Palermo, 16 febbraio 1633: a Piazza Marina, dove si affaccia il Palazzo Chiaramonte Steri, sede dell’inquisizione, a due passi dal carcere della Vicaria, una folla di popolani e signori sono in attesa dell’evento del giorno: l’esecuzione di Francesca Rapisardi, detta “La Sarda”, condannata alla decapitazione dalla Regia Corte Capitaniale come “fabbricatrice d’un veleno diabolico in acqua, della quale solo dandone una stilla in qualsivoglia cosa, faccia perdere il calore naturale, e fra tre giorni al più ne morivano le persone che la bevevano, così in Palermo, come nel Regno”. (Cit. da I veleni di Palermo, Rosario La Duca).
Un’avvelenatrice dunque, esperta di un mestiere che, a quanto pare, era assai remunerativo e praticato da diverse donne in quella città dalle molte anime e dalle mille storie.
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Quando Francesca arriva a Piazza Marina migliaia di persone sono lì ad aspettare. Vogliono vedere una donna morire sotto la mannaia del boia, accalcati su palchi di legno sistemati per l’occasione. Chissà cosa passa per la mente dell’avvelenatrice – che ha già ricevuto insulti di ogni genere mentre attraversava su un carro le strade di Palermo – quando qualcuno, come sempre accade in quelle occasioni, inizia a prenderla in giro e a ridere di lei, dispensatrice di morte finita sul patibolo. Forse spera, o forse è certa, di avere un qualche potere mortifero, fatto sta che si rivolge a tutti i presenti e urla:
Ridete pure! Tanto molti di voi verranno con me
Francesca non può assistervi, ma quello che accade subito dopo l’esecuzione ha il sapore di una profezia che si avvera: il legno dei palchi non regge il peso dei troppi e forse scalmanati spettatori, e cede.
Nel fuggi fuggi generale molte persone finiscono calpestate e muoiono, pochi minuti dopo l’avvelenatrice che, forse, se la rideva dall’al di là
O forse no, visti i troppi peccati da scontare. Perché Francesca in realtà, pur confessando sotto tortura, è probabilmente un’assassina seriale, anche se non nel senso che intendiamo oggi. Più una donna d’affari, capace di dispensare morte grazie a un potentissimo veleno di sua creazione, che lei vende, pur con le cautele del caso, a tutti quelli che ne fanno richiesta.
Non è la prima avvelenatrice della Palermo seicentesca, ma è con lei che il giro d’affari si allarga dalla città ai paesi vicini fino a chissà dove. Sono molti a richiedere il suo potente veleno, forse troppi per non destare sospetti nelle autorità cittadine, che proprio in quel periodo sono messe sotto pressione dal nuovo viceré, Fernando Enriquez Afan de Ribera, soprannominato “vendicator severo dei delitti” per la sua febbrile attività contro i pirati barbareschi che infestano le coste e i briganti che la fanno da padroni nelle campagne.
Non che il viceré sia particolarmente interessato a quello che accade nei vicoli di Palermo, dove probabilmente Francesca prepara il suo veleno, ma quando cominciano a morire anche personaggi altolocati allora diventa un altro paio di maniche.
Alla fine quindi Francesca La Sarda viene arrestata e giustiziata, ma non finisce qui. L’avvelenatrice, sotto tortura, ha fatto il nome di due complici: Pietro Placido Marco e Thofania d’Adamo. Pietro viene arrestato e ovviamente torturato. L’uomo confessa: è vero che sia lui sia Francesca vendevano il veleno, ma la vera artefice, quella che lo ha inventato e ancora lo prepara è solo Thofania d’Adamo.
Non che questa precisazione sulle responsabilità possa alleviare la pena, anzi: la sua esecuzione, avvenuta il 21 giugno 1633, è raccapricciante, squartato com’è in quattro parti alla moda spagnola (legando il corpo a quattro galee).
Meno di un mese dopo, il 12 luglio, anche la d’Adamo finisce condannata per un imprecisato numero di delitti (probabilmente aveva avvelenato anche suo marito).
Se il viceré, o chi per lui, pensava di aver chiuso per sempre con le avvelenatrici, si sbaglia di grosso. Perché sempre a Palermo sperimenta il suo veleno la bellissima Giulia Tofana (probabilmente figlia o nipote di Thofania d’Adamo), che dalla Sicilia espanderà la sua attività a Napoli e Roma, ma questa è un’altra storia…