Quando si parla dei campi di sterminio nazisti subito la mente li associa genericamente al popolo ebreo, vittima collettiva di un’ideologia criminale che contagiò un’intera nazione. Non è vano ricordare che i nazisti volevano sterminare anche gli zingari e altre popolazioni dell’Est-Europa, gli omosessuali e i portatori di handicap, i testimoni di Geova e i pentecostali.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
E quando si parla di Shoah, la “catastrofe”, la mente corre ai circa sei milioni di ebrei sacrificati sull’altare dell’antisemitismo.
Spesso però si dimentica che ognuna di quelle sei milioni di vittime era un individuo, con una storia personale unica, e una vita davanti, magari difficile e faticosa, oppure ricca di speranze e prospettive
Come quella di Franceska Mann, o Franciszka Mannówna, una giovane donna che aspirava a diventare una grande ballerina, e aveva i numeri per riuscirci.
Immagine di Pubblico Dominio
Franceska, che viveva a Varsavia, aveva studiato danza nella prestigiosa scuola di Irena Prusicka, ed era considerata un astro nascente del ballo, sia classico sia moderno. Alla competizione di danza internazionale a Bruxelles, nel 1939, era arrivata al quarto posto, su 125 concorrenti.
Alla fine del 1940 per gli ebrei polacchi di Varsavia iniziò l’incubo: migliaia di cittadini furono rinchiusi nel ghetto, l’anticamera dei campi di sterminio. Da quel momento la storia di Franceska assume contorni nebulosi, perché la ragazza è una delle tante ebree il cui destino è già segnato: morire di stenti o malattia nel ghetto stesso, oppure essere deportata in un campo di concentramento.
Non esiste nessun documento scritto che parli di lei, solo qualche notizia raccontata da alcuni sopravvissuti.
Secondo alcune fonti, Franceska si esibiva in un night club della capitale, il Melody Palace; secondo altre, collaborava con i nazisti, ma la sua fine pare smentire quest’ultima voce.
Agli inizi del 1943, Franceska Mann fu trasferita all’Hotel Polski, insieme a centinaia di altri suoi connazionali. L’Hotel Polski rappresentava l’ultimo barlume di speranza per molti ebrei, mentre in realtà era una trappola per coloro che erano riusciti a nascondersi nel quartiere ariano della città: correva voce che i nazisti fossero disposti a liberare un certo numero di ebrei, fornendo loro un passaporto valido per il Sud America, in cambio del rilascio di prigionieri tedeschi da parte delle Forze Alleate. Non è chiaro se inizialmente ci fosse qualcosa di vero in questo che venne chiamato “l’affare Hotel Polski”, ma certamente fu un sistema usato dai nazisti per indurre gli ebrei nascosti a uscire allo scoperto.
Il 23 ottobre del 1943 circa 1700 persone furono trasportate ad Auschwitz, credendo di essere condotte ad un campo di trasferimento, con destinazione finale la Svizzera, dove sarebbe dovuto avvenire lo scambio con i prigionieri. Tra loro c’era anche Franceska Mann.
Ai prigionieri, destinati alla morte immediata, fu detto che dovevano essere disinfettati prima di attraversare la frontiera
Le donne si ritrovarono separate dagli uomini, in uno spogliatoio adiacente alla camera a gas (almeno secondo la versione più accreditata), dove fu ordinato loro di svestirsi.
Forse fu in quel momento che Franceska capì l’inganno e decise di reagire: secondo alcuni testimoni (certamente non oculari) la ragazza riuscì a incantare una delle due guardie, probabilmente con una sorta di danza/spogliarello, e la colpì in fronte con una scarpa, riuscendo poi a rubargli la pistola. Sparò due colpi al ventre di Josef Schillinger, e con un terzo ferì ad una gamba Wilhelm Emmerich. A quel punto le altre donne si accanirono contro i due soldati nazisti, prima di essere tutte uccise a colpi di mitragliatrice.
Illustrazione di Władysław Siwek, un sopravvissuto di Auschwitz
L’episodio della rivolta di un gruppo di donne destinate alla camera a gas, nell’ottobre del 1943, è confermato da un documento tedesco, e menzionato anche dal comandate di Auschwitz Rudolf Hoss, che però non fornì ulteriori dettagli. Che la protagonista dell’episodio fosse una ballerina venne fuori in seguito, ed è ovviamente impossibile sapere con certezza la sua identità. Ma in realtà, la cosa veramente importante è rappresentata dall’incredibile atto di ribellione di una donna, che ha avuto il coraggio di combattere per la sua vita, non certo ad armi pari.
Come scrisse un sopravvissuto di Auschwitz: “L’incidente, passato di bocca in bocca e abbellito in vari modi, è diventato una leggenda. Senza dubbio, questa azione eroica di una debole donna di fronte a una morte certa, ha dato un sostegno morale ad ogni prigioniero. Ci siamo resi conto all’improvviso che se avessimo osato alzare una mano contro di loro, quella mano avrebbe potuto uccidere: erano mortali”.