Roma, Anno Domini 1600. A Campo dei Fiori c’è una pira che attende il condannato del giorno. È una persona illustre, un eretico che con la sua oratoria si è procurato ben tre scomuniche – dal cattolicesimo al luteranesimo, passando per il calvinismo – che ha osato contraddire la filosofia aristotelica in voga nel pensiero occidentale e offendere l’alta concezione di quello stesso Dio i cui vicari si apprestano a bruciarlo.

Per anni Giordano Bruno ha girato l’Europa professando qualcosa che veniva ritenuto profano e, quella mattina del 17 febbraio, è lì davanti alla folla con una mordacchia, una sorta di museruola, che gli blocca la lingua, affinché non possa esprimersi con le sue eresie.

I gendarmi lo spogliano, lo trascinano sopra il palo e lo legano. La folla applaude, grida, strepita. Vuole il suo spettacolo tanto quanto la Chiesa vuole la morte dell’eretico. Ed ecco che il rogo prende fuoco e le fiamme avvolgono Bruno e pongono fine alla sua esistenza terrena.
La morte di Giordano Bruno in Giordano Bruno, con Gian Maria Volonté
La filosofia di Giordano Bruno
L’intera filosofia di Giordano Bruno si basa sull’amore per la conoscenza della natura, che per il filosofo altri non è che Dio stesso. Per lui il Dio della Chiesa è al contempo mens super omnia, mente al di sopra di tutto, e mens insita omnibus, mente insita in tutto. Nel primo caso Dio è lontano dalla concezione umana e può essere solo oggetto di fede e venerazione, ma nel secondo caso è anche tutto ciò che ci circonda. Ne consegue che la filosofia bruniana considera l’umanità, il cosmo e l’universo tanti piccoli tasselli collegati gli uni agli altri, che, se messi insieme, formano la totalità di Dio.
Ma se Dio è infinito e potente, come può aver creato qualcosa di finito? Ed è qui che Bruno si discosta dalle percezioni aristoteliche e afferma qualcosa di rivoluzionario.
Non esiste solo la Terra, non esiste solo un sole; le stelle che vediamo in cielo non sono le uniche stelle del firmamento. Esistono mondi infiniti, altri soli, altre stelle
Concetti che oggi paiono scontati, ma che all’epoca erano tutt’altro: Eresie.

Ma tornando al dualismo di Dio. Se la sua parte super omnia è al di sopra dell’essere umano, quella insita omnia può essere studiata e contemplata con un eroico furore che innalza lo studioso a ricercatore dell’infinito. E così l’uomo in cerca di conoscenza sulla componente materiale di Dio finisce per essere egli stesso un emulatore di Dio. In poche parole, il desiderio di conoscere la natura è ciò che spinge l’essere umano ad avvicinarsi alla condizione divina attraverso la ragione.
Alla luce di questa breve spiegazione dei tratti salienti della sua filosofia, è facile immaginare perché il 17 febbraio del 1600 Giordano Bruno si trovasse sul rogo, ma andiamo con ordine e scopriamo passo dopo passo la sua vita da intellettuale-giramondo.

Dal convento alla scomunica
Filippo Bruno, suo nome di battesimo, nasce a Nola, in provincia di Napoli, in un giorno imprecisato del 1548, da Giovanni Bruno e Fraulissa Savolina. Fin da bambino ha una grande sete di conoscenza e, forse più per facilitarsi l’accesso a determinati studi piuttosto che per vocazione, a 14 anni entra nel convento napoletano di San Domenico Maggiore. Segue la regola domenicana e assume il nome di Giordano, ma la carriera ecclesiastica non gli interessa, mentre approfitta della sua appartenenza all’Ordine per godere di una condizione privilegiata.

Negli anni a Napoli divora libri su libri, legge e studia il pensiero di ogni uomo, cristiano o pagano che sia, in particolare quello di Erasmo da Rotterdam. Non gli importa se a parlare è un eretico, o presunto tale; a Bruno importa solo di apprendere, di conoscere. Diventa sacerdote nel 1572 e tre anni dopo si laurea in teologia, ma il suo carattere lo porta spesso a scontrarsi con i confratelli, ed è proprio durante una discussione del 1576 che si procura i primi guai col Sant’Uffizio. Quell’anno discute con frate Agostino Da Montalcino sull’arianesimo, e solleva dei dubbi sulle affermazioni eretiche a proposito della negazione della Trinità. Per Bruno non è poi così sbagliato pensare che Dio non sia al contempo padre, figlio e spirito santo, ma Agostino non è dello stesso avviso e lo denuncia ai domenicani, che istruiscono contro di lui un processo per blasfemia.

Così ha inizio il primo dei tanti pellegrinaggi in giro per l’Italia e per l’Europa. Bruno scappa e trova rifugio a Roma, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, ma da Napoli giunge notizia che nella sua stanza sono stati ritrovati i testi proibiti di Erasmo da Rotterdam ed è costretto ad abbandonare l’abito sacerdotale e ripiegare a Genova.

Gli anni in giro per l’Europa
Giordano Bruno viene scomunicato e perseguitato dalla Chiesa e trascorre due anni fra Liguria, Piemonte, Veneto e Lombardia, poi, nel 1579, arriva a Bergamo, e da lì decide di cambiare aria. Arriva a Ginevra e, in piena Controriforma, aderisce al calvinismo per ambire a una cattedra universitaria, ma entra in contrasto con il professor Antoine de la Faye e lo scredita pubblicamente, oltre a criticare, in via generale, la scarsa preparazione filosofica dei pastori calvinisti.

Le autorità lo arrestano per diffamazione e il 27 agosto viene processato, scomunicato e costretto a ritrattare le sue affermazioni. Bruno fa di nuovo i bagagli e si accasa all’Università di Tolosa, dove ottiene la cattedra di filosofia e si fa apprezzare per la sua grande memoria, che mostra in moltissime sfide con i suoi studenti e colleghi.

Per due anni va avanti senza problemi, ma i contrasti fra cattolici e ugonotti raggiungono la città e decide di spostarsi a Parigi per godere della protezione di re Enrico III, suo grande estimatore. Il sovrano lo nomina lecteur royal, una sorta di accademico di corte, ma il protrarsi delle guerre religiose in Francia lo persuade a mettersi al seguito dell’ambasciatore Michel de Castelnau e accompagnarlo in Inghilterra nell’aprile del 1583.

A giugno fa tappa a Oxford, tiene qualche lezione sulle teorie copernicane, che ovviamente gli costano l’inimicizia dei colleghi, e torna a Londra, dove si impegna nella produzione di alcune delle sue opere più importanti. Nel 1585 Enrico III richiama a Parigi Castelnau e Bruno segue il protettore nel viaggio a ritroso di due anni prima. Ma la Francia non è più stessa; anzi, si rivela un ambiente ormai troppo ostile e, nel 1586, parte per la Germania.

Prima soggiorna a Magonza, poi raggiunge Marburgo e chiede una cattedra, ma l’università non gliela concede. Alla fine si ferma a Wittenberg e diventa docente Doctor Italicus. Trascorre due anni all’insegna della tanta agognata libertà filosofica che sperava di trovare. In quel periodo scrive ed espone senza timore le sue idee, ma nel 1588 il suo animo nomade prende il sopravvento e si trasferisce a Praga.
Lo fa non senza lasciare un addio pieno di gratitudine a colleghi e alunni, con i primi che ne apprezzavano l’ingegno e i secondi che lo ammiravano e veneravano come “essere sublime”.

Nella sua Oratio valedictoria, una sorta di commiato su carta, Bruno scrive:
“Sebbene fossi di nazione forestiero, esule, fuggiasco, zimbello della fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore, premuto dall’odio della folla, quindi sprezzabile agli stolti e a quegli ignobilissimi che non riconoscono nobiltà se non dove splende l’oro, […] voi, dottissimi, gravissimi e morigeratissimi senatori, non mi disprezzaste, e lo studio mio, non del tutto alieno dallo studio di tutti i dotti della vostra nazione, non lo riprovaste permettendo che fosse violata la libertà filosofica e macchiato il concetto della vostra insigne umanità”.

Da quando aveva abbandonato l’Italia non era mai riuscito a imbattersi in un ambiente dove potesse instaurare un dialogo filosofico costruttivo e, adesso che si appresta a lasciare Wittenberg, spera di ripetere altrove quel piccolo miracolo accademico.

A Praga, però, Bruno non trova nessun tipo di ambiente fertile, e le sue idee non fanno nessuna breccia nell’imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II d’Asburgo.

Ricominciano i viaggi senza fissa dimora e il 13 gennaio del 1589 prende servizio all’Università di Helmstedt, dove, per ragioni a noi ignote, entra in contrasto con il teologo della città, Heinrich Boethius, e, dopo quella cattolica e calvinista, incassa anche la scomunica luterana.

Fa di nuovo i bagagli e vaga fra Germania e Svizzera fino al 1591, poi prende casa a Francoforte e si occupa del De imaginum, signorum et idearum compositione, l’ultima opera di cui riuscirà a curare la pubblicazione.

Il ritorno in Italia e la morte
A Francoforte riceve un invito dal patrizio veneziano Giovanni Mocenigo. L’idea di tornare in Italia gli piace, ma Bruno non è uno sprovveduto, e sa che rischia di finire in mano all’Inquisizione. Parte con la convinzione di poter convincere la Chiesa che le sue idee non hanno nulla a che vedere con l’eresia e si sposta a Padova, dove ha in mente la doppia utopia di ottenere il perdono papale e strappare la cattedra di matematica a Galileo. Le cose però vanno in tutt’altro modo. L’università gli preferisce il collega e Bruno ripiega a Venezia, in casa Mocenigo, al quale insegna i segreti dell’arte mnemonica.

Passa lì qualche mese e, intorno al 21 maggio del 1592, dice al suo benefattore di dover ripartire per Francoforte per curare la pubblicazione di due opere. Non sappiamo come andò davvero, ma le ipotesi suggeriscono che Mocenigo interpretò la notizia come una scusa del filosofo per sottrarsi alle lezioni giornaliere che gli aveva promesso in cambio di ospitalità. Il patrizio veneziano si offese a morte e cercò vendetta.

Mocenigo denuncia Giordano Bruno come eretico al Sant’Uffizio. Il processo ha inizio nella seconda metà del 1592, ma Bruno sa come difendersi e prova a ingraziarsi gli inquisitori con la dialettica. Durante gli interrogatori non nega le sue idee, ma fa delle precisazioni. Non tutto ciò che ha detto è per forza di cose in contrasto con la dottrina cattolica, e i suoi sono solo dei ragionamenti filosofici senza alcuna ambizione teologica.

Distingue la filosofia dalla teologia e si dichiara disposto ad abiurare qualsiasi frase o idea che entri in contrasto con i dogmi della Chiesa. Lui non nega l’esistenza di Dio, anzi, cerca di immetterlo in un contesto più ampio e completo. Gioca bene le sue carte e il procedimento sembra volgere a suo favore, ma, nel gennaio del 1593, l’Inquisizione romana ne chiede l’estradizione, e quella veneziana non può che acconsentire.

A Roma è tutta un’altra musica, e nei sette lunghi anni di interrogatori e, forse, di torture, il filosofo sembra sul punto di abiurare, ma resiste, lotta, difende le sue idee, e, il 20 gennaio del 1600, il papa dà ordine di emanare la sentenza:
A Giordano Bruno spetta il rogo

L’8 febbraio, i cardinali inquisitori entrano nella sua cella, lo fanno inginocchiare e gli leggono la condanna a morte, ma, proprio quando la sua vita è prossima all’epilogo, leggenda vuole che Bruno alzi lo sguardo, fissi i presenti e dica:
Tremate forse più voi nel pronunciar la sentenza che io nel riceverla

Sono le sue ultime parole conosciute. Il giorno dell’esecuzione, il Sant’Uffizio lo costringe a indossare una mordacchia per tenergli a freno la lingua. È il 17 febbraio del 1600; a Campo dei Fiori viene arso vivo colui che passerà alla storia come il simbolo del libero pensiero. Viene arso vivo Giordano Bruno, il “Nolano”, filosofo dell’universo infinito.
Fonti:
Giordano Bruno – Enciclopedia Treccani
Giordano Bruno – Enciclopedia Britannica
Giordano Bruno: biografia, opere e pensiero – Studenti.it
Giordano Bruno – Wikipedia italiano