Elementi di Geometria di Euclide in un’antichissima edizione Pop-Up

“Elementi di Geometria”, scritto intorno al 300 a.C. dal matematico greco Euclide, che insegnava ad Alessandria d’Egitto, è probabilmente il testo (composto da tredici libri) usato più a lungo nello studio di matematica e geometria, da quando fu scritto fino al XX secolo.

Elementi di geometria, del quale non esiste il manoscritto originale ma solo delle copie più volte ricopiate nel corso dei secoli, fu uno dei primi testi di matematica ad essere pubblicati dopo l’invenzione della stampa. La prima edizione degli Elementi risale al maggio 1482, e di deve a Erhardus Ratdolt, che lo stampa a Venezia.

Preclarissimus liber elementorum Euclidis perspicacissimi in artem geometrie incipit qua [m] foelicissime. [Venezia]: Erhardus Ratdolt. [25 maggio 1482]

L’importanza di questo testo si comprende meglio con un semplice dato:

Il numero di copie stampate e pubblicate è secondo solo alla Bibbia

Nel 1570 Sir Henry Billingsley, un mercante britannico che aveva frequentato le università di Cambridge e Oxford (senza laurearsi) traduce in inglese dal greco gli Elementi di Geometria, un’opera grandiosa che comprende i 13 libri ufficiali, più altri tre attributi a sempre a Euclide, aggiungendo note e commenti di autori antichi e moderni.

Frontespizio della prima edizione inglese degli Elementi di Geometria – 1570


In realtà non fa tutto da solo, si avvale almeno di un paio di collaboratori e fino a un secolo fa c’era ancora qualche polemica su chi avesse tradotto cosa e da quale lingua (forse dal latino e non dal greco).

Comunque sia, i libri di Billingsley hanno una caratteristica straordinaria, anche se non unica, per l’epoca: si avvalgono di figure pop-up per illustrare forme geometriche e far comprendere teoremi matematici. Un lavoro certosino: le figure di carta venivano incollate a mano in ogni copia del libro.


Il lavoro di Billingsley risulta chiaro ed accurato, eppure contiene un macroscopico errore: attribuisce Elementi di Geometria a Euclide di Megara e non al vero autore, Euclide di Alessandria.

John Dee, uno dei collaboratori di Billingsley, è un personaggio stravagante e poliedrico, forse un mago, che scrive un libro come testo di prefazione agli Elementi, “Mathematicall Praeface and Groundplat”, una straordinaria storia della matematica e della sua applicazione pratica.

Quel suo libro diventa tanto famoso quanto gli Elementi, e già da allora qualcuno insinua che sia stato lui a tradurre l’opera dal greco. Nel XIX secolo anche il matematico britannico Augustus De Morgan attribuisce la traduzione a John Dee, mentre l’antiquario Anthony Wood suggerisce che quell’immane lavoro sia stato compiuto dal sacerdote inglese David Whytehead, che aveva vissuto i suoi ultimi anni proprio a casa di Billingsley.

E’ solo alla fine del XIX secolo, quando la copia degli Elementi appartenuta a Billingsley arriva all’università di Princeton, che tutte quelle controversie si placano: le note e i commenti a margine non lasciano dubbi su chi sia stato il principale artefice della traduzione. E’ sicuramente Sir Henry Billingsley, appassionato matematico e precursore delle edizioni pop-up.


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