Palermo, 30 luglio 1789. Giovanna Bonanno (1713-1789), un’anziana mendicante conosciuta da tutti come “la Vecchia dell’Aceto”, viene impiccata di fronte a un cospicuo pubblico di nobili e curiosi. L’accusa è di “stregoneria”, ma la condanna viene pronunciata per avvelenamento. In breve tempo è tutto finito, la Bonanno è morta e le vie della città tornano al loro ordinario tran-tran.
Ma cos’era successo, e perché Giovanna è finita a pendere dalla forca?
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Per capirlo bisogna tornare indietro di qualche anno, precisamente al 1786. Giovanna osserva (forse, o forse ne viene solo a conoscenza) la scena che cambierà la sua vita e porrà termine a (molte) altre. Una bambina, dal nome sconosciuto, giace tramortita e sofferente fra le braccia della madre. Questa la sta portando dall’aromatario, tale La Monica, che le aveva venduto dell’aceto per pidocchi, sbadatamente ingerito dalla piccola. La bambina ha conati di vomito e sembra essere in punto di morte. Il venditore le fa ingoiare un certo quantitativo d’olio per farla vomitare, cosicché la malata espelle tutto il veleno.
La bimba è salva, ma non sa che ha inconsciamente acceso una scintilla di morte che avrà un lungo strascico
Giovanna fa una prova per vedere che effetto abbia questo aceto per pidocchi su un animale. Prende uno dei tanti cani randagi che girano nel suo quartiere, la Zisa, lo lega a un palo e gli fa mangiare un pezzo di pane intriso nell’aceto per pidocchi, e poi se ne va. Il mattino seguente trova il cane morto, ne controlla la bocca e il pelo e scopre che non ci sono particolari tracce di avvelenamento.
Incisione di Giovanna Bonanno, di Bartolomeo Pollini, 1789:
Ha trovato il veleno per l’assassinio perfetto
Inizia così un business prolifico per la donna, in grado di risolvere in modo forzoso alcune situazioni di infelicità coniugale e migliorare la sua condizione di povera mendicante. La Bonanno inizia a vendere una mistura composta da aceto per pidocchi, vino e arsenico, in grado di ammazzare la vittima in breve tempo e senza lasciare tracce visibili riguardo le cause della morte.
La prima cliente è Angela La Fata, desiderosa di spedire all’altro mondo il marito Giuseppe e sposarsi con l’amante, tale Giuseppe Billotta. Giovanna Bonanno consegna ad Angela una quantità di veleno pari a quella che aveva ucciso il cane della prima prova, ma l’intruglio non ottiene l’effetto desiderato.
Il La Fata patisce forti dolori addominali ma non muore
Il giorno seguente Angela riceve un’altra dose di Aceto per Pidocchi, naturalmente venduto in un’anonima ampolla, e somministra una nuova dose al marito, il quale vomita e si contorce ma non muore. Nei giorni seguenti prosegue il viavai fra l’aromataio, la Bonanno e la La Fata. Infine, dopo alcune somministrazioni, il povero Giuseppe lascia questo mondo fra atroci sofferenze. La Bonanno ha sperimentato un veleno potente, anche se lento nell’agire, che ha venduto al costo di sei tarì alla prima cliente.
La pozione “ammazzamariti” è pronta alla commercializzazione
La seconda cliente è tale Margherita Serio, che non vuole il veleno per sé ma per un’amica, Emanuela Molinari, desiderosa di liberarsi del marito, il fornaio Ferdinando Lo Piccolo. Anche per quest’ultimo una sola ampollina non è sufficiente, ma ne basterà solo un’altra per completare l’opera. La Bonanno, intascando il premio in denaro della felice vedova, afferma, riferendosi al morto:
Lu signuri ci pozza arrifriscari l’armicedda
“Il signore possa rinfrescargli l’anima”. Dopo i primi due assassini, la fama della “vecchia dell’aceto” cresce, e trova anche una socia in affari, Rosa Billotta, che si adopera per procurarle clienti dietro corresponsione di lauta percentuale. Muoiono Agostino Caracciolo, assassinato dalla moglie Rosalia Consales; un’unica donna, Rosa Coschiera uccisa dal marito Peppi d’Ancona; Cesare Ballo, ucciso dalla moglie Marianna Tabbitta desiderosa di sposare l’amante e Francesco Costanzo, ucciso dalla moglie Rosa Mangano che aveva una tresca col giardiniere, Emanuele Cascino.
In totale le vittime sono sei, ma gli studiosi che hanno esaminato le carte del processo, in particolar modo il medico ottocentesco Salvatore Salomone Marino, ipotizzano che il numero potesse essere decisamente più cospicuo.
Vien da pensare a numero di vittime superiore anche dalle circostanze del suo arresto. La Bonanno consegna a una delle socie in affari, Maria Pitarra, una dosa di veleno, disinteressandosi su quale fosse il destinatario. La vittima era il figlio di una sua conoscente, probabilmente tale Giovanna Lombardo, che si disperò cercando vendetta nei confronti della moglie assassina, nel frattempo affrettata a sposarsi con l’amante, e nei confronti delle fornitrici del veleno.
La Lombardo organizza quindi un tranello: nell’Ottobre del 1788 chiede a Giovanna Bonanno una dose di veleno per uccidere un conoscente, ma si presenta all’appuntamento con quattro testimoni, e la “Vecchia dell’aceto” viene arrestata. Il processo si svolge davanti alla Corte Capitaniale di Palermo, e insieme a Giovanna Bonanno finisce sulla forca anche Maria Pitarra, complice che venne trascinata per le strade e costretta a baciare i piedi del boia e del patibolo prima di finire impiccata in Piazza degli Ottangoli, l’odierna Piazza dei Quattro Canti. Il corpo della “vecchia dell’aceto” è sepolto nel cimitero fuori Porta di Vicari, mentre al Museo Etnografico Siciliano Giuseppe Pitrè si trova un busto che ne riporta (o immagina)le fattezze.
Si conclude in questo modo la vita di una donna che è improprio definire “serial killer” perché non fu lei a uccidere i mariti delle donne ma le mogli stesse, la cui colpa fu la commercializzazione, conoscendo bene lo scopo, di una soluzione a base di aceto per pidocchi.
Fonti: Wikipedia, libro “I Veleni di Palermo” di Rosario lo Duca.