Perlasca si definiva un impostore, ma il suo coraggio e la sua inventiva, tanto incredibili da diventare credibili, erano pari solo alla sua umanità e alla sua riservatezza, perché, come diceva il ciclista Gino Bartali:
Certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca

L’adesione al fascismo e l’incarico in Ungheria
Giorgio Perlasca nacque a Como il 31 gennaio del 1910. Crebbe a Padova, dove il padre si era trasferito insieme alla famiglia per lavorare come segretario comunale prima a Due Carrare, poi a Maserà. Fin da giovanissimo abbracciò le idee nazionaliste e fu espulso da tutte le scuole del regno per una terribile lite con un professore che contestava la “Vittoria mutilata” e l’impresa di Fiume. Aderì al fascismo negli anni ’20 e, appena maggiorenne, iniziò la carriera militare partendo volontario per l’Africa Orientale e combattendo in Spagna con i franchisti.

Nel 1938, si allontanò dal fascismo, perché contrario alle leggi razziali e al Patto d’acciaio con la Germania, ma le sue idee restarono nazionaliste e non fu mai un vero antifascista. Con l’inizio della Seconda guerra mondiale, fu inviato in Ungheria per acquistare le forniture di carne per l’esercito e, anche se il suo era più un ruolo da commerciante, godette dello status di diplomatico.

L’Ungheria dalla Prima alla Seconda guerra mondiale
La situazione politica ungherese era stata piuttosto turbolenta dopo la caduta dell’impero Austro-Ungarico e il trattato di Versailles di fine Prima guerra mondiale. L’Ungheria aveva perso 2/3 del territorio in favore della Romania e della Jugoslavia, non aveva più Fiume, che era l’unico sbocco sul mare della nazione, e aveva assistito alla morte di circa 14 milioni dei suoi abitanti.

Nel 1919, salì al potere il comunista Bèla Kun, personalità dominante della neonata Repubblica Sovietica Ungherese, ma l’ex ammiraglio e comandante supremo della Marina Imperiale austro-ungarica Miklòs Horthy appoggiò le rivendicazioni dei nazionalisti e, nel 1920, li aiutò a rovesciare il governo.
L’Ungheria si trasformò in una monarchia senza re con Horthy come reggente

Nessuno voleva il ritorno di Carlo d’Asburgo e l’ammiraglio dovette dissuadere l’ex imperatore per ben due volte – la seconda addirittura con minacce – dal conservare il trono d’Ungheria.

Lo scontento del dopoguerra favorì la crescita dei movimenti nazionalisti e, come in Germania, il diffondersi di sentimenti antisemiti. Gli ebrei erano perfettamente integrati durante l’Impero, ma adesso venivano considerati responsabili della situazione miserabile a seguito della guerra.

Nel 1920 cominciarono le prime restrizioni, ma fu solo con l’ascesa di Hitler nel 1933 e l’avvicinamento dell’Ungheria alla Germania che si assistette alle discriminazioni peggiori e, a partire dal 1938, furono applicate le leggi razziali di Norimberga, che prevedevano il trasferimento degli ebrei nei campi di lavoro tedeschi.

Non sappiamo se Horthy fosse a conoscenza della realtà dei campi e, alla fine della guerra, non fu accusato di crimini contro l’umanità. Era un “do ut des”: forza lavoro ebrea in cambio della restituzione dei territori persi.
Nel 1940, l’Ungheria entrò nella Seconda guerra mondiale al fianco di Germania e Italia, ma il sostegno militare alle forze dell’Asse ebbe un prezzo altissimo.
Con l’invasione della Russia e la Battaglia di Stalingrado, le truppe ungheresi furono completamente annientate

Nel 1943, Horthy cercò di avvicinarsi agli Alleati e prese le difese degli ebrei. La reazione dei tedeschi non si fece attendere. Nel marzo del 1944, invasero l’Ungheria, crearono un governo fantoccio e, in soli tre mesi, i nazisti ungheresi, le cosiddette Croci Frecciate, deportarono centinaia di migliaia di ebrei.

L’operato sotto copertura di Perlasca
Perlasca fu arrestato dai tedeschi per il suo rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò, ma approfittò di un ricovero ospedaliero e riuscì fortunosamente a fuggire e rifugiarsi nell’Ambasciata spagnola.

Gli iberici lo accolsero bene, perché era ancora in possesso dei documenti a nome Jorge Perlasca, ottenuti quando combatteva con i franchisti. Sempre con questo nome, gli vennero rilasciati nuovi documenti regolari e divenne amico dell’ambasciatore Angel Sanz Briz, che collaborava con i diplomatici degli altri paesi neutrali – Svezia, Svizzera, Vaticano e Portogallo – per aiutare gli ebrei a nascondersi in case sicure controllate dalle ambasciate e a fornire loro dei lasciapassare per permetterne l’espatrio.

In Spagna, infatti, era in vigore una legge, emanata da Miguel Primo de Rivera nel 1924, che riconosceva la nazionalità spagnola agli ebrei sefarditi espulsi dalla Regina Isabella alla fine del 1400.

A novembre la situazione precipitò. Sanz Briz, che non riconosceva il nuovo governo ungherese, dovette lasciare l’Ungheria per la Svizzera e le Croci Frecciate cominciarono a sgomberare le case controllate dall’ambasciata, non più protette dall’immunità diplomatica.
Perlasca fermò i nazisti ungheresi e si inventò di essere il sostituto di Sanz Briz, nominato per farne le veci durante la sua assenza in missione diplomatica.

Ovviamente non c’era nulla di vero e l’ambasciata spagnola era quasi deserta; così Perlasca scrisse da solo la delega di Sanz Briz, con tanto di firme e timbri originali da presentare ai tedeschi.
Era talmente incredibile che i tedeschi non si accorsero dell’inganno

Perlasca e Raoul Wallenberg, l’incaricato del re di Svezia al salvataggio degli ebrei, cominciarono a nascondere uomini, donne e bambini in delle case protette, per poi farli scappare via treno dando loro documenti e lasciapassare spagnoli e svedesi per il ricongiungimento con le loro famiglie.

Sembra incredibile, ma, nel 1944, Perlasca, con un coraggio da leone e una notevole faccia di bronzo, riuscì a far espatriare 5.218 ebrei e, insieme a Wallenberg, che ne aveva salvati altrettanti, riuscì a impedire che il ghetto di Budapest venisse distrutto insieme ai suoi 60.000 abitanti.
Dei circa 790.000 ebrei presenti in Ungheria nel 1941, ne sopravvissero solo 200.000, ma la sua fu comunque una missione eccezionale

Giusto fra le Nazioni
Nel gennaio del 1945, l’Armata Rossa entrò a Budapest e arrestò i due diplomatici. Perlasca fu liberato dopo pochi giorni, ma Wallenberg non fu altrettanto fortunato e finì imprigionato in Unione Sovietica.
Ancora oggi, non si sa né quando né in che circostanze morì
Secondo i russi, che ammisero di aver commesso un tragico errore, si spense nel 1947, nel palazzo della Lubjanka di Mosca, dove avevano sede i servizi segreti, ma, secondo altre fonti, rimase vivo in un gulag almeno fino agli anni ’70.

Perlasca, invece, riuscì a rientrare in Italia dopo un lunghissimo viaggio via Balcani e Turchia. Riprese la solita vita, non disse nulla nemmeno ai familiari e si limitò a scrivere tre copie di un memoriale su quanto accaduto.
Una copia era per il governo spagnolo, una per quello italiano e l’ultima la tenne per sé

Se Sanz Briz gli fece sapere che non doveva aspettarsi riconoscimenti dalla Spagna, il governo italiano non si prese nemmeno la briga di rispondere.
Un paio di articoli su di lui negli anni ’60 passarono totalmente inosservati, e i suoi familiari seppero del memoriale solo nel 1980, quando Perlasca ne parlò in seguito a un ictus, ma si riprese e ordinò loro di mantenere il segreto.

Nel 1987 alcune donne ebree ungheresi riuscirono a rintracciarlo – credendo che fosse spagnolo, lo avevano cercato in Spagna per 42 anni – e raccontarono la sua storia. I primi riconoscimenti arrivarono da Israele: il Vad Yashem lo inserì nei Giusti fra le Nazioni nel 1989, ottenne una stele e un albero nel giardino di Gerusalemme e un’intera foresta di 10.000 alberi, piantati nella foresta di Ahihud vicino ad Acri, a rappresentare gli ebrei fuggiti alla morte grazie al suo impegno.
Il governo israeliano gli conferì la Medaglia della Knesset, l’Ungheria la Stella al Merito

Giornali e televisioni si interessarono a lui e Perlasca uscì dal silenzio, accettando di parlare anche in alcune scuole, ma sempre riservato, ritroso e senza protagonismo.
A quel punto si svegliò anche il Governo Italiano. Nel 1991, fu nominato Grande Ufficiale della Repubblica, il senato gli concesse un vitalizio – che però rifiutò – e lo insignì della medaglia d’oro al merito civile, a cui fece seguito, dalla Spagna, la Gran Croce dell’Ordine della Regina Isabella.

Morì il 15 agosto 1992, per un attacco di cuore, ed è sepolto a Maserà. Giovanni Minoli, che gli dedicò una puntata del programma televisivo Mixer, lo descrisse con queste parole: «Oggi è un eroe nazionale e un fiore all’occhiello per tutti. Ma è anche un po’ martire, per via del silenzio in cui ha vissuto… Con Perlasca il conto non tornava: un ex fascista era stato un eroe vero nella salvezza degli ebrei».
Su di lui il libro di Enrico Deaglio La banalità del bene, il film Perlasca, del 1993 e il film per la TV Perlasca – un eroe italiano, del 2005 tratto dal libro di Deaglio.