First Contact: il documentario che mostra il 1° contatto degli abitanti di Papua Nuova Guinea

Irrequieto figlio di immigrati irlandesi nel Queensland australiano,Michael James (Mick) Leahy era un giovane autista di camion e tagliatore di legna quando nel 1926, preso dalla febbre dell’oro che allora imperversava nei più lontani territori della Corona britannica, salì su un cargo diretto a Port Moresby, nella odierna Papua Nuova Guinea, dando vita a quello che si rivelò un viaggio nel tempo e nell’uomo in terre e tra culture fino ad allora inesplorate.

Fino ad allora la Nuova Guinea era una terra pressoché sconosciuta, esplorata e colonizzata lungo la fascia costiera per meno di un sesto della sua estensione: una terra rigogliosa contesa per le potenzialità minerarie e per le risorse agroforestali.

Dopo un breve periodo di ambientamento e varie vicissitudini (tra le quali la morte della moglie per malaria) si insediò nel distretto di Bololo tentando la fortuna presso l’Edie Creek, avviando un’impresa mineraria e di costruzioni, a cui in breve si aggregarono tre dei suoi otto fratelli: Paddy, Jim e Danny.

La florida zona costiera papuana era protetta alle spalle da una imponente serie di catene montuose che si elevavano ben oltre i tremila metri, segnate da profonde valli che la collegavano attraverso rigogliose foreste ad un entroterra sconosciuto.

Questo era quanto si parava innanzi ai loro occhi e alle loro fantasie.

Mick, Jim e Pat, insieme agli amici Michael Dwyer e Jim Taylor e ad un piccolo gruppo di compagni indigeni, agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso, mossi dal fervore per la ricerca dell’oro, intrapresero una serie di esplorazioni a scopo minerario negli altopiani interni.

Nel 1933, risalita la Waghy Valley e dopo sporadici incontri con popolazioni locali, diedero vita a un’impresa epica: innanzi al loro sguardo si aprì un florido e immenso altopiano, fatto di foreste vergini, villaggi, orti coltivati, valli e corsi d’acqua.

Fu qui che scoprirono ed incontrarono i primi membri di una popolazione nativa composta da oltre un milione di persone, frammentata in centinaia di tribù socialmente strutturate e linguisticamente ricchissime, che fino allora non avevano avuto alcun contatto con altri uomini.

Tra le paure dei portatori, consci dei racconti di terre lontane e pericolose popolate di cacciatori e guerrieri cannibali e lo stupore e lo sgomento dei locali che credevano di aver incontrato gli spiriti reincarnati dei loro antenati, i membri della spedizione Leahy filmarono e documentarono gli incontri da cui, nel 1983 nacque il docufilm “First Contact”, dei registi australiani Bob Connolly e Robin Anderson.

L’idea nacque nell’ambito della discussione circa un progetto di studio storico del coinvolgimento australiano in Papua Nuova Guinea: rapiti dal racconto della storia dei fratelli Leahy, Connoly ed Anderson si misero alla ricerca di fonti per un nuovo progetto.

Robin Anderson restò attonita quando Richard, figlio di Michael Leahy, le consegnò sette rugginose scatole di latta contenenti le bobine originali che avevano fermato il tempo nel tempo.

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Il progetto diventava realtà.

I due tornarono nelle Highlands papuane alla ricerca dei superstiti di quello straordinario incontro e, mediando le loro storie alla documentazione foto-cinematografica originale, crearono un documentario dallo straordinario valore storico ed antropologico.

Le narrazioni dei superstiti di entrambe le parti raccontano di stupore, sgomento di incredulità nell’incontro tra due mondi che avevano vissuto parallelamente fino a quel momento.

Le reazioni dei membri della spedizione furono diverse e contrastanti. Lo spirito coloniale e il forte etnocentrismo culturale anglosassone d’oltreoceano ben presto emersero e quarantuno indigeni persero la vita colpiti dalle armi della spedizione Leahy.

Da parte aborigena l’incontro suscitò paura e curiosità: nella cultura locale la pelle dei defunti-che trapassavano in un aldilà fortemente connesso al mondo dei vivi – sbiancava, e per questo motivo i membri della spedizione furono in un primo momento scambiati per antenati discesi nel mondo dei vivi.

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Le tecnologie occidentali, agli occhi di uomini il cui sviluppo tecnico era fermo alle conoscenze dell’Età della Pietra, crearono stupore e timore, che vennero strumentalizzati dagli esploratori per stabilire la supremazia coloniale necessaria al raggiungimento dello scopo della spedizione: appropriarsi delle ricchezze naturali.

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Il racconto si sviluppa su due piani: le memorie dei fratelli Leahy e quelle dei superstiti. Da una parte il retaggio culturale etnocentrico e dall’altra il paradosso di chi in meno di mezzo secolo vide compiere un salto temporale di decine di migliaia di anni.

Le donne narranti, allora ragazzine, ricordano il loro essere state oggetto di dono e favore sessuale in cambio di asce metalliche e di piccole apparentemente inutili conchiglie prive di valore (rimando qui allo studio della Kula da parte di Bronislaw Malinowski), raccontando la paura che pervadeva il loro animo al pensiero di doversi accoppiare con questi uomini giunti dal nulla, che credevano spiriti e che invece riconobbero nella loro natura, comprendendo la loro natura umana proprio nell’atto sessuale e, quasi comicamente, nello scoprire che essi defecavano esattamente come ogni altro essere vivente.

Stupefacente, struggente, paradossale, talvolta addirittura faceto, First Contact ha ricevuto diversi importantissimi riconoscimenti internazionali, tra i quali il premio come migliore documentario all’Australian Film Institute Award nel 1983, il Grand Prix al Festival Cinéma du Réel in Paris nello stesso anno e fu candidato per un Academy Award nel 1984.

Rappresenta oggi parte di una più ampia trilogia, Joe Leahy’s Neighbours (1989) and Black Harvest (1992), testimonianza dello squilibrio di potere che aprì la strada all’epoca coloniale occidentale delle “Terre Alte”della Nuova Guinea.


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