Francisco Boix: il Fotografo di Mauthausen

Parigi, 7 Luglio 1951. Francisco Boix ha soli 31 anni ma ha visto tali atrocità da riempire diverse decine di esistenze umane. A 18 anni ha combattuto nella guerra civile spagnola, durante la quale è stato internato come repubblicano dal regime fascista di Francisco Franco, poi ha conosciuto l’orrore del campo nazista di Mauthausen, dove è rimasto per ben 4 anni e nel quale ha conosciuto l’inferno in terra creato dai gerarchi nazisti.

Quel 7 luglio del 1951 Francisco Boix ha solo 31 anni, ma chissà quanti deve sentirsene sulle spalle

Verso sera Francisco chiude gli occhi per sempre a causa di un’insufficienza renale, con ogni probabilità una complicazione che risale alle drammatiche condizioni di vita nel campo di concentramento austriaco. I suoi 31 anni di vita sono stati brevi ma pieni di avvenimenti, che è opportuno conoscere perché è anche grazie a lui che siamo in grado, oggi, di ricostruire quel che successe dei campi di concentramento nazisti.

Francisco in Spagna

Francisco Boix nasce il 31 agosto del 1920 a Barcellona, figlio di un sarto simpatizzante di sinistra che nel tempo libero si dedica anche alla fotografia. Durante gli anni dell’adolescenza l’ambiente proletario in cui vive e le inclinazioni politiche del padre lo spingono ad entrare a far parte della Gioventù Socialista della Catalogna. Nel periodo della guerra civile spagnola, dal 1936 al 1939, prima fa il fotografo per una rivista di sinistra e poi, quando compie 18 anni, combatte nella 30ª Divisione dell’esercito della Seconda Repubblica spagnola.

Ma Francisco sta dalla parte dei perdenti. Con la sconfitta dei repubblicani e la vittoria dei franchisti il ragazzo viene esiliato in Francia, in un campo di internamento dove lavora per l’esercito. Poco tempo dopo, nel 1941, in seguito all’occupazione tedesca della Francia, Boix viene trasferito in Austria, a Mauthausen, il campo di concentramento nazista dove finivano tutti quei prigionieri politici considerati irrecuperabili.

A Mauthausen

Nel campo finisce dapprima alla celebre “Cava di Granito”, un macello in cui non si lavorava, si moriva, in serie, e poi viene impiegato come fotografo del campo. Francisco ottiene questa “grazia” sia perché era un fotografo prima della guerra sia perché conosce molti detenuti nei reparti più importanti dell’organizzazione di Mauthausen.

Dal 1941 al 1945 Francisco Boix fotografa i prigionieri al campo e tutte le attività che vi si svolgono

Mauthausen e tutta una serie di campi satellite:

Il ragazzo si rende conto che le SS stanno falsificando la comunicazione riguardo quel che accade nel campo di concentramento. All’esterno vengono spedite fotografie di prigionieri ben nutriti e trattati umanamente, mentre all’interno del lager si compiono ogni tipo di barbarie e atrocità, volte esclusivamente a uccidere il maggior numero di “pezzi”, il termine tecnico con cui vengono definite le persone internate a Mauthausen.

Mentre nei campi di Auschwitz o Birkenau l’opera di sterminio avviene mediante le camere a Gas e il celebre Zyklon B, a Mauthausen lo sterminio dei prigionieri avviene per sfinimento. Chi è a Mauthausen sa che morirà di freddo durante gli interminabili appelli invernali, oppure ucciso a randellate dagli spietati aguzzini tedeschi. O ancora durante un esperimento medico, magari con della benzina iniettata nel cuore, oppure di fame e sete, o affogato dai propri stessi compagni che tentano di guadagnare qualche giorno in più di vita.

In un ambiente che farebbe impallidire il diavolo all’inferno, 25/30 persone al giorno trovano il coraggio di suicidarsi, lanciandosi contro le recinzioni elettrificate del campo, trovando così una “dolce morte”

Francisco Boix no, non si suicida. Sa che deve testimoniare quel che ha visto e che sta vedendo, ed escogita una serie di furti di negativi per poter documentare con delle fotografie l’orrore del campo. Il rischio è la vita, un bene in fondo poco prezioso in quel campo di concentramento.

Franz Ziereis, comandante di Mauthausen dal 1939 al 1945. Alcuni internati ricordano che ripetutamente diceva che “si interessava solo di vedere certificati di morte”:

Chiede l’approvazione agli internati che si riuniscono clandestinamente e hanno istituito un partito comunista interno al campo, e inizia a trafugare dei negativi affinché si salvino dalla distruzione. Prima li fa arrivare al crematorio, dove vengono bruciati i cadaveri dei lavoratori morti. Poi li trasferisce in falegnameria, dove l’ambiente rumoroso e sempre in movimento non fa sospettare alle SS nulla di “segreto”. Francisco fa poi portare le fotografie al di fuori del campo dai lavoratori che vengono impiegati all’esterno, e i negativi finiscono nascosti da alcuni collaboratori in diversi luoghi dei paesi vicini.

Questi passaggi sono rischiosissimi per ogni persona coinvolta, ma la posta in gioco è enorme: ricordare al mondo ciò che è stato l’inferno

L’idea è vincente e i furti, una trentina durante 4 anni per 20.000 negativi circa, consentono al mondo di conoscere le orribili condizioni del campo di concentramento di Mauthausen.

186 Gradini

La “camera a Gas” di Mauthausen non esisteva, ma al suo posto esisteva qualcosa di altrettanto terribile, una scala con 186 gradini. Di per sé una scala non evoca pensieri di morte, ma questa era diversa. La scalinata era la via d’accesso alla cava di granito, erosa per i “grandi” piani architettonici di Adolf Hitler e quello che viene definito “l’architetto del Diavolo”, Albert Speer. Tutti piani mai realizzati perché Berlino è totalmente inadatta alla costruzione di edifici imponenti.

I prigionieri dovevano estrarre granito per il Terzo Reich, caricando in spalla sacchi di pesantissime pietre e portandoli nel campo. La scala era in realtà uno strumento di sterminio. Gli internati erano malnutriti e senza forze, e all’ennesimo viaggio verso il campo cadevano ai lati dei gradini. A sinistra li attendeva il baratro, un salto da 50 o 60 metri verso il vuoto, a destra li aspettavano i proiettili delle SS, che sparavano loro come fossero fuggiaschi.

E queste erano morti quasi naturali. Le SS del campo studiavano qualsiasi sistema per far morire quante più persone possibili. D’inverno la scala ghiacciava e le cadute erano frequentissime, così una guardia poteva spingere un internato affinché ne facesse cadere altri verso il basso, ammazzandone quanti più possibile.

Ulteriore tortura era quella di mettere i prigionieri in fila di fronte al precipizio, chiamato ironicamente “dei paracadutisti”, e scegliere:

O un colpo in testa o un calcio al proprio vicino affinché cadesse nel baratro

Le SS potevano anche decidere di giocare a “Bowling” con i prigionieri. Quelle stesse pietre che questi avevano portato in cima le scagliavano lungo la scala, e gli internati dovevano tentare di schivarle per non finire colpiti e ammazzati.

Questa era la scala della morte. Non c’era una camera a gas a Mauthausen, ma la tortura dei 186 gradini e delle SS era altrettanto straziante.

La liberazione e il processo

Sotto, la liberazione di Mauthausen:

Il 5 Maggio del 1945 gli alleati liberano il campo, e Francisco Boix è fra gli spagnoli sopravvissuti al massacro. Accanto a lui sono morte circa 122.000 persone, delle quali egli ha fotografato moltissimi volti in vita e, molto più spesso, nella morte. L’enorme mole di documenti prodotti e trafugati da Boix vengono utilizzati come prove durante due processi, quello internazionale di Norimberga e quello condotto dagli statunitensi a Dachau, durante i quali le sue immagini consentono di inchiodare Ernst Kaltenbrunner, generale e criminale di guerra austriaco, che ottenne il comando del Reichssicherheitshauptamt (Direzione generale per la Sicurezza del Reich, in cui confluì la Gestapo) prendendo il posto di Reinhard Heinrich dopo la sua uccisione a Praga.

Nel dopoguerra Francisco decide di tornare a vivere in Francia, a Parigi, dove lavora come freelance per diverse riviste, ma principalmente per l’Humanité. Il 7 luglio del 1951, quando non ha ancora compiuto 31 anni, muore di insufficienza renale. E’ ancora molto giovane ma (probabilmente) ha testimoniato più morte e distruzione di qualsiasi altro fotografo della sua epoca, e forse di ogni epoca.

Grazie a Francisco conosciamo la storia di uno degli inferni sulla terra creati dal Terzo Reich. Anche grazie a lui possiamo far sì che un luogo simile non venga mai più costruito.

Targa alla casa dove nacque Francesc Boix i Campo a Barcellona. Fotografia di Jaume Meneses – Barris – Poble Sec condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

Dalla vita di Francisco Boix è stato tratto un film Netflix, di cui sotto trovate il trailer:

Matteo Rubboli

Sono un editore specializzato nella diffusione della cultura in formato digitale, fondatore di Vanilla Magazine. Non porto la cravatta o capi firmati, e tengo i capelli corti per non doverli pettinare. Non è colpa mia, mi hanno disegnato così...