Eva Mozes Kor: la bambina che perdonò i nazisti

Maggio 1944: ad Auschwitz arriva un treno carico di ebrei direttamente dall’Ungheria. I prigionieri vengono fatti scendere e viene fatta una prima selezione tra chi può lavorare e chi finisce subito nelle camere a gas. Le SS girano tra i prigionieri urlando “Zwillinge” (gemelli). Una SS si avvicina a una donna che tiene strette a sé le figlie più piccole, mentre cerca con lo sguardo il marito e le due figlie più grandi, scomparsi tra la folla. Il militare chiede alla donna se le figlie siano gemelle. La donna, titubante, chiede se sia per una buona causa. Il militare, senza esitare, risponde sì e la madre annuisce: le bambine sono gemelle. La guardia allora urla “Zwillinge” a pieni polmoni. Una seconda SS arriva velocemente a dividere la madre dalle figlie, tra lacrime e urla.

Avviene così l’addio straziante di persone che non si vedranno mai più

Targa commemorativa del padiglione Mengele ad Auschwitz – Immagine di Manerij via Wikipedia condivisa con licenza CC BY 4.0

Le bambine si chiamano Eva e Miram Mozes, gemelle omozigote nate in Transilvania, regione della Romania, in una famiglia ebrea ortodossa. Con l’avanzata delle truppe tedesche la famiglia fu costretta a trasferirsi in un ghetto in Ungheria, per essere poi deportata ad Auschwitz-Birkenau, dove tutti i suoi membri trovarono la morte. Tutti tranne Eva e Miriam, le gemelle, alla mercé degli esperimenti del dottor Mengele e della sua equipe. Dopo la dolorosa separazione dalla madre le sorelline vennero portate nella baracca destinata alle “Versuchstieren”, ovvero animali da laboratorio, di Mengele, dove trovarono altre decine di coppie di gemelli, in un’età compresa tra due e sedici anni. Tutti i gemelli erano sottoposti ad esperimenti terribili.

Josef Mengele:

Eva e Miriam non furono trattate diversamente: lunedì, mercoledì e venerdì, assieme ad altre coppie di gemelli, venivano denudate e lasciate in una stanza gelida fino a otto ore per volta per poi vedersi misurate e confrontate diverse parti del corpo anziché esser riscaldate e rivestite; martedì, giovedì e sabato, erano condotte in una stanza, dove i medici delle SS legavano loro le braccia con i lacci emostatici, e da sinistra prelevavano il sangue, mentre da destra iniettavano sostanze di cui non conosciamo l’origine. Un giorno, dopo cinque iniezioni, Eva venne colpita da una febbre fortissima, mentre gli arti si gonfiavano a dismisura, tanto da non poter nemmeno stare in piedi, ed era martoriata da dolori lancinanti. In preda agli spasmi, Eva sentì il dottor Mengele dire:

Peccato. È così giovane, ma tra due settimane dovrà morire

Venne portata in una baracca adibita ad ospedale lontana dagli altri, dove c’era solo una bacinella d’acqua e non le veniva portato cibo. Eva non ebbe mai ricordi chiari di quelle due settimane se non il pensiero ricorrente: “Devo sopravvivere!”, anche per il ricordo recentissimo di aver trovato il cadavere di una bambina di dieci anni nelle latrine. Dopo due settimane la febbre cominciò a scendere ed Eva venne portata in laboratorio, dove ebbe bisogno di tre settimane per riprendersi, ovviamente senza cure delle SS, che continuavano a studiarla. Quando finalmente tornò alla baracca trovò la sorella Miriam seduta sulla branda, molto malata e con lo sguardo perso nel vuoto. Quando le chiese cosa fosse successo, Miriam rispose: “Non posso parlarne. Non ne parlerò”.

Miriam ed Eva Mozes dopo la guerra – Immagine di Camila Meneses Castro via Wikipedia condivisa con licenza CC BY 4.0

Nel gennaio del 1945, quando gli Alleati avanzavano in Europa, le SS sgomberarono Auschwitz, distruggendo le camere a gas e i forni crematori, facendo sparire i documenti relativi ai prigionieri. Per quella che venne chiamata la Marcia della Morte verso Dachau si scelsero i prigionieri in condizioni di salute migliori, lasciando dietro malati e bambini troppo piccoli.

Il 27 gennaio le truppe sovietiche entrarono ad Auschwitz e tra i bambini superstiti c’erano anche le gemelline Eva e Miriam

Le bambine riconobbero tra i sopravvissuti un’amica della madre, che le riportò in Romania, dove andarono ad abitare con una zia. Nonostante non parlassero mai di Auschwitz tra di loro, la vita era comunque difficile per via del passato e del regime appoggiato dai comunisti, così a quindici anni si trasferirono in Israele, dove entrambe si arruolarono nell’esercito. Qui Eva conobbe Michael Kor, che sposò mentre lei continuava la sua carriera nell’esercito. Nel 1965, Eva e Michael si trasferirono negli Stati Uniti, dove ebbero due figli, Alexander e Rina.

Nonostante il trasferimento in un altro continente, Eva continuò a non parlare della sua esperienza ad Auschwitz e a sentirsi estraniata. Una volta rimproverò una maestra elementare di sprecare il cibo, perché faceva pitturare ai suoi alunni le uova per Pasqua.

Divenne per questo bersaglio degli scherzi del vicinato, e qualcuno dipinse la svastica fuori da casa sua. Nel 1978, con la messa in onda della miniserie Olocausto, Eva trovò il coraggio di raccontare ciò che aveva vissuto sulla propria pelle, e che le causò non pochi problemi di salute per tutta la vita. Fondò l’associazione CANDLES, Children of Auschwitz Nazi Deadly Lab Experiments Survivors, letteralmente “I Bambini di Auschwitz sopravvissuti ai mortali esperimenti di laboratorio dei Nazisti”, con l’intento di trovare tutte le vittime sopravvissute al dottor Mengele. Nel 1984, ritornò per la prima volta ad Auschwitz insieme alla sorella Miriam, che viveva ancora in Israele insieme al marito.

Eva Mozes Kor nel 2016 – Immagine del Oregon State University via Wikipedia condivisa con licenza CC BY 2.0

Miriam rimase incinta, ma qualcosa andò storto durante la gravidanza e dovette abortire. Sviluppò un’infezione ai reni che nessun antibiotico riusciva a scalfire. Da una visita medica si scoprì che i reni di Miriam erano quelli di una bambina di dieci anni: ciò significava che, a causa degli esperimenti di Mengele, i suoi reni non erano più cresciuti. Si scoprì così cosa successe a Miriam mentre Eva aveva la febbre: Mengele la mise in isolamento dagli altri, in attesa che Eva morisse, così da fare l’iniezione letale a Miriam, per poi aprire i corpi e comparare le autopsie. Quando Eva inaspettatamente sopravvisse, Mengele tenne ancora Miriam in isolamento e le fece molte iniezioni, che la resero cagionevole di salute per tutta la vita. Il medico israeliano che curava Miriam chiese a Eva di trovare i documenti di Auschwitz su di loro, per sapere cosa ebbero iniettato. Eva scrisse alle maggiori testate giornalistiche e alle televisioni statunitensi, ma non ricevette risposta.

Quello che Mengele iniettò nelle sue cavie è, ancor oggi, un mistero

Stolpersteine di Eva Mozes nella natia Transilvania – Immagine di Christian Michelides via Wikipedia condivisa con licenza CC BY 4.0

Eva consigliò la sorella di non avere figli ma Miriam partorì ugualmente, un evento che le fu fatale. L’infezione che aveva ai reni si aggravò, fino a generare un tumore. Aveva due opzioni davanti: la dialisi a vita o il trapianto di reni. Eva non ebbe dubbi: “Avevo una sorella e due reni. Fu una scelta facile”, come dichiarò per il resto della sua vita. Il trapianto avvenne con successo, ma non migliorò le condizioni di Miriam, che morì nel 1993 per le conseguenze del cancro ai reni. Eva, nonostante le pessime condizioni di salute e poi la morte di Miriam, non si perse d’animo e, quando si scoprirono i resti di Mengele in Sud America nel 1986 non esitò a scagliarsi contro le autorità statunitensi che sapevano dove si trovasse Mengele, ma lo avevano lasciato vivere in pace, definendoli “maledetti assassini”.

Partecipò poi a un documentario in cui parlò degli esperimenti del dottor Mengele, e in quell’occasione ebbe la possibilità di incontrare il dottor Hans Münch, l’uomo buono di Auschwitz, e insieme raccontarono Auschwitz alle proprie famiglie. Eva chiese al dottor Münch di firmare una dichiarazione di quanto avessero fatto le SS nel campo di concentramento, in modo da avere una prova tangibile da mostrare a chi avesse il coraggio di negare la Shoah. Eva, da questo incontro, capì di avere ancora tanta rabbia nei confronti dei nazisti, e ne trasse così un’occasione di discernimento: scrisse delle lettere, una per ciascun responsabile, in cui li perdonò, e portò avanti la sua idea di perdono, anche quando accompagnava le scolaresche ad Auschwitz nella sua visita annuale. Strinse la mano a Oskar Gröning, il ragioniere di Auschwitz, durante il processo a suo carico nel 2015, e adottò Rainer Höß, nipote di quel Rudolf Höß che era stato il primo comandante di Asuchwitz.

Li aveva perdonati, avevano avuto il suo odio per oltre 50 anni, ora non voleva che occupassero più un posto così importante nel suo cuore

Eva nel 2019 aveva 85 anni, e come ogni anno si era recata in visita ad Auschwitz con il suo museo. Giunse in Polonia, ma da lì non sarebbe più ripartita. Morì il 4 Luglio del 2019, in quell’Europa in cui era stata quasi uccisa 75 anni prima e nella quale era resuscitata, per vivere e insegnare al mondo il valore del perdono.


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