Epidemie e rivolte sociali: un rapporto di causa-effetto?

Pare proprio che una sottile linea rossa abbia legato devastanti epidemie e rivolte popolari. A Siracusa, nel 1837, è il colera che accende la miccia di una rivolta, scoppiata per una presunta diffusione del morbo da parte dei Borbone; andando più indietro nel tempo, nel 1647, a Palermo esplode un’insurrezione guidata dalle corporazioni artigiane, vessate da troppe gabelle. Appena una ventina d’anni prima, nel 1624, la città era stata devastata da un’epidemia di peste, durata oltre un anno e finita (secondo la convinzione dei palermitani) solo grazie alla “Santuzza”, Santa Rosalia, poi proclamata patrona di Palermo.

La fotografia di un paese durante un’epidemia è sempre straordinariamente uguale a se stessa:

Morte per contagio, quarantena, interventi del governo, mai ritenuti consoni alla situazione

Perché l’isolamento porta con sé conseguenze economiche e sociali difficili da ingoiare. I cittadini si sentono oppressi e, talvolta minimizzando i rischi, manifestano il loro dissenso, che in qualche caso si trasforma in rivolta aperta.

Potrebbe sembrare una descrizione di quanto avvenuto in molte parti del mondo durante l’epidemia di Covid-19, in questo disgraziato anno 2020. Invece si tratta di un’analisi esposta dal Dr. Mark Senn in un articolo datato 2003: English Life and Law in the time of the Black Death, in riferimento alle rivolte contadine scoppiate in Inghilterra nel 1381.

Il sacerdote John Ball incoraggia i contadini ribelli

Immagine di Pubblico Dominio

Come si legano le violente proteste del 1381 con la peste nera del 1348, che aveva falcidiato la popolazione inglese (e di circa un terzo quella europea)?

Tutte quelle morti avevano avuto come conseguenza un forte calo della manodopera, grazie al quale i contadini avevano conquistato un “potere contrattuale” (detto in termini moderni) mai conosciuto fino ad allora.

E’ vero, sono passati trent’anni dall’epidemia, duranti i quali (sempre secondo Senn) si fanno sempre più evidenti le cause delle difficili condizioni di vita del popolo: tasse che aumentano e paghe da fame, costi che lievitano e poco cibo da mettere in tavola, perché i nobili, per non rinunciare a parte dei loro profitti, diminuiscono i salari e addirittura possono, per legge, multare chi rifiuta di lavorare alla paga fissata. Come non bastasse la Corona s’inventa sempre nuove tasse, per finanziare la guerra contro la Francia.

La scintilla che dà inizio alla rivolta è un tentativo di riscossione di tasse arretrate (la poll tax, la più iniqua di tutte), da parte di un funzionario governativo, John Bampton, in una cittadina dell’Essex, il 30 maggio 1381. La popolazione insorge con violenza e la protesta si diffonde praticamente in tutta l’Inghilterra. I contadini chiedono la fine del servaggio, gli artigiani pretendono una riduzione delle tasse e perfino qualche funzionario aderisce alla rivolta.

Dopo aver catturato e ucciso Simon Sudbury, l’Arcivescovo di Canterbury, migliaia di dimostranti si riversano a Londra, dove uccidono parecchi esponenti del governo reale, aprono le carceri e incendiano i simboli del potere legale. Dopo qualche apparente concessione (l’abolizione della servitù della gleba), garantita da re Riccardo II solo per guadagnare tempo, la rivolta viene stroncata uccidendo il carismatico leader degli insorti, Wat Tyler, e in seguito anche gli altri capi dei ribelli vengono giustiziati. Tutto torna quasi come prima: il sovrano si rimangia le promesse fatte (e firmate), ma se non altro il Parlamento non si azzarda a imporre nuove tasse per lungo tempo.

Il dipinto raffigura la fine della rivolta contadina del 1381. L’immagine mostra il sindaco di Londra, Walworth, che uccide Wat Tyler. Ci sono due immagini di Riccardo II. Una guarda l’omicida mentre l’altra parla ai contadini:

Servi della gleba – illustrazione del 1310 circa

Immagine di Pubblico Dominio

Nel 1578 la peste si ripresenta in Europa (a Milano viene chiamata la peste di San Carlo) e colpisce anche Londra, dove la Regina Elisabetta I subito decide di mettere in quarantena i malati ma anche i sani, proprio per impedire la diffusione del morbo.

Il provvedimento non viene apprezzato: non si tratta di una forma di prevenzione ma piuttosto di una punizione nei confronti dei singoli. Esattamente come succederà durante l’epidemia del 1636, secondo Kira Newman (Bubonic Plague and Quarantine in Early Modern England, 2012): “C’era un racconto popolare che descriveva la quarantena e l’isolamento come una punizione personale anziché che come una politica prudente”.

Illustrazione per un opuscolo sulla peste del 1625

Immagine di Pubblico Dominio

I cittadini di Londra faticano ad accettare le restrizioni e molti non si attengono ai protocolli sanitari, tanto che vengono inasprite le punizioni per chi trasgredisce: dopo il 1604, quelli che, pur avendo sul corpo piaghe da peste, escono di casa, vengono impiccati. Chi non rispetta la quarantena viene invece frustato. Sono punizioni terribili, istituite per prevenire una nuova possibile epidemia, ma considerate inique dalla maggior parte della popolazione, in particolare da quella classe media che non poteva sopravvivere senza lavorare (artigiani e commercianti).

La grande peste di Londra del 1665

Immagine di Pubblico Dominio

Quello economico non è però il solo aspetto che induce a protestare contro la quarantena e quella prima forma di “distanziamento sociale”.

I protocolli sanitari voluti da Elisabetta I avevano come fine un “bene comune”, ma non tenevano in considerazione la “carità”: i malati venivano abbandonati a se stessi, una cosa moralmente inaccettabile che avrebbe, forse, scatenato la collera divina. In conclusione, non potersi impegnare nella cura del prossimo veniva visto come un male peggiore della peste.

D’altro canto, pare assodato che il governo inglese abbia usato le restrizioni sanitarie previste per la peste anche per impedire disordini popolari: vengono vietati i raduni e chiusi i teatri per impedire proteste di massa, con la scusa della peste. Nonostante ciò, nel giugno 1595 scoppia a Londra la cosiddetta “Rivolta degli Apprendisti”: un migliaio di apprendisti protestano per le condizioni di miseria in cui vivono, per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e, in definitiva, per l’avidità della classe dirigente.

Le Rivolta dei Ciompi di Firenze

Sotto, l tumulto dei ciompi di Giuseppe Lorenzo Gatteri:

In Italia è celebre la rivolta dei Ciompi che, nel 1378, infiammò la Firenze medievale. In Italia è da poco passato un flagello che ha colpito senza pietà la popolazione fiorentina:

La Peste nera del 1348

Il morbo ha colpito con una durezza inimmaginabile proprio la città di Firenze, che si trova al centro di ricchissimi scambi commerciali legati soprattutto all’industria tessile. Ci dà un’istantanea di quello che fu il Boccaccio:

Non bastando la terra sacra alle sepolture, si facevano per cimiteri le chiese, nelle quali a centinaia si mettevano i sopravvenenti ed in quelle stivati come si mettono le mercanzie nelle navi, con poca terra si ricoprieno“.

La stima delle vittime va dai 2/3 del totale degli abitanti alla metà su una popolazione di circa 100.000 persone.

Questa drastica diminuzione della popolazione fa fermentare la rivolta sociale, che arriva puntuale 30 anni dopo la fine dell’epidemia. I ciompi, coloro che sono addetti a battere la lana per renderla pronta alla cardatura, iniziano a tumultuare perché sono fra i principali destinatari delle manovre economico/politiche delle classi dirigenti, che scaricano sui lavoratori il peso della crisi conseguente all’epidemia di peste.

Insieme a un’altra parte del popolo fiorentino occupano la piazza e pretendono di avere un peso politico nel governo della città. Il “popolo grasso”, preso alla sprovvista, accetta le richieste del “popolo di dio”, e Michele di Lando, leader della rivolta, diventa Gonfaloniere di Giustizia.

Sotto, statua di Michele di Lando a Firenze. Fotografia di Sailko condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

Nel giro di breve tempo però l’impreparazione politica del Di Lando e le crescenti e insoddisfabili richieste degli operai porteranno alla restaurazione dello status-quo precedente alle rivolte, e la sommossa dei Ciompi si concluderà in un nulla di fatto.

Si tratta di un’altra dimostrazione della teoria di Senn: la peste come innesco di una rivolta contro le ingiustizie sociali ed economiche, acuite dall’epidemia. Anche quelle proteste finiscono nel sangue e non cambia nulla nell’assetto sociale e politico dell’epoca.

Un’amara lezione per quanti speravano in un cambiamento in meglio, a livello globale, dopo il Covid-19.

Fonti: English Life and Law in the time of the Black Death, di Mark A. Senn:  Shutt up: Bubonic Plague and Quarantine in Early Modern England, di Kira L. S. Newman.


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