Fusako Shigenobu: l’imperatrice del Terrore

La chiamavano “l’imperatrice del terrore ” o “la regina del terrorismo”, ma il suo vero nome era Fusako Shigenobu, una delle donne più pericolose al mondo, nonché leader di uno dei gruppi terroristici tra i più temibili. Il gruppo si chiamava “Esercito Rosso Giapponese” ( in giap. Nihon Sekigun; 日本赤軍 ) e fu fondato dalla Shigenobu nel 1971, i suoi membri, nonostante la giovane età, si impegnarono con determinazione in numerosi attacchi terroristici in giro per il mondo, anche in Italia.

Ma andiamo con ordine, perché il terrorismo giapponese non iniziò con Fusako Shigenobu

I terroristi giapponesi Kōzō Okamoto e Fusako Shigenobu – Immagine condivisa con licenza Fair use via Wikipedia

Il terrorismo in Giappone

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, gli americani smantellarono l’esercito giapponese e modificarono la costituzione del paese, introducendo un sistema politico occidentale diverso da quello usato fino ad allora, ma che portava comunque molti benefici, come maggior libertà ai cittadini e la possibilità di istruzione per tutti i ceti sociali.

Rappresentanti del Giappone a bordo della nave Missouri, in attesa di sottoscrivere l’atto di resa – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nel 1948, dal partito comunista giapponese, nacque la “Zengakuren” (in giap. 全学
連 ), traducibile con “federazione dell’autogoverno studentesco”, che, come suggerisce il
nome, era un sindacato studentesco che svolgeva un ruolo fondamentale in quegli
anni. Attraverso l’associazione infatti, gli studenti (e non solo) potevano far sentire la
loro voce mediante l’organizzazione di manifestazioni e proteste, come, per esempio,
quella contro la presenza di basi americane su suolo giapponese, o la guerra in
Corea.

La più violenta fu la protesta contro la costruzione dell’aeroporto di Narita, vicino a Tokyo, cominciata nel luglio 1966 e durata anni, che vide la Zengakuren schierata dalla parte dei contadini residenti nella zona della costruzione. Quest’ultimi non volevano essere sfrattati dalle loro abitazioni e la protesta sfociò quasi in una guerra civile. A seguito di tutte queste manifestazioni più o meno violente, la sinistra giapponese decise che era arrivato il momento di placarsi e prendere una piega più democratica, basando le rivoluzioni sul dialogo e il buon senso, e staccandosi da quelle frange radicali che, invece, preferivano lo scontro fisico come mezzo di persuasione. Da questa scissione, nel 1969, prese vita un gruppo estremista chiamato “Fazione dell’Armata Rossa” (Sekigun-ha), il cui leader era il rivoluzionario Shiomi Takaya. L’ideologia del gruppo era di stampo anti-imperialista e i membri dimostravano il proprio credo attaccando direttamente il governo giapponese, come quando, nel 1969, organizzarono un assalto con bombe molotov alle stazioni di polizia di Ōsaka e Tokyo.

Vista aerea dell’Aeroporto Internazionale di Narita – Immagine di Marufish condivisa con licenza CC BY-SA 2.0 via Wikipedia

Nel 1970, Shiomi elaborò un nuovo attentato, il “Yodo-go Haijakku Jiken”, ovvero l’incidente del volo Japan Air Lines 351. Nove membri della Fazione presero in ostaggio 129 persone tra passeggeri e staff, e obbligarono i piloti a seguire le loro istruzioni. Dopo aver fatto rifornimento di carburante a Fukuoka e aver rilasciato la maggior parte degli ostaggi a Seoul, si diressero verso la Corea del Nord, ma, una volta arrivati, non si sa bene cosa successe ai i dirottatori: alcuni si dispersero, altri si dice siano rimasti nel paese, altri ancora si pensa che siano morti.

Un Boeing 727 simile a quello coinvolto nel dirottamento – Immagine condivisa con licenza Fair use via Wikipedia

Shiomi venne arrestato, ma dal carcere continuò a tenere le redini del gruppo, ormai ridotto in brandelli, che dopo un po’ di tempo prese la propria strada e si allontanò del tutto dai principi morali del suo ex leader. I pochi membri rimasti si unirono a un altro gruppo di ribelli e insieme diedero vita a “L’armata Rossa Unita” (Rengo Sekigun), con a capo Tsuneo Mori.

I partecipanti all’Armata Rossa non erano molti e rimasero in 14 quando, fra il 1971 e il 1972 , ci fu una purga interna dovuta allo “Haiboku-shi” (敗北死 ) ovvero “morte per disfattismo”. Durante un duro allenamento in mezzo alle montagne nella prefettura di Gunma, chi non si dimostrava un vero ribelle o appariva come indegno di far parte dell’armata veniva linciato e ucciso dagli stessi compagni.

Manifestanti Zengakuren a Tokyo, 1968 – Immagine di Mountainlife condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Alcuni riuscirono in qualche modo a scappare e a raccontare tutto la polizia, che si recò al campo di addestramento per fermare la strage. Le autorità riuscirono ad arrestare la maggior parte dei responsabili – tra cui il leader Tsuneo Mori e la sua vice Hiroko Nagata – e soltanto in cinque fuggirono, portando con se fucili e mitragliatrici. Questi superstiti – Kunio Bandō, Masakuni Yoshino, Hiroshi Sakaguchi, Jirō Katō e Saburō Katō – trovarono rifugio tra le montagne, in un edificio dove si barricarono all’ultimo piano e presero in ostaggio la moglie del custode.

Solo dopo ore, la polizia ebbe la meglio e catturò i terroristi

Hiroko Nagata – Immagine condivisa con licenza Fair use via Wikipedia

L’episodio, passato alla storia con il nome di “Asama Sansō Jiken”(L’incidente di Asama-Sansō), rimane tutt’oggi nella memoria dei giapponesi, anche perché l’intero scontro fu ripreso dalla NHK, una rete nazionale giapponese, e fu seguito da tutto il paese in una maratona televisiva senza precedenti, durata 10 ore e 40 minuti.

Fu proprio in questo humus sociale che crebbe Fusako Shigenobu

L’incidente di Asama-Sansō – Immagine condivisa con licenza Fair use via Wikipedia

I primi anni di Fusako Shigenobu

Fusako nacque a Tokyo il 20 settembre 1945. Il padre era un insegnante e un fervente nazionalista, che aveva addirittura servito nell’armata imperiale. Era un
uomo appartenente all’estrema destra, molto attivo in ambito politico, e da questo
possiamo dedurre che, probabilmente, la figlia Fusako sia stata influenzata da
suo padre nell’interesse per la politica.

Liberty Tower, nel Campus Surugadai dell’Università Meiji – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La giovane ribelle frequentò l’università Meiji seguendo i corsi serali, mentre, durante il giorno, lavorava presso la “Kikkoman”, la famosa azienda che produce salsa di soia. La ragazza, che non riusciva ad adattarsi né al sistema universitario né alla società giapponese, iniziò a partecipare a delle proteste e, nel 1966, entrò a far parte del gruppo “Nuova Sinistra”, che faceva a sua volta parte della lega comunista giapponese, ma operava in modo più violento. A metà degli anni ‘70, aderì al movimento studentesco Zengakuren, e, dopo la scissione del partito comunista in democratico ed estremista, si unì definitivamente agli estremisti che volevano abbattere l’imperialismo giapponese. Entrò nella Fazione dell’Armata Rossa e si innamorò di uno dei membri, Tamiya Takamaro, coinvolto in prima persona nell’incidente del Yodo-go.

Sede centrale di Kikkoman Corporation – Immagine di Asturie Cantabria condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

La Fazione, però, era già debole e, dopo l’episodio del dirottamento aereo, i problemi interni si fecero sentire sempre di più. Nel 1971, nacque l’Unione dell’Armata Rossa, di cui la Shigenobu faceva parte, ma, capendo che anche questo gruppo si sarebbe sciolto di lì a breve, convinse il leader Tsuneo Mori a lasciarla andare all’estero, con la scusa di cercare nuove reclute per la rivoluzione. Insieme al marito, a Tsuyoshi Okudaira, Yasuda Yasuyuki e Okamoto Kozo (fratello di Takeshi, uno dei protagonisti dell’incidente del Yodo-go), partì alla volta della Palestina, dove ambiva a far scoppiare una moto internazionale, cooperando con altri gruppi sovversivi in giro per il mondo.

L’Armata Rossa Giapponese

Arrivò in Libano nel 1971 e si mise in contatto con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), grazie al quale ottenne armi in cambio del supporto alla causa palestinese. Fu in questo periodo che Fusako fondò “l’Esercito Rosso Giapponese” o “Armata Rossa Giapponese”.

La bandiera del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Immagine di MrPenguin20 condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Uno dei primi attacchi firmati dal neo gruppo fu quello del 30 maggio del 1972, rivolto a un aereo dell’Air France, che trasportava pellegrini provenienti da Porto Rico e diretti a Tel Aviv. Oltre ai pellegrini, sul volo erano presenti un cittadino canadese e tre membri dell’Esercito Rosso sotto copertura. I terroristi riuscirono a imbarcarsi grazie a dei passaporti falsi e, subito dopo l’atterraggio, si inoltrarono tra la gente con le loro valige contenenti fucili e granate, a quei tempi facilmente trasportabili. A un certo punto, mentre erano ancora all’interno dell’aeroporto, tirarono fuori le armi e cominciarono a sparare all’impazzata.

L’obiettivo era quello di seminare terrore e dar fastidio ai governi dei vari paesi, anche a costo di far del male e uccidere persone innocenti, e perché no, anche loro stessi. La polizia intervenne: Yasuda Yasuyuki fu colpito e morì, così come Okudaira, che rimase ucciso dall’esplosione di una sua stessa granata. Okamoto fu l’unico sopravvissuto e, finite le munizioni, cominciò a correre per l’aeroporto senza una meta precisa. Alla fine, la polizia riuscì a bloccarlo e arrestarlo, ma, in realtà, Okudaira desiderava morire da eroe come i suoi due compagni e, infatti, al momento della cattura, gridava e implorava ai poliziotti di ucciderlo. Questo sentimento era talmente forte nel ragazzo, che in
seguito dichiarò alla polizia di voler collaborare con loro, a patto che venisse ucciso.  Venne condannato all’ergastolo e, nel 1985, fu consegnato ai palestinesi durante uno scambio di prigionieri. In Libano è considerato ancora oggi un eroe e passò la sua vita tra Siria, Libano e Libia, evitando l’estradizione in Giappone. L’attacco di Tel Aviv è passato alla storia con il nome di “Massacro dell’aeroporto di Lod”, il primo attacco suicida del terrorismo medio orientale; un evento tanto significativo che si pensa siano stati proprio i giapponesi dell’Esercito Rosso a insegnare ai colleghi arabi la tecnica del “Kamikaze”.

Nel luglio del 1973, i mebri dell’Esercito Rosso dirottarono in Libia un aereo partito dai Paesi Bassi, facendolo saltare in aria dopo aver fatto scendere i passeggeri. A gennaio del 1974, presero di mira un impianto petrolifero della Shell a Singapore, ma riuscirono a fuggire grazie al rilascio degli ostaggi in cambio di un lascia passare. E ancora, il 13 settembre del 1974, Junzo Okudaira (fratello di Tsuyoshi Okudaira), insieme ad Haruo Wakō e Jun Nishikawa, pianificò un attentato all’ambasciata francese dell’Aja, in Olanda. In questa occasione, chiesero alle autorità il rilascio del compagno Yatsuka Furuya, che era stato arrestato nell’attentato alla Shell. Quasi in contemporanea, in un bar di Parigi, Ilich Ramirez Sànchez fece esplodere una granata, uccidendo due persone e ferendone 34.

Ilich Ramírez Sánchez – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’attacco era chiaramente in combutta con quello organizzato dall’Esercito Rosso in Olanda e serviva a esercitare pressione sul governo francese. Il duplice attentato riuscì nel suo intento: i terroristi giapponesi ottennero il rilascio di un compagno, arrestato in seguito all’azione contro la Shell di Singapore, e un aereo dell’Air France che li portò fino a Damasco, in Siria. Nishikawa e Wakō furono poi ammanettati in Bolivia ed estradati in Giappone, a differenza di Junzo Okudaira, che si diede alla latitanza.

Foto segnaletica dai file dell’Interpol di Haruo Wako – Immagine di Genealogista condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

Nell’agosto del 1975, l’Esercito Rosso occupò un edificio di Kuala Lampur, che al suo interno ospitava numerose ambasciate, e prese in ostaggio 50 persone, chiedendo in cambio la restituzione di 5 membri.

Nel settembre del 1976, dirottò un aereo della Japan Air Lines  e ottenne dal governo giapponese ben 6 milioni di dollari, per far sì che nessuno venisse ucciso… Scelta molto criticata dalla popolazione.

L’Esercito Rosso non risparmiò neanche l’Italia. A Roma, il 9 giugno del 1977, nell’arco di un’ora avvennero due attacchi: uno all’ambasciata britannica e uno all’ambasciata americana, entrambi per mezzo di razzi bazooka artigianali. Si scoprì poi in seguito, grazie alle impronte digitali, che il fautore dell’attacco terroristico era stato Junzo Okudaira, il rivoluzionario latinante dall’attacco terroristico in Olanda, che era riuscito ad arrivare a Roma servendosi di un passaporto falso.

Il declino e la fine

Dopo i vari attentati in giro per il mondo dal 1972 al 1977, l’Armata Rossa scomparve per 10 anni e tornò solo il 13 aprile del 1988, quando, a Napoli, esplose un autobomba davanti a un bar frequentato soprattutto da militari americani. Persero la vita cinque persone e si appurò che si trattava ancora di Okudaira e altre persone non identificate. Sempre ad aprile, Yu Kikumura fu fermato e arrestato per possesso di esplosivi sull’autostrada del New Jersey, negli Stati Uniti.

Lo stesso Giappone non fu risparmiato e subì 17 attentati terroristici

Yū Kikumura – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nel 1989, i membri dell’Esercito Rosso erano per lo più morti, dispersi o in carcere. Fusako Shigenobu, la mente di tutti gli attacchi, rimase latitante fino al 2000, per poi essere trovata e incarcerata l’8 novembre dello stesso anno, in un hotel di Osaka prenotato sotto falso nome. Nel 2001, dichiarò dal carcere lo scioglimento ufficiale dell’Esercito Rosso Giapponese e, nel 2006, dopo un lungo processo, fu condannata a 20 anni di carcere. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, ma è stata rilasciata di recente, nel maggio del 2022, a 76 anni.


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