Tutti gli appassionati di musica, in specie di musica lirica, conoscono il nome di Farinelli, pseudonimo di Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, nato ad Andria nel 1705, vera star dell’epoca, il più famoso cantante lirico castrato della storia.
Ritratto di Farinelli di Jacopo Amigoni
Dopo una carriera folgorante, mentre a Londra raccoglieva onori, gloria e cachet da favola, fu avvicinato dagli emissari della regina di Spagna, l’italiana Elisabetta Farnese, che lo invitava a trasferirsi a Madrid al servizio della corte, per intrattenere col suo canto il re Filippo V, affetto da seri disturbi psichici, tra i quali una profonda depressione.
Elisabetta Farnese
In cambio, gli fu offerta una somma altissima, un trattamento principesco e l’ambitissimo incarico di occuparsi degli spettacoli della corte. Farinelli accettò. Era il 1737. Non si sa se si sia mai pentito della scelta.
La Farnese, sposata da Filippo V in seconde nozze, voleva che il marito restasse al suo posto e non abdicasse a favore di un figlio di primo letto. Per questo faceva di tutto per impedire al re di ritirarsi in convento. L’astutissima regina ricorreva agli stratagemmi più assurdi, come quello di far togliere dagli appartamenti reali ogni pezzo di carta e ogni penna, per impedire al re suo consorte di stendere un atto di abdicazione.
Filippo V di Spagna
Quando Farinelli arrivò a Madrid fu fatto entrare in una stanza attigua alla camera del re, dove l’attendeva un cembalista. Socchiusa la porta della camera, Farinelli cominciò a cantare. Il re, sentita quella voce angelica, si mise a sedere sul letto, mosso dal desiderio di sapere chi mai fosse colui che cantava così meravigliosamente. Già questo fatto di alzarsi sembrò subito un miracolo, perché Filippo V da mesi giaceva a letto, “senza consentire ad alcuno di prendersi cura della sua pulizia personale, di sostituire le lenzuola, di cambiare la biancheria” (R.Pagano).
Farinelli, dopo quella prima esibizione, si avvicinò al letto per rendere omaggio al re, che promise di esaudire qualsiasi sua richiesta. Il cantante, così si racconta, gli chiese cortesemente di alzarsi e di “consentire che gli si prestassero le cure necessarie a trasformare la fetida larva umana che aveva vegetato in quel letto in un re di Spagna disposto a tornare alle sue incombenze di governo”. (Id.)
Da allora tutte le notti, eccetto quelle nelle quali Filippo V si preparava in penitenza ai riti religiosi del giorno dopo, poco prima della mezzanotte, il re faceva chiamare Farinelli al suo capezzale perché gli cantasse le solite sei, sette arie, sempre quelle. Nell’ultimo periodo, il re tentava di emulare Farinelli, cantando anche lui a squarciagola, con ululati che si udivano in tutto il palazzo. La vita della corte ne era completamente sconvolta, orari e ritmi mettevano a dura prova funzionari e servitori. Farinelli di tanto in tanto prendeva una pausa e si faceva sostituire da altri cantanti o musicisti.
Piano piano Farinelli divenne il vero dominus dell’attività artistica della corte spagnola
A Madrid e ad Aranjuez Farinelli, sia durante il regno di Filippo V che del suo successore Ferdinando VI, organizzava spettacoli operistici straordinari, guidato anche dalla sua raffinatissima competenza. Negli stessi anni Domenico Scarlatti, genio musicale assoluto, nella stessa reggia scriveva le sue straordinarie sonate per la regina Maria Barbara di Braganza.
Quando poi Carlo III salì al trono, nel 1759, Farinelli fu allontanato dalla corte, forse perché divenuto troppo influente. Il cantante si ritirò a Bologna dove, nonostante le visite di tanti personaggi famosi, soffrì molto di solitudine e di melanconia, un po’ come il Re che era riuscito a far rivivere rallegrato tanti anni prima.