Eleonora Duse: la diva che amò Gabriele D’Annunzio

Erano passati dodici anni dall’ultima volta che aveva calcato le scene e quella sera del 5 maggio del 1921 il teatro Balbo di Torino era in fermento. Sulla locandina c’era il titolo dell’opera, La signora del mare di Henrik Ibsen, ma, soprattutto, il suo nome: Eleonora Duse. Ci fu il silenzio, il sipario si alzò e lei comparve. A fine spettacolo nessuno ebbe più alcun dubbio:

La Divina era tornata a incantare

Sotto, il video sul canale di Vanilla:

Il Teatro Balbo di Torino – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Prima di parlare della sua biografia, però, è necessario approfondire la grandezza artistica di Eleonora Duse e spiegare perché ancor oggi la si considera una delle più grandi attrici teatrali mai esistite. A fine Ottocento le rappresentazioni erano ancorate a degli schemi obsoleti per come si stava evolvendo la società. Le colleghe della Duse, ad esempio, continuavano a recitare con una grande enfasi di pose, gesti e battute.

Eleonora Duse in Antonio e Cleopatra di Shakespeare, nel 1888 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Eleonora, invece, credeva che l’arte fosse un dono innato e, da autodidatta, sviluppò un suo stile che fece scuola. Anticipò i tempi e spinse il teatro verso nuovi orizzonti. Con lei non servivano grandi decorazioni; la scenografia era spoglia e ridotta all’essenziale. A livello di testi affrontò temi spinosi, di critica sociale, che mettevano in risalto il finto perbenismo del mondo borghese. Non si truccava mai e già solo nell’estetica personale ricercava la più assoluta naturalezza scenica. Amava l’uso dei lunghi silenzi e delle pause; lasciava che, anziché il copione, fosse l’istinto a guidarla. Se una battuta prevedeva un dialogo, non lo eseguiva subito, ma prima camminava avanti e indietro per il palco, si sedeva e meditava. Restituiva delle emozioni autentiche con metodi che nessuno usava.

Eleonora Duse – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Per lei un forte dolore voleva dire aggrapparsi alle tende, accasciarsi e piangere con disperazione. Alla stregua delle attrici del muto, era il suo corpo a recitare. La bocca la usava solo in un secondo momento, quando il pubblico già sapeva lo stato d’animo del suo personaggio.

Lo scrittore e drammaturgo Anton Cechov scisse:

Ho visto l’attrice italiana Duse in Cleopatra di Shakespeare. Non conosco l’italiano, ma ella ha recitato così bene che mi sembrava di comprendere ogni parola; che attrice meravigliosa!”.

E, infatti, la carriera di Eleonora non si limitò solo all’Italia, ma spaziò dall’Europa al Nuovo Continente e nessuna barriera linguistica poteva ostacolare il suo dialogo con il pubblico.

Eleonora Duse nel 1891 ne La locandiera di Carlo Goldoni – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Adesso che sappiamo perché è soprannominata la Divina, torniamo indietro nel tempo e scopriamo la sua vita turbolenta, fatta di gioie e dolori, successi e insuccessi, amori e passioni.

Eleonora Duse aveva il teatro nel sangue. Suo nonno paterno era Luigi Duse, un attore di commedie veneziane. Anche i suoi genitori, Vincenzo Duse e Angelica Cappelletto, recitavano e, mentre giravano il nord Italia con una compagnia itinerante, il 3 ottobre del 1858 ebbero Eleonora a Vigevano, in provincia di Pavia. Secondo alcuni biografi, però, la madre la partorì su un modesto vagone di terza classe.

Targa commemorativa posta sull’ex albergo Cannon d’Oro a Vigevano – Immagine di Capricornis crispus condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

La sua infanzia fu molto difficile. La compagnia era sempre in viaggio e la piccola Eleonora non riuscì mai a frequentare la scuola con costanza o stringere amicizie con i suoi coetanei. Esordì sul palco all’età di quattro anni, con I miserabili di Victor Hugo, e da allora continuò a interpretare i ruoli infantili delle rappresentazioni. La sua carriera adulta ebbe inizio quando aveva dodici anni. Sua madre si ammalò di tubercolosi e la sostituì con successo nella parte di Francesca da Rimini nell’omonima tragedia di Silvio Pellico.

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La ragazza aveva talento e si guadagnò la fiducia dei colleghi, che la coinvolsero in altri spettacoli. Nel settembre del 1875 Angelica morì e Vincenzo cambiò compagnia insieme alla figlia. Si unì prima a quella di Icinio Brunetti e Luigi Pezzana, poi, nel 1878, a quella di Enrico Belli Blanes e Francesco Ciotti. Con quest’ultima, Eleonora si guadagnò il plauso di pubblico e critica con memorabili interpretazioni shakespeariane o di personaggi della letteratura francese, come la Teresa Raquin di Zola. In quegli anni viaggiò molto anche nel sud Italia e a Napoli conobbe il giornalista Martino Cafiero, con cui intraprese una tormentata relazione sentimentale. A ventun anni la giovane rimase incinta, il compagno la lasciò e suo figlio non sopravvisse al parto.

Giovanni Emanuel – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nel frattempo, l’attore Giovanni Emanuel la notò e la segnalò alla collega Giacinta Pezzana, che la volle come sua seconda nella compagnia di Cesare Rossi di Torino.

Giacinta Pezzana interpreta Teresa Raquin a Napoli nel 1879 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Quando la Pezzana si traferì altrove, Eleonora assunse il ruolo di prima donna e, il 7 settembre del 1881, sposò il collega Tebaldo Marchetti, da cui ebbe una figlia, Enrichetta, il 7 gennaio del 1882. Quello stesso anno, a Torino, assistette alla performance di una delle più grandi attrici dell’epoca, Sarah Bernhardt, che aveva quattordici anni più di lei e un repertorio che comprendeva complesse eroine della letteratura francese. In quell’occasione, Eleonora intuì che doveva fare un salto di qualità e lavorare su testi nuovi.

Sarah Bernahrdt nel 1864 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Mentre lei, sul palcoscenico, mieteva successi e approvazioni, un giovane Gabriele D’Annunzio stava acquisendo la notorietà nei salotti romani. E proprio nella capitale ci fu il loro primo incontro. Il Vate, di cinque anni più giovane, la avvicinò dopo uno spettacolo e, senza mezzi termini, le propose una notte all’insegna dei piaceri carnali. La Duse lo rifiutò con garbo, ma nei suoi diari scrisse:

Il ragazzo appare molto attraente, con i capelli biondi e qualcosa di ardente nella persona”.

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Nel frattempo, il suo progetto sui drammi francesi andò avanti e, quando interpretò La signora delle Camelie, di Dumas figlio, la critica accolse con favore i suoi sforzi di rinnovare il teatro italiano. Sul finire del 1883, Giovanni Verga e Cesare Rossi si accordarono per la rappresentazione di Cavalleria Rusticana ed Eleonora ne fu molto entusiasta. Un’opera verista era una manna dal cielo per quelle che erano le sue ambizioni artistiche, e il confronto con il testo di Verga la spinse ad affinare la sua recitazione. La prima andò in scena il 14 gennaio del 1884 a Torino. Fu un grande successo e, fra le varie repliche, Eleonora si esibì anche a Milano il successivo 11 maggio. In quell’occasione conobbe il librettista e compositore Arrigo Boito.

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Arrigo Boito – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nel 1885, lasciò l’Italia e seguì la compagnia di Rossi in una tournée per il Sudamerica. Fra i teatri internazionali, il matrimonio con Marchetti andò in crisi e si separarono nel 1886, quando il marito restò a Buenos Aires e lei tornò in Italia con il suo nuovo compagno, il collega Flavio Andò. I due attori si misero in proprio e fondarono una loro compagnia, ma il legame non durò molto.

Flavio Andò – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nel febbraio del 1887 Eleonora e Boito si rincontrarono e iniziarono un’intensa relazione sentimentale e intellettuale, ma erano entrambi sposati e vissero il loro amore in gran segreto, per non destare scalpore. Per lei, Boito tradusse alcune opere straniere e scrisse parti femminili che ne esaltassero il talento. Nel 1888, Eleonora vide per la seconda volta D’Annunzio. Dopo uno spettacolo al teatro Valle di Roma, il poeta la intercettò mentre stava tornando in camerino e le gridò “Oh grande amatrice” per richiamarne l’attenzione, ma la Divina lo ignorò.

D’Annunzio nel 1890 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

A partire dal 1889 tornò a calcare i palchi internazionali. Il 17 dicembre partì per l’Egitto, si spostò in Russia nel 1891 e, infine, giunse in Austria, dove un impresario viennese le propose una tournée negli Stati Uniti. Nel frattempo, nel 1892, D’Annunzio tornò alla carica e le spedì una copia delle sue Elegie romane con la dedica “Alla divina Eleonora”. Fra una rappresentazione e l’altra in giro per il Nordamerica, l’attrice si incuriosì a quel giovane di bell’aspetto che si ostinava a corteggiarla e ne lesse le opere.

Come si suol dire, Galeotto fu il libro…

Subì il fascino del poeta e nacque una fittissima corrispondenza epistolare. Al suo ritorno in Italia, lasciò Boito e incontrò D’Annunzio a Venezia. Così, nel 1894, ebbe inizio la loro tormentata storia d’amore.

Eleonora Duse a New York nel 1896 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

In una delle sue tante lettere, l’innamoratissima Eleonora scrisse: “Vedo il sole e ringrazio tutte le buone forze della Terra per avervi incontrato”. E ancora: “Ieri mattina ci siamo detti buongiorno così bene, vi ricordate? Io, forse, saprò dirvi buongiorno ogni giorno”.

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All’epoca, D’Annunzio era un poeta e un romanziere molto affermato, ma non si era ancora cimentato nella stesura di opere teatrali. Dal canto suo, Eleonora voleva rinnovare il proprio repertorio e ambiva a personaggi sempre più complessi. Insieme inaugurarono una nuova stagione del teatro italiano: un teatro poetico che univa, in un connubio perfetto, il talento recitativo di lei e la penna di lui. Grazie a rappresentazioni come Sogno di un mattino di primavera, Francesca da Rimini e La Gioconda, Eleonora recitò testi inediti che D’Annunzio le confezionava su misura, e il sodalizio di questa chiacchieratissima coppia di artisti riscosse ampi successi.

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Eleonora Duse nel 1896 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

In un primo momento gli impresari furono scettici sulle rappresentazioni d’annunziane e la Duse s’indebitò a più riprese pur di finanziare di tasca propria ogni spettacolo. Come la biografia di D’Annunzio insegna, però, lungi dall’apprezzar le premure, il Vate era un narcisista e non sempre la trattava con la dovuta galanteria. Tuttavia, Eleonora chiudeva spesso un occhio o due, anche sulle scappatelle piccanti del poeta, ma nel 1896 subì un gravissimo affronto professionale, quando il compagno le preferì la rivale Sarah Bernhardt nella prima de La città morta.

Villa La Capponcina dove visse Gabriele D’Annunzio – Immagine di Sailko condivisa con licenza CC BY 3.0 via Wikipedia

Fra alti e bassi la relazione andò avanti e, nel 1898, il poeta si trasferì nella Capponcina, una villa fiorentina a pochi passi dalla Porziuncola, dove abitava Eleonora. Eppure, nemmeno la vicinanza con l’amante riuscì a salvare il loro rapporto, che si incrinò a partire dal 1900, con l’uscita del romanzo Il Fuoco. Un amico dell’attrice, che lo lesse in anteprima, la pregò in tutti i modi di evitare che quella storia giungesse al grande pubblico.

Villa La Porziuncola dove visse Eleonora Duse – Immagine di Sailko condivisa con licenza CC BY 3.0 via Wikipedia

La sua risposta fu:

Conosco il romanzo, ho autorizzato la stampa perché la mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta, quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana: e poi, ho quarant’anni e amo”.

Fra le pagine de Il Fuoco, D’Annunzio descrisse in modo poco lusinghiero la sua relazione con Eleonora e arrivò, perfino, a sottolinearne i difetti fisici. Parliamo di una delle prima coppie da gossip e non è poi così difficile immaginare il clamore della notizia di una storia che metteva a nudo la più grande attrice teatrale dell’epoca.

D’Annunzio nel suo studio alla Capponcina – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La goccia che fece traboccare il vaso, però, fu un’altra: la tragedia La figlia di Iorio. D’Annunzio la scrisse nel 1903, ma Eleonora si rifiutò di produrla. Era stanca, depressa e indebitata. Il Vate non la prese bene e cercò fondi altrove.

Litografia de La figlia di Iorio – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’anno successivo tutto era pronto per la prima rappresentazione e, nonostante le incomprensioni, la parte da protagonista spettava ancora alla Duse. All’approssimarsi dell’esordio, la Divina si ammalò e il compagno non volle attenderne la guarigione. Nel letto di una stanza d’albergo di Genova, Eleonora seppe che D’Annunzio aveva scritturato la rivale Irma Gramatica e non si era preso nemmeno la briga di avvisarla.

Irma Gramatica – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’evento fu oltremodo oltraggioso. Mise da parte l’amore, lasciò prevalere l’orgoglio e gli scrisse quanto segue.

Hai trovato il modo di andare a Roma per la quarta volta e non un’ora per chi ha rischiato la morte qui, sola. Va’. Va’. Dio ti salvi da te stesso, dal trovarti solo e infranto in una stanza, così come son io, nello stesso terrore. […] Mai più l’anima mia toccherà la tua. Mai più l’attimo che brilla dagli occhi negli occhi ed è vita. Mai più la ritroverò in me per la tua anima. Siamo due, ma io morta”.

D’Annunzio reagì e le rispose:

Proprio tu mi credi colpevole? Tu che adori la natura e le sue leggi? Il bisogno imperioso della vita violenta, della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell’allegrezza, mi hanno tratto lontano. E tu, che, talvolta, ti sei commossa fino alle lacrime dinanzi a un mio movimento istintivo, come ti commuovi dinanzi alla fame di un animale o dinanzi allo sforzo d’una pianta per superare un muro triste, tu puoi farmi onta di questo bisogno?”.

Gabriele D’Annunzio – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

E con quest’ultima lettera di Eleonora, dopo nove anni, la loro relazione finì.

Lascia la spada e la penna quando mi pensi. Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso. Non parlarmi dell’impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete di vita gioiosa. Son sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle. Non ti posso seguire interamente, né interamente comprendere. […] Quale amore potrai tu trovare, degno e profondo, che vive solo di gaudio. Ti auguro oblio nell’arte. Non so altro. Parto da qui domani. A questa mia non c’è risposta”.

Eleonora Duse – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Da quel momento la Duse si concentrò sulla sua carriera e portò in scena i drammi del norvegese Henrik Ibsen. Alla soglia dei cinquant’anni continuò a mietere successi, ma dentro di lei qualcosa era cambiato. Era stanca, malata e demotivata. Aveva bisogno di fermarsi, di ritrovare sé stessa, e, il 25 gennaio del 1909, annunciò il suo ritiro dopo la rappresentazione berlinese de La signora del mare. Lontana dal sipario e con una salute sempre più cagionevole, trasferì i suoi interessi altrove e, nel 1914, aprì a Roma la Libreria della Attrici, una sorta di rifugio dove le sue colleghe potevano incontrarsi e leggere. La Libreria ebbe un discreto successo, ma dovette chiuderla dopo appena un anno in seguito allo scoppio della Grande Guerra.

Eleonora Duse – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Si appassionò al cinema muto e, almeno a parole, alcuni grandi registi dell’epoca, come Giovanni Pastrone o lo statunitense Griffith, la vollero nelle loro pellicole. Nei fatti, nessuna di queste collaborazioni andò in porto. L’11 ottobre del 1916, si ferì al volto in un incidente d’auto e, anche se non si trattava di nulla di grave, si rifiutò di comparire davanti a una cinepresa in quelle condizioni. L’unica eccezione fu Cenere, tratto da un soggetto della sua amica Grazia Deledda. Il produttore Arturo Ambrosio la persuase a partecipare, ma Eleonora si riservò l’ultima parola sulla sceneggiatura e impose al regista di riprenderla sempre in penombra e mai in primo piano. Per lei fu un’esperienza traumatica. Non si trovò a suo agio senza un palcoscenico o un pubblico e quella fu la sua prima e ultima prova cinematografica.

Eleonora Duse in Cenere – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Negli anni successivi viaggiò molto, fece visita ai soldati feriti e impegnò gran parte dei suoi beni per sostenere economicamente le famiglie dei caduti. A partire dal 1920 si trasferì in una villa di Asolo, nella provincia di Treviso, e si chiuse nella malinconia. Dopo la guerra, però, le sue difficoltà finanziarie la convinsero a tornare a teatro il 5 maggio del 1921.

Eleonora Duse nel 1923 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Così ebbe inizio l’ultimo capitolo della sua vita, il suo viale del tramonto. Quella sera D’Annunzio le inviò un mazzo di fiori con un bigliettino e l’anno successivo si incontrarono a Milano. Ne era passata di acqua sotto i ponti e il Vate si era distinto per tantissime imprese. In particolare, durante il conflitto, aveva portato sempre con sé due smeraldi incastonati in un anello che la Duse gli aveva regalato anni addietro. Non si era dimenticato di lei e, nel tentativo di rimediare agli errori giovanili, le propose una riconciliazione. Eleonora, però, lo rifiutò e, in una successiva lettera, gli scrisse:

Io sento tutte le forze che straripano in te, ma non so andare a nuoto con te per l’acqua fonda. Sei tu il più forte. Io sento l’incanto dell’arte che tu sai donare a te stesso. Goditi il dono”.

Purtroppo, della corrispondenza di questi due grandi artisti ci è pervenuta per intero solo la parte della Duse. Quella di D’Annunzio è andata quasi del tutto perduta, perciò non sappiamo quale fu la risposta.

Gabriele D’Annunzio – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Era il 1922; quell’ultimo incontro pose la parola fine al romanzo della loro intensa storia d’amore.

Nei suoi diari l’attrice scrisse:

Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato

In seguito, recitò in giro per l’Europa e il 29 ottobre del 1923 intraprese una tournée di cinque settimane negli Stati Uniti. Si ammalò di polmonite e il 1° aprile del 1924 giunse a Pittsburgh, in Pennsylvania. Si esibì per l’ultima volta il 5 aprile, con tosse e febbre alta, dopodiché le sue condizioni si aggravarono e morì il 21 aprile, all’età di 65 anni.

Copertina del Time magazine del 30 luglio 1923 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Quando seppe della sua morte, D’Annunzio scrisse:

È morta quella che non meritai. Nessuna donna mi ha mai amato come Eleonora. Né prima né dopo. Questa è la verità, lacerata dal rimorso e addolcita dal rimpianto”.

Il trasferimento della salma di Eleonora Duse – Immagine del Bundesarchiv condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 de via Wikipedia

La famiglia dell’attrice non aveva abbastanza soldi per pagare il trasferimento della salma e il Vate chiese a Mussolini di occuparsene. Il Duce acconsentì ed Eleonora tornò in Italia, dove fu sepolta nel cimitero di Asolo. Negli anni successivi, il poeta visse nel culto della sua defunta amante e nel Vittoriale si circondò di oggetti che gliela ricordassero, come, ad esempio, un suo busto, ancora oggi in esposizione, che era solito coprire con un velo.

La tomba di Eleonora Duse nel cimitero di Asolo – Immagine di PhaoreX condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

Nonostante i litigi, le incomprensioni e i tradimenti, lei fu il suo grande amore, la sua musa. In un certo senso, solo quand’era troppo tardi si era reso conto degli errori che aveva commesso, ma non è difficile capire perché, in un modo o nell’altro, la grande Eleonora l’aveva stregato. Non era una delle donne più affascinanti di quei tempi; la sua era una bellezza diversa, più naturale che ricercata. Eppure, da ciò che scrisse dopo il loro ultimo incontro, si evince quello che era il suo tratto più rappresentativo. Gli aveva perdonato tutto, anche i più gravi affronti, semplicemente perché aveva amato, perché era una donna passionale. Sul palco, come nella sfera privata, a Eleonora Duse importava solo una cosa: che ogni emozione fosse autentica.

 

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