Eliogabalo: l’imperatore più trasgressivo di Roma

Di imperatori romani viziosi ed esagerati nella manifestazione dei loro eccessi ce ne sono stati parecchi, tanto che Edward Gibbon (1737–1794), nella sua mastodontica opera Declino e caduta dell’Impero romano, non imputa quel crollo alle invasioni barbariche o ad altre cause esterne, ma proprio alla perdita dei valori fondanti della Repubblica, portati avanti dai “cinque buoni imperatori” e poi dissoltisi negli eccessi scellerati di tiranni come Commodo, Caracalla e, soprattutto, Eliogabalo.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Busto di Elagabalo – Palazzo Nuovo – Musei Capitolini – Roma

Immagine di José Luiz Bernardes Ribeiro via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0

Eh già, Marco Aurelio Antonino Augusto, passato alla storia come Elagabalo o Eliogabalo (che fu un soprannome usato solo dopo il IV secolo), è il peggiore di tutti, la somma di tutte le depravazioni e le eccentricità dei suoi predecessori:

Sostiene Edward Gibbon: “Può sembrare probabile che i vizi e le follie di Eliogabalo siano stati adorni di fantasia e anneriti dal pregiudizio. Tuttavia, limitandoci alle scene pubbliche mostrate davanti al popolo romano, e attestate da storici gravi e contemporanei, la loro indicibile infamia supera quella di qualsiasi altra epoca o paese.”

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Gli “storici gravi e contemporanei” di cui parla Gibbon sono Dione Cassio ed Erodiano, ambedue contemporanei di Eliogabalo, con il primo, che è anche senatore, sicuramente di parte avversa. Per non parlare di quella Historia Augusta, redatta nel IV secolo, notoriamente non attendibile, alla quale comunque Gibbon dà qualche credito, almeno per quel che riguarda la figura di Eliogabalo.

Prima e dopo Gibbon, quell’imperatore-ragazzo finito male a soli 18 anni, è raccontato attraverso i più stereotipati luoghi comuni, che nascono dalla contrapposizione tra un Occidente vigoroso e virile e un Oriente languido e molle:

“Roma è stata umiliata sotto il lusso effemminato del dispotismo orientale”. (Gibbon)

L’ostentata effeminatezza di Eliogabalo disgustava, secondo le fonti antiche, il mondo romano. Perché se anche la bisessualità era costume quantomeno accettato a Roma (Giulio Cesare – generale invincibile – era, secondo Cicerone, “il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti”) nella sua forma di amore greco, praticato “per rafforzare la resistenza, per suscitare il disprezzo della morte, per vincere il dolce desiderio della vita, per umanizzare la crudeltà” (dice Valerio Massimo nel De amicitia vinculo), quell’imperatore dall’aspetto femmineo era ancora più trasgressivo di predecessori come Nerone, Tiberio, Commodo, non certo noti per la loro morigeratezza (d’altronde, anche il venerato imperatore Adriano aveva addirittura divinizzato, dopo la sua morte prematura, l’amato Antinoo).

Ritratto di Antinoo

Immagine di pubblico dominio

Ma come mai Eliogabalo, a soli 14 anni, era stato acclamato imperatore, lui che viveva in Siria ed era alto sacerdote di El-Gabal (dio della montagna), divinità solare poi adorata a Roma con il nome di Sol Invictus?

Tutto comincia grazie alle donne della sua famiglia, già avvezze ai giochi di potere della corte imperiale, a partire da Giulia Domna, siriana di nascita, che è sua prozia materna e soprattutto moglie di Settimio Severo e madre di Caracalla. L’augusta è potentissima e partecipa attivamente alle scelte di governo, anche se da dietro le quinte. Quando Caracalla muore assassinato Giulia finisce per suicidarsi (forse perché incapace di accettare la perdita del potere), ma non prima di aver tentato di spodestare il nuovo autoproclamato imperatore, Macrino, potente prefetto del pretorio forse non estraneo alla morte di Caracalla. Macrino, nonostante la morte dell’augusta, deve vedersela con altre donne ostinate della famiglia: Giulia Mesa, sorella di Giulia Domna e madre di Giulia Soemia e Giulia Mamea.

In questo intrico di Giulie, Eliogabalo ha come madre Soemia, come nonna Mesa, e come zia Mamea, che a sua volta ha un figlio, il futuro Alessandro Severo, figura scialba anche se non di poco conto in questa storia.

Testa colossale in marmo di Alessandro Severo, rimodellata da un precedente ritratto di Eliogabalo

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Macrino, consapevole del potere che ancora esercita a Roma quella famiglia dominata da donne, tutto sommato non prende provvedimenti drastici, e si limita a mandare tutti i suoi membri in esilio nella città d’origine, Emesa, in Siria, dove, per diritto ereditario Eliogabalo assume la carica di alto sacerdote di El-Gabal.

Intanto che il ragazzo si dedica alle pratiche religiose la nonna ordisce trame contro Macrino, non troppo benvisto per la sua austerità dai legionari romani che ancora rimpiangono Caracalla.

Giulia Mesa vuole mettere sul trono Eliogabalo, e per far questo diffonde una voce: il ragazzo (come pure Alessandro Severo) è in realtà figlio di Caracalla, che avrebbe accolto nel suo letto entrambe le cugine, Soemia e Mamea. Forte di questa parentela e soprattutto delle grandi possibilità economiche a disposizione, Mesa riesce a far acclamare imperatore il ragazzo dalla Legio III Gallica, che prende il nome di Marco Aurelio Antonio (lo stesso di Caracalla).

Macrino, che ha il sostegno del Senato, non ci sta, e tenta di riconquistare il favore dell’esercito, che però gli preferisce il giovane rampollo della dinastia dei Severi. Alla fine Macrino viene ucciso, così come il suo giovanissimo figlio, e al Senato non resta che riconoscere Eliogabalo come imperatore. E’ il 218 d.C.

Il giovane sovrano non ha fretta di arrivare a Roma, e si ferma in Bitinia, dove inizia a impensierire la nonna con la celebrazione dei riti dedicati a El-Gabal, così suggestivi in un contesto orientale, ma che sarebbero risultati esagerati agli austeri occhi dei Romani, non ancora pronti (nonostante i precedenti) a vedere il proprio imperatore danzare con movenze languide vestito di oro e porpora. Giulia Mesa tenta di convincere il nipote ad adottare atteggiamenti e vesti meno “lascive”, senza ottenere nulla. Eliogabalo anzi, spedisce a Roma un suo ritratto in veste di alto sacerdote, e ordina di collocarlo sopra l’altare della Vittoria, dove i senatori tradizionalmente prestano giuramento e onorano la dea con sacrifici, che in questo modo risultano offerti anche a lui.

Eliogabalo gran sacerdote del Sole – Simeon Solomon, 1866

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Eliogabalo, con tutto il suo seguito, entra a Roma verso la fine del 219 d.C., e da quel momento, per i successivi tre anni, la capitale dell’impero non è più la stessa città.

La magnificenza di Roma, con i suoi marmi, gli archi di trionfo, i templi imponenti, fa da sfondo alla bellezza aggraziata del ragazzo, che ha riccioli biondi splendenti come oro, occhi azzurri luminosi e magnetici, e nell’animo una smania di vita non mitigata dalla rigida disciplina occidentale.

Eliogabalo resta nella storia per le sue non poche trasgressioni sessuali. Nel giro di tre anni cambia cinque mogli (tra le quali c’è – orrore! – una vergine vestale), che sposa per assicurare una discendenza alla dinastia. Poi c’è la storia dei suoi due mariti, che non sarebbe cosa “assurda”, ma lo scandalo risiede nel fatto che lui, l’imperatore, nella coppia è la moglie.

Oltre a questi rapporti ufficiali, tutta la vita che conosciamo di Eliogabalo ruota intorno alla sua sessualità trasgressiva. Le fonti raccontano di orge con uomini e donne, di lui che si traveste e frequenta i bordelli della città pesantemente truccato, di quella sua ansia di andare oltre il suo genere: vorrebbe farsi castrare, ma poi rinuncia e offre metà del suo regno al medico che fosse riuscito a renderlo un ermafrodito.

Altrettanto leggendari sono i banchetti da lui offerti, dove si servono pietanze che mai nessuno si era sognato di mangiare: cervelli di fenicotteri, barbe di triglia, lingue di usignoli, mentre dal soffitto piovono petali di rose e viole in grande quantità (leggenda vuole che addirittura qualche ospite sia rimasto soffocato), e fanno la loro comparsa animali feroci (ammaestrati) che spaventano i convitati, con grande delizia di Eliogabalo.

Le rose di Eliogabalo – Lawrence Alma-Tadema, 1888, olio su tela

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Intanto, degli affari dell’impero si occupano la nonna e la mamma, autorizzate a presenziare alle riunioni del Senato:

Una cosa mai avvenuta prima e che sarà proibita dopo

Lui invece, ha in testa solo di operare un drastico cambiamento nella vita religiosa di Roma: El-Gabal deve diventare la divinità principale, addirittura forse l’unica divinità, la cui rappresentazione sacra era un meteorite nero di forma conica, portato nella capitale da Emesa.

Il trionfo di Eliogabalo, con il betilo dietro le spalle

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Tutte queste stravaganze irritano sia il Senato sia i pretoriani, che davvero non comprendono quel rapporto privilegiato con il “marito” Ierocle (che Eliogabalo vorrebbe far nominare cesare), né quel matrimonio sacrilego con una vestale, consumato per avere figli simili agli dei (che però non arriveranno), né tantomeno tutte quelle scandalose cerimonie orientaleggianti che gli valgono il soprannome di “Sardanapalo”.

Belve feroci spaventano gli ospiti di Eliogabalo

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Quando corre l’anno 221, la nonna Giulia Mesa annusa l’aria contraria, e prima che accada l’irreparabile, ovvero che le legioni acclamino un altro imperatore, decide di prendere provvedimenti. Ha a disposizione l’altro nipote, figlio di Giulia Soemia, anche lui accreditato come figlio di Caracalla, che all’epoca ha 13 anni.

Consiglia a Eliogabalo di adottarlo (con la scusa che così avrebbe avuto più tempo da dedicare ai riti religiosi), ma quando lui mangia la foglia e ci ripensa, anche tentando di assassinarlo, i pretoriani si ribellano e ammazzano prima lui e poi la madre. Fa una brutta fine il giovane imperatore, inseguito fin dentro una latrina dove aveva cercato scampo. I pretoriano lo decapitano, poi trascinano il suo esile corpo denudato per tutta la città, e infine lo gettano nel Tevere (o nelle fogne, secondo la versione di Erodiano). Stessa sorte subisce la madre. E’ l’11 marzo del 222.

Il povero Eliogabalo, più eccentrico ma certamente molto meno sanguinario di altri imperatori, muore così, a 18 anni. La storia della sua vita, le sue opere, tutto di lui deve essere cancellato, è condannato alla damnatio memoriae anche se in realtà fin da subito vengono messi in giro malevoli pettegolezzi sulle sue perversioni e stravaganze. Ci pensa la madre del nuovo imperatore a diffonderle, e si può dire che da allora non si siano più fermate.

Qualche isolata voce fuori dal coro inizia a levarsi a cavallo fra ‘800 e ‘900, talvolta oltrepassando il limite della storiografia, con il risultato di fornire l’immagine anacronistica di un Eliogabalo anarchico (come scrive Antonin Artaud ne Eliogabalo o l’anarchico incoronato) oppure quella di un principe precursore dei tempi, che non ha fatto in tempo a mostrare la portata benefica della sua visione religiosa, una “adorazione di vita e luce” che forse sarebbe stata meno mortificante dei “dogmi oscuri e impossibili” – ovvero il cristianesimo, secondo l’autore – arrivati poi ad affermarsi nell’impero (Lo sostiene John Stuart Hay, The Amazon Emperor Heliogabalus).

Chissà dove iniziano i fatti e finisce la leggenda, e viceversa. Oggi, a quasi duemila anni dalla sua breve vita, di Eliogabalo si può solo dire che rappresenta “un tragico enigma perso dietro secoli di pregiudizi” (Warwick Ball, archeologo).


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