Felice Beato fu un fotografo e avventuriero che viaggiò in lungo e in largo per il mondo durante oltre mezzo secolo, fra il 1851 e il 1907, e che documentò alcuni dei più importanti eventi bellici legati all’espansione coloniale britannica dell’epoca Vittoriana. Il suo lavoro costituisce un documento storico preziosissimo, perché fotografò per la prima volta molti paesi orientali e fu probabilmente fra i primi (se non il primo) inviato di guerra in assoluto. Sue sono le prime fotografie di cadaveri, sue le prime ricostruzioni narrative di guerra realizzate mediante fotografie documentarie, sue le splendide fotografie colorate a mano del Giappone della fine del periodo Edo.
Nato a Venezia o Corfù nel 1832 o nel ’34, a quell’epoca non per tutti le date e i luoghi di nascita erano certi, Beato fece della fotografia un’impresa, accumulando notevoli fortune che poi perse in avventure imprenditoriali spregiudicate. Le sue immagini contribuirono a creare in Occidente una cultura dell’Oriente, ammirate da numerosissimi artisti, da Van Gogh ai parigini della Belle Époque, fra i motori dell’influenza nella pittura europea nota come “Giapponismo”.
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Il suo lavoro in Giappone durò circa una ventina d’anni, fra il 1863 e il 1877, un periodo importantissimo per il paese perché attraversato dal rinnovamento Meiji, fase politica che, nel 1869, riconsegnò il potere all’imperatore sottraendolo agli Shōgun Tokugawa.
In questo contesto Felice Beato aprì uno studio, in società con Charles Wirgman, con una società di nome “Beato & Wirgman, Artists and Photographers”, che coniugò la capacità documentaria fotografica dell’italo-britannico con quella artistica di Wirgman.
Il lavoro del fotografo, fra i pochissimi occidentali a risiedere in Giappone sotto il dominio degli shōgun, venne realizzato su carta all’albumina colorata a mano da artisti dell’acquerello locali, costituendo un lavoro documentario tanto importante da aver preso il nome di “Scuola di Yokohama”, raccontata nel volume “Japanese Dream” edito da Alinari.
La serie di fotografie furono originariamente raccolte nella pubblicazione di due volumi “Native Types” e “Views of Japan”, riuniti poi nel più ampio “Photographic Views of Japan with Historical and Descriptive Notes”. Le immagini furono realizzate fra il 1866 e il 1868, scattate a seguito di un incendio che distrusse buona parte del precedente lavoro del fotografo italo-britannico. “Native Types” include 100 ritratti di persone delle diverse classi sociali giapponesi, fra alcune famosissime fotografie di Samurai, mentre “Views of Japan” era composta da 98 fotografie di paesaggi e architetture del paese.
In seguito al lavoro svolto, non più in società con Wirman, Beato aprì uno studio in proprio a Yokohama, “F. Beato & Co., Photographers”, dov’era impegnato insieme ad altre otto persone, quattro fotografi e quattro artisti dedicati alla colorazione delle immagini.
Impegnato non solo come fotografo ma anche come imprenditore immobiliare, Felice Beato divenne addirittura il console per la Grecia nel paese Nipponico, grazie alla dubbia località della sua nascita e al periodo dell’infanzia passato certamente nell’isola di Corfù, tornata nei territori della Grecia nel 1864.
Il lavoro come fotografo di Beato in Giappone terminò nel 1877, quando il suo studio venne venduto a Stillfried & Andersen, che lo cederanno poi al già celebre fotografo italiano Adolfo Fasari, fra i maggiori divulgatori dell’arte fotografica nel Giappone di fine ‘800.
Nonostante non fosse più impegnato come fotografo, Felice Beato lasciò il Giappone solo 7 anni dopo la vendita del suo studio, nel 1884, quando si trasferì in Egitto e aprì nuovamente, ça va sans dire, uno studio fotografico.
In seguito continuò a seguire spedizioni militari britanniche che lo portarono prima nel vicino Sudan e poi in Birmania, dove finì per stabilirsi con un nuovo studio fotografico sino al 1907.
Dopo un’intera vita passata a fotografare in giro per il mondo, nel 1907 si trasferì a Firenze, dove morì nel 1909.
La sua tomba si trova al cimitero delle Porte Sante a Firenze, scoperta soltanto nel 2014 grazie a due ricercatrici italiane, Rossella Menegazzo e Sara Ragazzini, e l’impegno di alcuni ragazzi del Japan Camera Industry Institute (JCII) di Tokyo.
La vita di questo fotografo, che fu un imprenditore, un avventuriero e persino un dignitario di stato, fa parte di quella schiera di personaggi ottocenteschi che sono circondati da un’aura di leggenda, ormai dimenticati fra le pieghe del tempo, ma le cui avventure non possono che portarci a fantasticare di un mondo più piccolo e molto meno connesso di quello odierno, ma che aveva da offrire esperienze eccezionali a coloro che avevano il coraggio di esplorarlo…