Giovanni Battista Della Porta:lo studio della Fisionomia Umana e l’Accademia dei Segreti

Mago, Filosofo, Alchimista, Scienziato? Giovanni Battista Della Porta (o Gianbattista o Giovambattista) era tutto questo.

Giovanni Battista Della Porta

Era un uomo poliedrico o, come diremmo oggi, multitasking: mentre si dedicava ad uno studio già pensava al passo successivo per i suoi esperimenti. Un uomo che con la sua smisurata sete di conoscenza ha spaziato in tutti i campi, con il solo scopo di scoprire il “meraviglioso” nella scienza.

Nacque a Vico Equense (Napoli) nel 1535, per la precisione il 1° novembre, e visse nei tumultuosi anni della rivoluzione scientifica e della rivoluzione protestante. Anni non facili per chi, come lui, si dedicava alle scoperte scientifiche anima e corpo.

Era un uomo molto erudito per la sua epoca, amato ma anche temuto, contestato, invidiato, odiato e venerato come pochi. Scatenava sentimenti contrastanti e soprattutto di diffidenza in chi considerava la “nuova” scienza una blasfemia e un’offesa a Dio.
Ma Giovanni Battista non era “semplicemente” un erudito: per la sua eccezionale capacità d’intelletto, era un autentico fuoriclasse nello studio e anche per questo incuteva soggezione.

Un uomo che, prima di Galileo Galilei, aveva dato un grande contributo alla scienza, nello specifico all’astronomia, con l’invenzione del telescopio, sul quale scrisse il “De Telescopio”, un piccolo trattato dove descrisse il funzionamento dello strumento e come fosse costruito, anche se di fatto lui non lo usò mai, ammettendo con ammirabile sincerità di non esser mai riuscito a capirne bene il funzionamento e dando di fatto il merito dell’invenzione a Galileo Galilei.

Giovanni Battista detestava l’appellativo di “mago” e ovviamente non si considerava tale, ne prendeva le distanze: lui riteneva di essere un sapiente. E, come ogni sapiente, era attratto da tutto ciò che c’era ancora da scoprire, come la natura e la sua “magia”. La considerava immutevole e perfetta, e questo lo spingeva in ricerche sempre più specifiche per carpirne i segreti.

Giovanni Battista crebbe in una famiglia agiata, dove la cultura era di casa e si discuteva abitualmente di materie scientifiche. Suo padre, Nando Antonio, che aveva sposato una nobildonna della famiglia degli Spadafora, era proprietario terriero e armatore di navi, ma aveva anche il prestigioso incarico di scrivano di mandamento, ereditato poi dal figlio maggiore, Gian Vicenzo. Insomma, il ragazzo viveva in un ambiente favorevole alla sua crescita culturale, ma solo lui, tra i fratelli, lascerà un segno nella storia della scienza.

La sua passione per lo studio lo trasportava a tal punto da farlo spaziare in molteplici discipline, dalle materie scientifiche a quelle pseudoscientifiche, come l’alchimia. Il suo voler indagare ogni argomento lo spingeva sempre in avanti, ma questa sua sete di sapere presentava anche degli svantaggi: svolgere ricerche su materie così disparate comportava una certa dispersione e mancanza di approfondimento, mentre i suoi appunti erano spesso sparpagliati e non sempre completi.


La sua sete di conoscenza era alimentata anche da insegnati capaci, come Donato Antonio Altomare e Giovanni Antonio Pisano, ma altri, come Domenico Pizzimenti, lo indirizzarono verso l’alchimia, materia che lo appassionò più di altre.

Lo studio dell’alchimia, mediante scoperte scientifiche che ben si collegavano ad essa, lo spinse a pubblicare, nel 1558, un’opera dove espose il suo sapere, il Magiae Naturalis; in seguito pubblicò il De Furtivis Literarum Notis, un libro crittografico dove diede sfoggio della sua conoscenza della crittografia, appunto, e del concetto di sostituzione polialfetica. Non a caso, grazie a queste opere, la sua popolarità salì vertiginosamente, nonostante le restrizioni dovute all’inquisizione, che lo costrinsero a firmarsi sotto pseudonimo. Questi sotterfugi editoriali servirono allo scopo, anche se tutti sapevano chi fosse l’autore.


La mente eccelsa di Giovanni Battista venne riconosciuta da chi era in grado di apprezzarla e, grazie a questa fama crescente, fondò l’Academia Secretorum Naturae (Accademia dei Segreti della Natura), una sorta di club privato dove, per entrare, era necessario non solo dimostrare d’aver fatto una nuova scoperta scientifica nell’ambito delle Scienze Naturali, ma anche esporre il “meraviglioso” e il “metodo scientifico” grazie al quale si era arrivati alla soluzione strabiliante. In altre parole: occorreva superare un test nel test se si teneva a farne parte… (da una parte, l’Academia si potrebbe definire una sorta di oasi, una bolla paradisiaca dove studiare e confrontarsi con persone alla pari in tranquillità; dall’altra, a ben vedere, si trattava di una situazione alquanto chiusa e snob per chi volesse intraprendere lo stesso cammino degli eruditi).

Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium


L’interesse verso le scienze arcane non era cosa nuova e sconosciuta: la materia si studiava già nel Medioevo e Giovanni Battista si era “limitato” a raccoglierne i segreti, approfondirli, per poi divulgarne il contenuto in un nuovo libro. La fortuna del manoscritto fu anche dettata dalla nascita dei caratteri mobili, che ne velocizzavano la stampa e la divulgazione. Questa raccolta non era altro che un insieme di ricette per preparazioni che nell’era moderna verranno chiamate farmaci, con anche annotazioni sui loro effetti benefici.

Ma il Secretorum Nature non era solo questo: si trattava di una sorta di enciclopedia dove venivano trattati argomenti che andavano oltre la medicina e la chimica; si occupava di materie come metallurgia, cosmesi, agricoltura, caccia, ottica e nozioni per costruire macchine. Un vero e proprio libro del sapere, che non tutti avrebbero accolto bene o avrebbero capito. Era insomma destinato a chi poteva definirsi “professore di segreti”, un erudito di alto livello.

Quest’aura di mistero non passò inosservata. Come si può immaginare le invidie e le malelingue cominciarono presto a girare, insieme alle accuse di occultismo rivolte all’Academia. Come prevedibile, Giovanni Battista fu il primo ad essere sospettato e indagato dall’Inquisizione per ordine papale. Dunque, così com’era nata, l’Academia dei Segreti chiuse i battenti. Era il 1579, l’oasi di pace aveva avuto una vita assai breve. Al suo fondatore fu concesso di continuare gli studi sulle scienze naturali ma non di proseguire oltre con lo studio dell’alchimia.

Si potrebbe pensare che Giovanni Battista avesse chiuso l’Academia per timore o per compiacenza verso il papato. Invece no, lo studioso aveva capito che la sua piccola impresa non sarebbe comunque andata avanti a lungo e l’inquisizione aveva solo concluso la sua avventura con un po’ di anticipo.

Dopo la breve parentesi dell’Academia, decise di andare via da Napoli, spostandosi prima a Roma e poi a Venezia, nel 1581. Fu però a Ferrara che conobbe il cardinale Luigi d’Este e qui pubblicò ancora trattati sull’agricoltura, dal titolo “Pomarium” e “Olivetum”, ma presto focalizzò i suoi studi sulla fisiognomica e fitognomica (dal greco pyhtos+ gnome –opinione, sentenza= fitognomica), pubblicando “De humana physiognomia”, un’opera di ben quattro volumi, che dedicò proprio al cardinale.

Illustrazione dal De humana physiognomonia (1586)

Questa tetralogia ebbe grande successo e riscosse così tanto interesse che in seguito la casa editrice Tarquinio Longo di Napoli, che ne aveva curato la prima versione, ne editò una seconda, ampliandola a sei volumi; in questo caso le nozioni già presenti furono rimaneggiate per non incappare in censure.

Questa raccolta divenne un vero e proprio best seller dell’epoca, influenzando talmente tanto gli altri studiosi da essere preso a esempio per il metodo e lo studio. Il successo valicò i confini dell’Italia e il trattato finì nelle mani dello svizzero Johann Kaspar Lavater, che ne rimase così positivamente colpito da citarlo nelle sue opere.

Questa opera suscitò così tanto interesse perché Giovanni Battista vi racchiuse nozioni e ragionamenti rivoluzionari, alcuni del tutto personali, basati sulla sola osservazione del prossimo: “l’animo non è impassibile rispetto ai moti del corpo e, così come il corpo, si corrompe per le passioni”.

Illustrazione dal Phytognomonica, che evidenzia l’analogia tra piante e animali


Della Porta studia ogni dettaglio del corpo umano, persino i segni sulle mani (soprattutto quelle dei criminali), alla ricerca di un indizio che lo aiuti a comprendere a pieno i caratteri degli uomini. Lo studio dei segni sulle mani, che secondo lo studioso non sono frutto del caso, è un’importante “chiave” di lettura per comprendere l’uomo.

Giovanni Battista si appassionò anche agli studi sulla locazione geografica delle piante, grazie all’alchimista Oswald Croll, con il quale aveva stretto forti contatti. Questa grande amicizia diede modo all’erudito di conoscere l’opera di Paracelso, altro nome illustre tra gli alchimisti, per il quale provò immediata ammirazione.

Paracelso non era semplicemente ritenuto “un alchimista”, ma l’Alchimista per eccellenza, il Sommo, una vera e propria leggenda vivente. Spinto da questo entusiasmo, Giovanni Battista sperimentava quanto più possibile per arrivare a composti chimici che avessero effetti benefici sull’organismo umano: voleva regalare al mondo qualcosa di strabiliante, che nessuno mai era riuscito a dare. Sperimentò farmaci per aiutare chi soffriva di incubi notturni e per stimolarne bei sogni, cercò un rimedio contro impotenza e sterilità, cercò di trovare una soluzione per chi soffriva di problemi legati alla memoria e molto altro ancora…

Studi forsennati e fatti con entusiasmo, che risultavano però piuttosto dispersivi e purtroppo anche assai dispendiosi, tanto è vero che fu costretto a vendere parte dei suoi beni immobili per saldate i debiti che aveva contratto nel tempo.

Della Porta espresse così il suo disagio:

Difficile operare senza il supporto di mezzi finanziari. Bisogna arricchirsi per poter filosofare e non filosofare per arricchirsi

A salvarlo da una situazione economica assai precaria fu il matrimonio con Cinzia, la figlia di un discendente della nobile famiglia Di Costanzo di Pozzuoli, alla quale Giovanni Battista fu sempre riconoscente. Come dono per il nobile gesto di finanziarlo, donò la sua biblioteca, il suo bene più prezioso, alla famiglia.

Se il problema economico era risolto, non lo era affatto quello della nomea acquisita: i suoi studi procedevano ma il timore di essere accusato per qualcosa che non aveva commesso lo aveva accompagnato per tutta la sua esistenza. Era infastidito dall’essere additato o solo osservato da sguardi obliqui, ma si irritava ancora di più quando qualcuno riteneva che le sue ricerche alchemiche fossero paragonabili a pratiche magiche, dunque proibite e oscure. E riteneva ancor più ingiusto che l’Inquisizione non volesse capire l’importanza dei suoi studi, cosa che difatti non capì mai, neppure dopo la sua morte avvenuta a Napoli il 4 febbraio del 1615.

Giovanni Battista morì lasciando dietro di sé strascichi di rimpianti per non esser riuscito nel suo intento di far cambiare mentalità alla Chiesa, ma mai avrebbe immaginato che, invece, al suo funerale ci fosse una partecipazione tanto commossa da chi lo aveva ammirato in vita.

Dopo la sua morte, l’ultimo discendente della famiglia Di Costanzo, il Duca Francesco Maria, donò la biblioteca alla deputazione del Tesoro di San Gennaro e con essa l’intero palazzo Della Porta, nel centro di Napoli.

Chi era davvero Giovanni Battista Della Porta? Non lo sapremo mai con certezza, ci basti sapere che era “semplicemente” un uomo dalla smisurata voglia di conoscenza.


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