternative, scivola e cade ogni due passi. Si fa male l’attaccante Cevenini e nel secondo tempo deve essere sostituito da un difensore sedicenne che farà molta strada, Renzo De Vecchi, che sarà chiamato “il figlio di Dio” per la sua classe e, nel giro di 15 anni (ma con la guerra di mezzo), disputerà la bellezza di 43 partite in Nazionale (sarebbe come giocarne 150 adesso). Alla fine del primo tempo, i magiari già conducono 2-0, poi ne fanno altri 4 prima che Rizzi salvi l’onore con il gol della bandiera a due minuti dalla fine.
Finisce 6-1 per gli Ungheresi

L’arbitro della gara, l’austriaco Hugo Meisl, sarà poi un ottimo CT della sua nazionale, che sotto la sua guida finirà quarta ai Mondiali del 1934, con l’Italia vittoriosa. Ma questa è una storia molto di là da venire.
