Papa Giovanni XII, al secolo Ottaviano dei Conti di Tuscolo, morì a Roma il 14 maggio del 964. In meno di un decennio di pontificato era riuscito a guadagnarsi una fama degna dei peggiori antieroi della storia. Si diceva che lo avesse ucciso un ictus mandato da Dio per punirlo, che fosse morto durante un amplesso o, peggio ancora, che un oste lo avesse defenestrato dopo averlo colto in flagrante mentre giaceva con sua moglie.

Sulla sua dipartita, in realtà, non si hanno certezze, ma il racconto dell’oste è forse il più suggestivo, perché racchiude i due elementi che hanno contraddistinto la sua vita:
L’amore per le donne e la propensione al tradimento

Nel Liber Pontificalis, di lui si legge che “condusse tutta la sua vita nell’adulterio e nella vanità”. Il cardinale Roberto Bellarmino lo definì “quasi il peggiore di tutti i papi”. E ancora, il vescovo Liutprando di Cremona scrisse che era “un brigante, un assassino e una persona incestuosa”, un “abominevole sacerdote” che aveva “sporcato la cattedra di San Pietro per nove anni” e che aveva meritato la nomea di “più malvagio dei papi”.

Adesso che sappiamo l’epilogo (o meglio, il presunto epilogo della sua biografia), con tanto di giudizio poco lusinghiero degli storici, riavvolgiamo il nastro e partiamo dal principio.

Da Princeps a Papa
Ottaviano nacque a Roma intorno al 937 da Alberico II di Spoleto e da sua moglie Alda. Sua madre era la figlia di Ugo di Provenza, re degli Italici dal 926 al 947, mentre Alberico era un potente nobile che, dal 932, aveva preso il controllo di Roma in qualità di princeps. Crebbe nel palazzo di famiglia con tutti gli agi e gli onori del suo rango, incluse le avventure galanti e le feste.

Poco prima di morire, Alberico preparò la successione del figlio e fece giurare alla nobiltà e al clero di unificare il potere temporale e il potere spirituale dell’Urbe nella figura di Ottaviano. In parole povere voleva che il suo primogenito diventasse princeps e papa. La macchinazione politica funzionò e, quando Alberico si spense, il 31 agosto del 954, nessuno ostacolò il passaggio di testimone da padre a figlio. La seconda parte del piano si concretizzò un anno dopo, quando il pontefice Agapito II morì l’8 novembre del 955 e Ottaviano salì al soglio di Pietro, anche se era appena un diciassettenne e non aveva mai ricevuto alcuna istruzione ecclesiastica.

Ma al neoeletto Giovanni XII poco importava dei precetti della Chiesa e non abbandonò le sue abitudini principesche, che, molto spesso, sfociavano nella goliardia. Si diceva che con lui il palazzo del Laterano, l’allora residenza papale, si fosse trasformato in una sorta di lupanare, dove si susseguivano incontri carnali e atti blasfemi d’ogni sorta.

Un esempio ce lo fornisce il medievalista Ferdinand Gregorovius, che, senza mezzi termini, scrisse: “Un tempo Caligola aveva nominato senatore il suo cavallo. Papa Giovanni, probabilmente in un impeto di ebbrezza, […] concesse in una stalla la consacrazione a un diacono”.

L’alleanza con Ottone
Baldoria e libertinaggio a parte, Giovanni XII qualche ambizione politica ce l’aveva e, sulla falsariga del padre, cercò di preservare e ampliare i territori dello Stato Pontificio. Con la sfrontatezza della sua giovane età e senza alcuna esperienza militare avviò due campagne su fronti opposti: una a nord e una sud.

A sud si avvalse dell’aiuto dei marchesi di Toscana e dei duchi di Spoleto, suoi cugini dal lato paterno, e attaccò Capua e Benevento, ma la campagna si rivelò un completo disastro. Allora Giovanni salì al nord, dove sperava di rivendicare i territori delle donazioni carolinge che, nel corso di due secoli, il Regno d’Italia aveva sottratto alla Chiesa. In un certo senso, il re degli Italici, Berengario II, gli spianò la strada e, quando iniziò a saccheggiare e occupare alcuni possedimenti papali, gli fornì un valido casus belli.

L’occasione era ghiotta, ma Giovanni sapeva di avere di fronte a sé un rivale molto più potente di lui e chiese l’intervento del re dei Franchi Orientali, ovvero Ottone I di Sassonia, che già in passato era sceso in Italia e aveva combattuto contro Berengario.

Il papa lo sollecitò a guidare il suo esercito per difendere l’autonomia della Chiesa e, in cambio, gli promise l’investitura a Imperatore. Ottone rispose alla chiamata, ma l’esercito di Berengario si rifiutò di combattere una guerra persa in partenza e il sovrano dovette barricarsi nella fortezza di San Leo, in provincia di Rimini.

Grazie a questa breve guerra-lampo, Ottone poté recarsi a Roma e, come promesso, il 2 febbraio del 962, Giovanni XII lo incoronò Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. L’alleanza si consolidò il 12 febbraio, con la firma del Privilegium Ottonianum, un accordo in cui il papa si impegnava a tenere fede ai patti e Ottone si ergeva a garante dell’indipendenza dello Stato Pontificio, a cui avrebbe restituito tutte le concessioni territoriali dei suoi predecessori, in particolare, quelle di Pipino il Breve e di Carlo Magno.

Il tradimento del papa
Il 14 febbraio, Ottone ripartì per sferrare l’affondo finale al re degli Italici, ancora arroccato nel riminese, ma Giovanni XII tornò sui suoi passi e, forse su esortazione della nobiltà romana, che mal digeriva l’interferenza di un sovrano straniero, forse temendo di concedere troppo potere del monarca, si mise in contatto con Adalberto, il figlio di Berengario.

Mentre il padre era alle strette fra le mura di San Leo, Adalberto si era alleato con i Saraceni per tentare il tutto e per tutto e difendere la sua successione al trono, ma il voltafaccia del papa spostò l’ago della bilancia in suo favore e lo mise in una posizione di vantaggio. Un vantaggio che, in realtà, poteva concretizzarsi solo con l’effetto sorpresa, ma Ottone seppe della notizia e inviò a Roma dei messaggeri incaricati di far luce sulla vicenda.

Il papa stava intessendo un gioco di alleanze antimperiali che comprendeva anche una corrispondenza segreta con Costantinopoli e la mobilitazione dell’Ungheria contro i territori tedeschi di Ottone; un piano che, per quanto ambizioso, Giovanni non seppe nascondere, perché i legati imperiali riferirono di aver visto Adalberto a Roma.

E, in effetti, il papa lo aveva invitato per siglare l’alleanza contro Ottone, il quale, appena ebbe la prova decisiva del tradimento della Santa Sede, mosse il suo esercito contro Roma per vendicare l’affronto.

La deposizione e il ritorno
Il 2 novembre del 963 l’Imperatore Ottone prese possesso dell’Urbe e Giovanni si rifugiò a Tivoli, dove apprese che il 6 novembre Ottone aveva convocato un sinodo, una sorta di assemblea ecclesiastica, per investigare sulla sua condotta immorale.

Saltò fuori un po’ di tutto, e le varie testimonianze ritrassero un papa intento a elargire cariche dietro pagamento, a ordinare vescovo di Todi un bambino di dieci anni, a consumare frequenti rapporti carnali, quasi sempre adulteri, a giocare d’azzardo e a torturare, castrare e uccidere i suoi rivali.

Il sinodo di Ottone rese di pubblico dominio gli scheletri nell’armadio di Giovanni, ma il pontefice non ci stava a farsi accusare da un’assemblea ecclesiastica non presieduta dalla massima autorità cristiana, come voleva la procedura, e minacciò di scomunicare ogni partecipante che avrebbe acconsentito all’elezione illegittima di un nuovo papa.

I prelati fecero orecchie da mercante e, per ben tre volte, lo esortarono a presentarsi a Roma per assumere personalmente la sua difesa. Ovviamente Giovanni restò al suo posto e, il 4 dicembre del 963, il sinodo lo dichiarò decaduto. A quel punto, Ottone non volle correre rischi e forzò l’elezione di Leone VIII, un papa-fantoccio alle sue dipendenze.

Giovanni non si arrese e, dopo aver fomentato senza successo un’insurrezione popolare il 3 gennaio del 964, attese con pazienza fino a febbraio, quando Ottone ripartì per combattere Adalberto, nel frattempo rifugiatosi a Spoleto. Senza le truppe imperiali a difesa dell’Urbe, i suoi seguaci riuscirono a cacciare Leone VIII dalla città e il papa si riappropriò del suo trono. Il 26 febbraio indisse un concilio in cui dichiarò nullo il sinodo di Ottone e ne invalidò tutte le decisioni, inclusa la successione di Leone VIII, che fu scomunicato perché eletto mentre era ancora in vita il legittimo pontefice.

Seguirono mesi di vendette, mutilazioni e rimozioni dagli incarichi nei confronti di coloro che avevano cospirato contro di lui, ma Giovanni sapeva che prima o poi Ottone avrebbe provato ad attaccarlo di nuovo e cercò di tessere nuove alleanze o, in alternativa, di scendere a patti col sovrano.
Nei fatti, morì il 14 maggio di quell’anno e non ci fu bisogno né di un accordo né di una guerra

Il giudizio di Gregorovius
In conclusione, torniamo al giudizio degli storici e, se prima abbiamo visto i commenti dei suoi detrattori, adesso soffermiamoci su una particolare considerazione di Ferdinand Gregorovius, che, nel suo libro Storia della città di Roma nel Medioevo, scrisse:
“Il figlio del glorioso Alberico fu così vittima della sua incontrollata passione e della posizione ambigua che lo costringeva a essere Princeps e Papa allo stesso tempo. La sua giovinezza, la grandezza del padre e le tragiche contraddizioni della sua posizione reclamano per lui un giudizio indulgente”.

In effetti, Ottaviano fu più princeps che papa e, che lo si voglia condannare o meno per il suo carattere lussurioso e avventato, è giusto ricordare che ad appena diciassette anni, e senza alcuna istruzione, il padre lo aveva posto al centro di un gioco politico molto più grande di lui.
Fonti:
Giovanni XII – Enciclopedia Treccani
Ottaviano diventa papa tra belle donne e intrighi di corte – La Repubblica
Papa Giovanni XII – Wikipedia italiano
Pope John XII – Wikipedia inglese