Nel 1928 lo stato brasiliano del Pará iniziò a sperare in uno sviluppo economico importante, grazie all’accordo raggiunto con il grande magnate della produzione automobilistica, Henry Ford. Ufficialmente, Ford voleva avviare una produzione di gomma, necessaria per i pneumatici e altre parti delle sue automobili, in modo da non dipendere dal monopolio britannico. La Ford Motor Company aveva bisogno di una fonte di lattice a basso costo, per contenere i prezzi delle nuove autovetture.
Il progetto di Ford era tuttavia molto più ambizioso: non si trattava semplicemente di avviare una coltivazione di alberi della gomma, ma di fondare una città ideale – basata sui principi che l’industriale aveva sostenuto durante tutta la sua vita – che garantisse un futuro migliore a chi viveva in quel luogo dimenticato dal mondo. Quella città avrebbe portato il suo nome:
Fordlandia
Henry Ford era in quegli anni un vero personaggio di fama mondiale. Fu per l’industria dell’epoca quello che è stato recentemente Steve Jobs o quello che è oggi Mark Zuckerberg: un vero rivoluzionario.
Piantagione di alberi della gomma nella proprietà di Henry Ford
Nell’arco di dieci anni dalla sua fondazione a Dearborn (nello stato del Michigan), avvenuta nel 1903, la Ford Motor Company aveva rivoluzionato la produzione automobilistica, con l’introduzione della catena di montaggio, che consentiva un assemblaggio veloce delle vetture, e di conseguenza un abbattimento dei costi di produzione. L’automobile era diventato così un bene accessibile ad un crescente numero di persone e non più un bene riservato a pochi privilegiati.
Segheria e centrale elettrica a Fordlandia – Sullo sfondo la Torre dell’acqua
Tuttavia, la più grande rivoluzione operata da Ford non fu probabilmente industriale, ma sociale: nel 1914 annunciò pubblicamente di aver alzato il salario di tutti i suoi operai a 5 dollari al giorno (l’equivalente di circa 100 euro odierni). L’industriale era convinto che un equo trattamento economico avrebbero reso i lavoratori più responsabili anche come cittadini, e soprattutto li avrebbe trasformati in potenziali clienti. Secondo uno dei responsabili dell’ufficio per i rapporti con i dipendenti, le automobili erano “i sottoprodotti della sua vera e propria attività, che è la creazione degli uomini”. Purché non fossero ebrei: l’industriale era noto per il suo radicale antisemitismo, dichiarato pubblicamente, e sostenuto anche a mezzo stampa, grazie ad un giornale da lui finanziato, il Dearborn Indipendent.
Giorno di paga a Fordlandia
Ford si convinse che il suo ruolo nel progresso della società civile non doveva limitarsi all’organizzazione industriale, ma andare oltre: doveva occuparsi di intere città. Riuscì infatti a realizzare alcuni progetti di pianificazione urbanistica, ma il suo sogno più grande, la costruzione di una grande città industriale in Alabama, non vide mai la luce.
Ford decise quindi che la giusta posizione per la sua città ideale era molto più a sud, in Amazzonia.
Negli anni Venti del secolo scorso, le aree abitate del bacino dell’Amazzonia stavano vivendo un periodo di crisi. Alla fine dell’ottocento era proprio in quella regione che si registrava la maggiore produzione di lattice, grazie anche alla facilità del trasporto sulle acque navigabili del Rio delle Amazzoni. Le città lungo il fiume erano cresciute, con sempre nuovi abitanti in cerca di fortuna: Belem, la città sulla foce, era il porto più trafficato del Brasile, mentre Manaus, nel cuore della foresta, era talmente opulenta da potersi permettere un Teatro dell’Opera (teatro Amazonas) così grandioso da surclassare molti grandi teatri europei.
Tuttavia, la coltivazione dell’albero della gomma non era adatta ad essere condotta su larga scala: le piante, poste troppo vicine, erano soggette a malattie e infestazioni di parassiti. Questi alberi, che crescevano spontaneamente solo in Brasile, furono poi piantati in altre zone tropicali del pianeta, dove si svilupparono anche meglio. Gli inglesi iniziarono a coltivare gli alberi della gomma a Ceylon (l’attuale Sri Lanka), arrivando a conquistare il monopolio mondiale del lattice. Tutta l’area amazzonica che viveva grazie alla produzione della gomma si ritrovò con un’economia devastata.
L’ospedale di Fordlandia
L’ospedale di Fordlandia oggi
Fonte immagine: Wikipedia
Ford, che male aveva accettato lo smacco in Alabama, fu affascinato dall’idea di risollevare un’economia in ginocchio, grazie alle sue utopiche aspirazioni: far rinascere la coltivazione dell’albero della gomma era un “lavoro di civiltà”. L’industriale era convinto che i valori che avevano reso la sua azienda un grande successo potevano ricreare lo stesso effetto in qualsiasi luogo del pianeta: un’idea di globalizzazione, quando questo concetto era ancora di là da venire.
Una delle case per gli operai
Nel 1928 annunciò:
Non andiamo in Sud America per fare soldi, ma per contribuire allo sviluppo di quella terra meravigliosa e fertile
Anche se molti dei suoi collaboratori gli consigliarono di acquistare la gomma direttamente dai produttori brasiliani, Ford concluse un accordo non proprio vantaggioso con il governatore del Pará: una concessione di 250.000 chilometri quadrati in cambio di 125.000 dollari, quando avrebbe potuto ottenerla senza sborsare nulla, come prevedeva la legge. In questo modo però, Ford aveva raggiunto il suo scopo: “il diritto di far funzionare Fordlandia come uno stato separato”.
Il campo da golf nel Villaggio Americano di Fordlandia
La città, dove c’era il Villaggio Americano riservato ai dipendenti statunitensi, era dotata di ospedale, scuole, generatori, una segheria, un campo da golf, una sala da ballo. Le bevande alcoliche erano proibite, e tutti dovevano mangiare cibo americano. Nel 1930 ci fu una ribellione degli operai brasiliani, stanchi di mangiare hamburger e di non poter bere un goccio di caipirinha.
Sala da ballo e cinematografo
Anche se un cambio di dirigenza riportò un po’ di tranquillità a Fordlandia, rimase irrisolto il vero grande problema: non si riusciva a produrre la gomma, perché gli alberi si ammalavano. Nonostante questo la città sopravvisse per qualche anno, fino al suo totale abbandono da parte della Ford Motor Company. Nel 1945, il nipote di Henry Ford la vendette al governo brasiliano, con una perdita di venti milioni di dollari dell’epoca.
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Tuttavia Fordlandia non è mai rimasta completamente disabitata: attorno al 2005 ci vivevano una settantina di persone, e nel 2017 gli abitanti sono arrivati a circa duemila.
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Molti edifici originali sono ancora in piedi, anche se la maggior parte delle attrezzature è stata portata via. Il simbolo della città ideale di Ford, la Torre dell’Acqua, alta 50 metri, è ancora in piedi.
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Probabilmente Ford ne sarebbe stato orgoglioso, ma egli non visitò mai la città che portava il suo nome. Il sogno americano si era infranto nella impietosa e selvaggia giungla amazzonica.
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Sotto il libro “Fordlandia: the rise and fall of Henry Ford’s forgotten city”:
Mentre sotto un video mostra Fordlandia nel 1932: