Le immagini che restano raffigurano tre giovani donne dall’aspetto piuttosto ordinario, non proprio belle ma nemmeno brutte, tipicamente abbigliate come si usava a quel tempo. Le loro storie, invece, sono quelle di tre ragazze inglesi di buona famiglia, non proprio istruite ma nemmeno ignoranti, abbastanza autonome da farsi una vita per proprio conto, ma desiderose come non mai di incontrare il grande amore e disposte a tutto pur di vivere una favola, che incontrarono un uomo affascinante e lo sposarono. La loro favola, che è la stessa per tutte e tre, non fu a lieto fine, e ricorda fin troppo da vicino quella di Barbablù.
Chi erano, esattamente? Bessie Mundy, segretaria, nata nel 1877; Alice Burnham, infermiera, nata nel 1888; Margaret Lofty, dama di compagnia, nata nel 1876.
Quali sono le loro storie? Vediamole una dietro l’altra
Bessie Mundy
Bessie Mundy, il 26 agosto 1910, sposò l’uomo d’affari Henry Williams. Costui viaggiava molto per lavoro e visse solo poco tempo sotto il tetto coniugale. In più, ebbe alterni rovesci di fortuna, e spesso Bessie fu costretta ad attingere alla sua dote per pagare i debiti dell’uomo. Poi, nel luglio del 1912, Henry annunciò di aver realizzato l’affare della sua vita e, per festeggiare l’evento, condusse la moglie in vacanza nella rinomata località balneare di Herne Bay, nel Kent. La povera Bessie, che da tempo soffriva di spossatezza e dolori al capo, aveva proprio bisogno di riposarsi, ma la situazione peggiorò durante i primi giorni di vacanza. Henry la fece visitare dal dottor Frank French, un medico locale, che diagnosticò una lieve forma di epilessia e prescrisse riposo e dieta sana.

La mattina del 13 luglio, mentre il solerte Henry si trovava al mercato a comprare il pesce fresco per il pranzo della moglie, Bessie volle fare un bagno nella vasca che la coppia si era fatta installare nella stanza presa in affitto presso una pensione molto ben attrezzata. Quando Henry tornò con la spesa, la trovò nella vasca priva di conoscenza e con la testa sott’acqua. Henry chiamò prontamente il dottor French, ma questi non poté far altro che constatare la morte per annegamento della donna. Polizia e magistratura locale, prima di autorizzare la sepoltura, svolsero una breve inchiesta, il cui risultato fu che Bessie aveva perso conoscenza in seguito a un attacco epilettico ed era annegata accidentalmente. Henry seppellì la moglie, avvisò i parenti di lei dell’accaduto tramite lettera e partì da Herne Bay il 18 luglio. Dopodiché, di lui, non si seppe più nulla.

Alice Burnham
Circa 13 mesi dopo, nell’agosto del 1913, Alice Burnham, che assisteva una donna anziana a Southsea nell’Hampshire, si fidanzò con un uomo d’affari, George Smith, e lo portò a conoscere i suoi genitori nel Buckinghamshire. I genitori trovarono George un uomo sgradevole, un vero manipolatore, e sconsigliarono alla figlia di sposarlo. Ma Alice non volle intendere ragioni e il matrimonio fu celebrato il 4 novembre successivo. Per il viaggio di nozze, la coppia andò a Blackpool, rinomata località turistica del Lancashire, dove prese alloggio in un’elegante pensione, e si fece installare una vasca da bagno nella stanza accanto a quella da letto. Alice non stava benissimo: accusava spossatezza e dolori di capo, così il marito la portò in visita presso il dottor George Billings, un medico locale. Questi la trovò in sovrappeso, ma in buona salute, e ipotizzò che soffrisse di una forma lieve di epilessia.

Il 12 dicembre, dopo aver spedito alla madre una lettera in cui raccontava quanto era felice il suo matrimonio, Alice decise di fare un bagno nella vasca. Poco dopo, mentre George era al piano di sotto insieme a loro, i padroni della pensione notarono la presenza di acqua che sgocciolava dal soffitto e chiesero all’uomo di andare su dalla moglie, che evidentemente aveva riempito troppo la vasca senza rendersene conto. George salì immediatamente, ma, appena aperta la porta, iniziò a chiamare aiuto gridando che la moglie aveva avuto un malore.

Fu chiamato il dottor Billings, che accorse subito, ma non poté far altro che constatare il decesso della povera Alice, annegata nella vasca dopo essere svenuta durante il bagno. La successiva inchiesta giudiziaria si chiuse con il verdetto di morte accidentale e, dopo aver avvisato i suoceri dell’accaduto, George seppellì la moglie e ripartì, dopodiché, di lui, non si seppe più niente.
Margaret Lofty
Esattamente un anno dopo, nel 1914, Margaret Lofty, originaria di Bristol, scappò di casa, lasciando ai familiari un biglietto in cui spiegava di aver trovato un lavoro a Londra. La donna era molto turbata dall’esperienza vissuta l’anno precedente, quando aveva avuto una tempestosa relazione con un uomo, tale William Gilbert, che prima aveva promesso di sposarla e poi si era rivelato già sposato con un’altra. Dopo la traumatica fine di questa storia, Margaret aveva vissuto la permanenza a Bristol come una prigione, e aveva desiderato andarsene via in ogni momento.

In realtà, come fu appurato successivamente, la donna non andò a Londra ma a Bath, nel Somerset, dove il 17 dicembre sposò un uomo d’affari, John Lloyd. John la condusse poi a Londra, dove presero alloggio in una pensione di Highgate e si fecero installare subito una vasca da bagno. Troppe emozioni in così poco tempo dovevano aver fatto male a Margaret, che si lamentava di spossatezza e mal di capo. John la portò quindi a visita da un medico locale, il dottor Stephen Bates, che diagnosticò un’influenza e raccomandò molto riposo.
Di ritorno dal medico, Margaret volle fare un bagno, mentre il marito le suonava, sull’armonium di cui era dotata la stanza, l’inno sacro Più vicino a te, o Signore (lo stesso che si diceva fosse stato eseguito dall’orchestrina del Titanic subito prima di andare a fondo). Poi John uscì a fare la spesa, dato che la moglie aveva espresso il desiderio di mangiare dei pomodori. Appena tornato, aprì la porta e cacciò un grido, invocando aiuto. I proprietari accorsero immediatamente, raggiunti dopo poco dal poliziotto Stanley Heath, che si trovava a passare lì davanti proprio in quel momento. Fu chiamato il dottor Bates, che venne presto, ma non poté far altro che constatare il decesso della donna, annegata nella vasca. All’inchiesta, chiusa il 1° gennaio successivo, assistette anche un cugino di Margaret, Frederick Kilvington, che si era recato lì appena appreso della notizia. Il verdetto fu comunque di morte accidentale. Seppellita la moglie, John Lloyd partì da Londra, dopodiché, di lui, non si seppe più nulla.
Il killer delle vasche
Erano tempi in cui le notizie di cronaca, a meno che non fossero proprio clamorose, uscivano solo sui giornali locali. L’informazione poi, era praticamente monopolizzata dalla Grande Guerra. Fu solo un fortuito caso se Charles Burnham, il padre di Alice che non si era mai rassegnato né alla perdita della figlia né alle circostanze in cui questa era avvenuta, lesse il resoconto della morte di Margaret Lofty e, avendo ravvisato troppe somiglianze tra questo caso e quello di cui era stata vittima Alice, si recò da Scotland Yard a esporre le proprie ragioni. Che dovettero sembrare molto convincenti ai funzionari, dato che questi aprirono ufficialmente un caso e lo affidarono a un esperto detective, Arthur Neil, nato nel 1868, famoso per aver smascherato un efferato avvelenatore seriale, George Chapman (tra l’altro sospetto anche di essere il vero Jack lo Squartatore), impiccato nel 1903.
Quasi subito, Neil scoprì che esisteva già un’altra denuncia al riguardo: l’albergatore Joseph Crossley di Blackpool aveva a sua volta collegato le due morti e si era rivolto alla polizia.

Neil, innanzitutto, interrogò ripetutamente tutti i testimoni, cercando di realizzare un identikit. La sua ipotesi, che George Smith e John Lloyd fossero la stessa persona, sembrò trovare conferma. Poi scoprì che sia Alice sia Margaret avevano stipulato delle assicurazioni sulla vita, il cui solo beneficiario era, in ambo i casi, il marito.
John Lloyd non aveva ancora riscosso i soldi della sua e aveva incaricato il notaio londinese Walter Davies di occuparsene. Neil mise allora sotto sorveglianza lo studio del notaio. Il 1° febbraio 1915, un uomo i cui connotati corrispondevano all’identikit realizzato in base alle testimonianze fu fermato mentre stava per salire nello studio del notaio. L’uomo, portato in commissariato, ammise di essere John Lloyd, ma disse di non sapere nulla di George Smith. Neil convocò allora Charles Burnham per identificarlo, ma questo passaggio non fu necessario, perché, nell’apprendere della convocazione del padre di Alice, l’uomo fermato ammise di essere anche George Smith. Anzi, per l’esattezza, dichiarò di chiamarsi George Joseph Smith, nato a Bethnal Green l’11 gennaio 1872. Aggiunse poi che le sue due mogli erano morte entrambe in modo accidentale.

Le coincidenze lo accusavano in modo piuttosto palese, ma la sua colpevolezza era ben lungi dall’essere provata. L’evidenza dei fatti mostrava che le donne erano svenute entrambe in pochi istanti, senza alcun segno di violenza o colluttazione e neppure della somministrazione di droghe o farmaci. Non si riusciva a ipotizzare un modo in cui Smith avrebbe potuto far loro del male, e la possibilità del malore accidentale, nonostante tutto, sembrava sempre la più probabile. Neil si rivolse allora al più importante patologo d’Inghilterra, Bernard Spilsbury, nato nel 1877. Questi praticò delle approfondite autopsie sui corpi delle due donne, ma non riuscì a ricavarne alcuna informazione decisiva.

Le indagini, intanto, fecero emergere la vera personalità di George Joseph Smith, la cui vita privata era stata decisamente molto vivace. Nel 1898 si era sposato per la prima volta, e nel 1899 per la seconda, senza aver divorziato dalla prima moglie. Aveva comunque lasciato entrambe le donne, portandosi via fino all’ultimo centesimo. Nel 1901 era finito in carcere per un furto commesso nella casa signorile in cui serviva come domestico. Poi era emigrato in Canada e non si sapeva nulla di cosa avesse combinato lì. Era tornato nel Regno Unito nel 1908 e, da quel momento, fino al 1914, nascondendosi dietro 7 identità diverse, aveva sposato altre 7 donne, le 3 che erano morte e altre 4 che erano sopravvissute, ma erano state derubate di ogni loro avere.

Intanto, Spilsbury e Neil si arrovellavano per capire come avesse fatto Smith ad annegare Bessie, Alice e Margaret. Erano assolutamente certi della sua colpevolezza, ma le prove di cui disponevano permettevano solo di arrivare a una serie di condanne per bigamia e truffa, tali che Smith sarebbe stato di nuovo libero nel giro di qualche anno.
Spilsbury, uno scienziato dalla mente molto aperta e dalla visione estremamente moderna del suo lavoro, non rinunciò neppure ad attrezzarsi con una vasca da bagno nel suo laboratorio, ingaggiando una robustissima e provetta istruttrice di nuoto per fare da cavia ai suoi esperimenti. Lui e Neil le tentarono tutte pur di capire come avesse fatto Smith ad annegare le mogli senza lasciare tracce, ma senza nessun risultato.
Quando ormai erano sul punto di gettare la spugna, si fecero venire l’idea di tentare una cosa mai fatta prima. Mentre la donna nella vasca era distratta, la afferrarono bruscamente per le caviglie e la tirarono con la testa sott’acqua in una frazione di secondo. L’esperimento rischiò di finire in tragedia, perché la donna perse conoscenza all’istante, e rinvenne solo dopo mezz’ora di tentativi disperati di rianimazione da parte di Spilsbury e di altri medici prontamente chiamati dall’esterrefatto Neil. Appena fu di nuovo in grado di parlare, la donna dichiarò di non ricordare nulla di quanto accaduto.

Il meccanismo era ormai chiaro. Smith, un uomo dallo sguardo che, a detta di tutte le sue “mogli”, era capace di ipnotizzare chi gli stava davanti, aveva trovato il modo di compiere un delitto apparentemente perfetto che, se non avesse esagerato con il numero di vittime, nessuno avrebbe mai scoperto.
Il primo processo, per l’omicidio di Bessie Mundy, cominciò il 22 giugno 1915, in una Londra già preoccupata dalle prime incursioni aeree dei dirigibili Zeppelin. Smith era difeso dal miglior penalista inglese del suo tempo, Edward Marshall Hall, e le prove a suo carico erano solo indiziarie. Anche il celebre giallista Edgar Wallace, che seguiva il caso per conto di diversi giornali, era incline a puntare sull’assoluzione.
Tuttavia, nessuno aveva considerato il peso della personalità di Spilsbury, un personaggio ben più “magnetico” di Smith. Imponente, preparatissimo, autoritario (il classico scienziato capace di “blastare” chiunque si azzardasse a contraddirlo), Spilsbury spiegò la sua teoria sulla meccanica dei delitti in modo molto convincente, e poi resistette senza il minimo cedimento al fuoco di fila di domande con cui Marshall Hall provò a farlo cadere in contraddizione.
Il 1° luglio 1915, dopo soli 22 minuti di camera di consiglio, la giuria dichiarò Smith colpevole dell’omicidio di Bessie Mundy, e il giudice Scrutron lo condannò all’impiccagione. L’appello che Marshall Hall propose all’Old Bailey fu respinto il 29 luglio, confermando la condanna.

Smith fu così impiccato, la mattina del 13 agosto 1915, nel cortile del carcere di Maidstone. Il boia, il celebre e infaticabile John Ellis, nelle sue memorie, avrebbe ricordato questa esecuzione con particolare soddisfazione, dato che tutto si compì in appena 46 secondi. Infatti, dei boia inesperti erano capaci di rendere un’impiccagione uno strazio peggiore di una tortura medievale, con i condannati ridotti a dibattersi per interi quarti d’ora appesi al cappio. Ellis, che credeva nel valore deterrente della pena capitale, ma non era disposto a infliggere sofferenze inutili nemmeno al peggior criminale, aveva invece sviluppato una sua tecnica scientifica che riduceva i tempi al minimo. Nei giorni precedenti, aveva compito ogni sorta di misurazioni e osservazioni su Smith e sulla forca in modo da determinare con precisione il tipo di cappio e la lunghezza della corda capaci di determinare una morte istantanea.

Smith professò fino all’ultimo la sua innocenza, sostenuto anche dal cappellano del carcere e dal vescovo di Croydon, che erano stati a trovarlo. Entrambi protestarono contro quello che consideravano un abuso.
Marshall Hall, invece, dopo qualche anno, scrisse in un libro di memorie di averlo sempre creduto colpevole, ma di aver scelto comunque di difenderlo perché, in quanto oppositore della pena capitale, avrebbe difeso comunque chiunque la rischiasse.

La critica moderna, peraltro, sostiene che molto difficilmente oggi, uno come Smith verrebbe condannato, nelle stesse condizioni. Da un lato, dopo una lunga serie di abusi di autorità che hanno portato a centinaia di esecuzioni capitali di innocenti (892 casi documentati nei soli USA e nel solo XX secolo), nei paesi civili le leggi sono diventate molto più garantiste. Da un altro, tutti i collegi di difesa sono abituati a ingaggiare periti tecnici capaci di smentire le ricostruzioni dei patologi al servizio dei pubblici ministeri o quanto meno di metterle in dubbio.
Addirittura, alcuni storici hanno avanzato il dubbio che, in molti processi del periodo, a far pendere il giudizio delle giurie verso la colpevolezza, sia stata soprattutto la personalità di Spilsbury, un uomo capace di convincere chiunque di qualunque cosa. Su Spilsbury e sul suo lavoro si possono leggere molti interessanti libri anche in Italiano, a partire da “Nero di Londra” di Cinzia Tani, che gli dedica un importante capitolo, per arrivare a “Guglielmo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen” di Erik Larson (dedicato a un altro celebre caso in cui il giudizio del patologo fu determinante), ma il più importante riguardo la vicenda che abbiamo appena narrato è “Il magnifico Spilsbury” di Jane Robins, che la tratta in dettaglio.