Epaminonda: l’indomito Tebano che pose fine all’Egemonia Spartana

Il grande oratore (avvocato, politico, filosofo) romano Cicerone, che ne aveva un po’ per tutti, non ha per questo personaggio che parole di lode, lo definisce “il primo uomo della Grecia”. Non parla di Pericle (circondato dalla gloria), né di Leonida (il figlio del leone) o Temistocle (la gloria della legge) e nemmeno di Filippo II o di Alessandro Magno, che daranno vita a un impero enorme. Cicerone si riferisce a Epaminonda (che significa qualcosa come “prestantissimo”), un nome che rimanda a sbiaditi ricordi scolastici e a non molto di più.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Epaminonda

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La storia della Grecia antica soffre un po’ il tormentone della costante contrapposizione tra Atene e Sparta, tra la culla della democrazia, considerata per tanti versi la madre di tutta la civiltà occidentale, e la città della diarchia e degli oligarchi, che nell’arte della guerra trova la sua massima espressione.

Atene e Sparta, che nell’arco di un secolo sono prima alleate e poi avversarie, lasciano poco spazio al ricordo delle altre città greche

Epaminonda non era né ateniese né spartano: nasce intorno al 420/15 a.C, a Tebe, polis greca più conosciuta forse per il mito di Edipo che per la sua storia come importante città protagonista dei tanti conflitti che vedono contrapporsi, con alleanze sempre diverse, le città stato della Grecia. Tebe arriva addirittura a sostenere l’imperatore Serse I nella seconda guerra persiana (480 a.C.), perché è da sempre nemica di Atene. I Tebani si alleano con Sparta durante la guerra del Peloponneso, ma pochi anni dopo si schierano con Atene, Argo e Corinto contro la città lacedemone.

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Sono quelli gli anni della giovinezza di Epaminonda, anni turbolenti che vedono passare la sua città da una posizione di predominio sull’intera regione, la Beozia, a una mascherata sottomissione a Sparta: nel 382 a.C, con una sorta di colpo di stato, un comandante spartano mette a capo della città oligarchi filo-spartani.

La Grecia Antica

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Epaminonda fa parte dell’aristocrazia impoverita di Tebe, ma ha la grande fortuna di essere educato da un filosofo pitagorico, Liside, che scappando dall’Italia ha trovato ospitalità proprio a casa di suo padre. La dottrina pitagorica non è per tutti, è una sorta di filosofia-religione misterica che si occupa però anche di matematica e scienza. Il giovane Epaminonda impara così ad apprezzare l’idea di una politica “aristocratica” intesa nel senso letterale del termine, ovvero “governo dei migliori”.

Assorbe gli insegnamenti del precettore e diventa, a detta dei contemporanei, un uomo moralmente superiore alla media, per il suo disprezzo della ricchezza materiale, per la sua incorruttibilità, per lo stile di vita semplice, che mantiene anche quando arriva a comandare su tutta la Grecia.

Quando i filo-spartani prendono il potere a Tebe, nel 382 a.C, tutti gli oppositori vengono mandati in esilio. Epaminonda non fa paura, perché dopotutto è senza mezzi, e per la sua adesione alla filosofia pitagorica viene anche preso poco in considerazione. Deve scappare invece il suo grande amico Pelopida, che ad Atene raccoglie attorno a sé gli altri esuli tebani. Sono loro che, rientrati di nascosto in città nel 379 a.C, ammazzano tutti gli oligarchi filo-spartani. Epaminonda e Pelopida poi esortano i loro concittadini a ribellarsi, e così la guarnigione spartana è costretta a lasciare Tebe.

Epaminonda difende Pelopida durante l’assedio di Mantinea (385 a.C.):

Sparta poi, negli anni seguenti, riprova a riprendersi Tebe e la Beozia, ma non ci riesce, perché nel frattempo la regione ha ritrovato quell’unione, anche militare, che la rende un nemico temibile. Poi, nel 371 a.C, quando ormai tutte le poleis greche sono stanche di guerra, Epaminonda non si assoggetta alle pretese di Sparta: durante il congresso di pace che si tiene proprio nella città lacedemone il generale tebano rifiuta di firmare il trattato perché non gli viene concesso di firmare a nome di tutte la città della Beozia, ma per la sola Tebe.

E’ un insuccesso diplomatico, che si trasformerà in un successo militare: gli spartani invadono la Beozia e i due eserciti nemici si scontrano a Leu ttra. Epaminonda comanda i suoi circa seimila opliti, con Pelopida alla guida dei trecento guerrieri del battaglione sacro.

Gli Spartani, con i loro alleati, sono in diecimila, e settecento di loro sono Spartiati, l’elite dei guerrieri spartani. Nonostante la differenza numerica, la nuova tattica a falange obliqua introdotta da Epaminonda consente ai Tebani di sbaragliare il nemico

I Beoti contano trecento morti, mentre nelle file opposte è quasi una strage: quattrocento dei settecento spartiati cadono in battaglia, e tra gli altri alleati le vittime sono seicento.

Lo schema della falange obliqua tebana

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La battaglia di Leuttra cambia lo scenario politico della Grecia:

Finisce l’egemonia spartana e inizia quella tebana

Sparta perde molti dei suoi alleati e Tebe allarga la sua influenza. Epaminonda tenta più volta di distruggere Sparta, ma i risultati non sono quelli sperati, anche se si assicura la fedeltà perenne degli abitanti della Messenia, finalmente liberati dallo stato di schiavitù in cui erano stati ridotti dagli Spartani.

I tebani sono stanchi di guerra, e i nemici politici di Epaminonda gli intentano (anche se non è certo) un processo. Il generale ne esce invece rafforzato. Negli anni a venire invade altre tre volte il Peloponneso, con alleanze che vanno e vengono, mentre il suo grande amico Pelopida muore in battaglia in Tessaglia.

L’egemonia tebana fino al 362 a.C.

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Nel 362 a.C. Epaminonda parte per la sua ultima spedizione nel Peloponneso. Lo scopo principale, oltre al chiodo fisso di distruggere Sparta, è quello di sottomettere la città di Mantinea, che non accetta il predominio tebano.

A Mantinea le forze in campo sono esagerate: trentamila fanti e tremila cavalieri tebani, ventimila fanti e duemila cavalieri avversari, ma lo scontro si risolve praticamente alla pari: i Tebani sono vittoriosi, ma Epaminonda viene colpito a morte, e i suoi rinunciano a inseguire i nemici.

Diodoro afferma che uno dei compagni pianse la mancata discendenza del grande generale e politico Tebano: “Muori senza figli, Epaminonda”. Ma Epaminonda, tutt’altro che amareggiato, risponde: “No, per Zeus, al contrario mi lascio alle spalle due figlie, Leuttra e Mantinea, le mie vittorie”.

Durante l’agonia il generale chiede chi ha vinto, e felice per la vittoria dei beoti, secondo lo storico Cornelio Nepote, pronuncia le sue ultime parole:

Ho vissuto abbastanza a lungo perché io muoio non sconfitto

Era il 362 a.C.

Morte di Epaminonda, dipinto di Jan Gildemeester del 1726:

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Senza Epaminonda la Beozia perde l’egemonia sulla Grecia, ma nessuno più li assoggetta, fino a che non arriva Filippo II di Macedonia e poi suo figlio Alessandro Magno, che distrugge Tebe, rea di essersi ribellata, e rende schiavi tutti i suoi cittadini. Sono trascorsi solo 27 anni dalla morte del più geniale e valoroso dei comandanti greci.

Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.