Ex malo bonum. Non c’è male dal quale non nasca anche un bene. In questo periodo di forzata clausura domestica, al momento sine die, chi ha qualche grammo di lungimiranza e non si fa sopraffare dall’ansia, ha l’opportunità di riscoprire il piacere e l’utilità dell’otium, ossia dell’ozio inteso nel senso classico e alto del termine.
Per gli antichi greci era un periodo di stacco, di distacco, di astrazione dagli impegni verso la società civile, d’isolamento, volontario o forzato, durante il quale ci si poteva dedicare allo studio della letteratura o delle arti, alla filosofia, agli esercizi ginnici, a tutta una serie di attività non legate necessariamente al profitto, che consentivano all’individuo di ritrovare e di arricchire se stesso.
Ovviamente si trattava di un privilegio riservato solo agli aristoi, ai migliori, cioè alla classe dominante, per la quale il lavoro manuale era cosa da schiavi, una attività deplorevole e degradante, indegna di un vero uomo libero. Nella Grecia classica per definire quello che i romani avrebbero poi chiamato otium c’era la parola scòle, ossia “tempo libero”, inteso come un tempo da dedicare allo studio, alla contemplazione e all’introspezione.
Sotto, la scuola di Atene di Raffaello Sanzio:
I latini avrebbero poi coniato la parola otium, in contrapposizione a negotium, che era invece quel periodo della vita nel quale l’individuo si metteva a disposizione della collettività.
I filosofi e gli intellettuali greci e latini, da Socrate a Seneca, avevano capito che non essere schiacciati dalla necessità di dover lavorare per vivere e il potersi permettere una vita appartata, senza vincoli con il resto della società, erano condizioni imprescindibili del pensiero libero, quello che si esprime e partorisce idee lontano da ogni schema, dogma, condizionamento o corruzione.
Con il Cristianesimo l’ozio ha iniziato lentamente, inesorabilmente e mestamente, ad assumere una connotazione negativa, confondendosi con la pigrizia o peggio con l’accidia, uno dei peccati capitali, per i quali si va dritti all’Inferno.
In realtà la Chiesa, cadendo in una delle sue più macroscopiche contraddizioni, esaltava la vita ascetica e appartata di Santi e anacoreti e allo stesso tempo inculcava nelle masse l’idea che una vita di lavoro e travaglio fosse l’unica strada verso la virtù.
Il Protestantesimo, con la sua celebrazione della sacralità del lavoro, ha dato all’otium il colpo di grazia definitivo in buona parte del mondo occidentale. Il nobile ozio, vittima di più o meno artati equivoci, nella società moderna, che celebra ossessivamente il lavoro come unico strumento di elevazione e gratificazione sociale e personale, è diventato un vizio esecrabile.
Ci sono stati in epoche recenti intellettuali che hanno cercato di recuperarne l’immagine e il significato, come Paul Lafargue, il genero di Carlo Marx, il quale, spessissimo in disaccordo con l’illustre suocero, teorizzava nel pamphlet “Il diritto all’ozio”, datato 1880, che l’ozio, appunto, fosse “il padre delle arti e delle nobili virtù e il balsamo delle angosce umane”.
O come l’inglese Bertrand Russell, autore nel 1935 del saggio “Elogio dell’ozio”, nel quale in sintesi sostiene che le persone dedite all’ozio, avendo a disposizione molto più tempo e mente libera dei salariati, erano di fatto coloro che arricchivano la società partorendo idee e innovazioni per la scienza, la letteratura e la cultura in generale.
Ma veniamo all’attualità dei nostri giorni. L’Emergenza Coronavirus ci obbliga a restare chiusi in casa e in molti casi a non lavorare. Per dare senso a queste giornate, per scacciare quella sensazione di vacuità, di perdita di tempo, ci sono moltissime cose da fare. Ci si può, per esempio, dedicare a quella vera e propria pratica zen che è rimettere in ordine la casa, prodromo e viatico del mettere ordine all’interno della propria stessa vita.
Per i pragmatici questa vacanza forzata può essere l’occasione per fare un inventario, per imparare o migliorare una lingua straniera, per impratichirsi nell’uso di un nuovo software, per seguire online un corso di aggiornamento professionale o per trovare e sperimentare nuove forme di smart work. L’otium può essere anche profittevole, per il solo fatto che ci dà tempo per pensare. Perché è nelle parentesi, brevi o lunghe, di quiete e alienazione, nel dormiveglia del primo mattino o durante una passeggiata in montagna, non nel trambusto dei giorni feriali, che nascono le idee più folgoranti e visionarie.
L’otium dovrebbe diventare un diritto costituzionalmente garantito nella società del futuro. Un periodo di aspettativa che chiunque può prendersi per rimettere in asse se stesso e la propria vita, per riordinare le idee e il proprio lavoro. Un periodo dove si lavora meno e si riducono i consumi.
L’automazione e le intelligenze artificiali oggi consentirebbero di tagliare notevolmente l’orario di lavoro di tutti. Il problema è che se l’uomo non fosse oppresso dagli obblighi e dai bisogni, se non fosse costretto a sfiancarsi di lavoro per fare fronte a bollette, affitti, mutui, rate per cambiare l’auto, per andare in ferie, per pagare un diluvio di bisogni indotti e il più delle volte inutili e inesistenti, diventerebbe libero di pensare. Di riflettere sulla frenetica vita che sta facendo. E sarebbe probabilmente il tracollo di un sistema che dura imperterrito da secoli e secoli.