E se vi dicessi che le prime banconote giapponesi sono state disegnate da un italiano, ci credereste?
Se la risposta è no, invece dovreste credermi, perché quella che vi sto per raccontare è la storia di Edoardo Chiossone, l’uomo che disegnò la prima banconota giapponese.
Nacque nel 1833 ad Arenzano in provincia di Genova, inseguendo le orme del padre stampatore, studiò incisione e pittura all’Accademia di belle arti di Genova. Finiti gli studi, divenne professore di disegno e incisione nel 1855.
Nel 1867 si recò a Firenze dove lavorò presso la banca nazionale del regno d’Italia. Dopo questa esperienza, si trasferì all’estero, ovvero in Inghilterra e poi in Germania, (alcune fonti dicono al contrario prima in Germania e poi in Inghilterra) dove lavorò presso la Donfort-Naumann di Francoforte sul Meno. Qui ebbe l’occasione di affinare le tecniche di incisione e stampa di banconote. La vita di Edoardo Chiossone sembrerebbe già straordinaria così, ma siamo solo all’inizio.
Si trasferì a Tokyo nel 1875 e ci si recò in veste di “oyatoi gaikokujin”, diventando direttore dell’officina carte e valori del ministero delle finanze giapponese, ovvero l’ufficio che si occupava delle stampe per il ministero delle finanze.
Ma che cosa, o meglio, chi furono gli “oyatoi gaikokujin”?
Per capirlo dobbiamo prima sapere che cosa fu il “sakoku” giapponese: innanzi tutto il significato della parola sarebbe traducibile con “ paese in catene”, infatti abbiamo due kanji che la compongono, quello di “sa” “鎖” che vuol dire “catene”, e “koku” “国” che vuol dire paese o nazione.
Il “sakoku” dunque fu la decisione presa durante il periodo Edo (1603-1868) da parte dello shogunato Togugawa di chiudere il Giappone in modo ermetico all’estero. Questa decisione fu presa per svariate cause, ma quella principale fu la paura che i cristiani, che arrivavano dalla Spagna e dal Portogallo, potessero continuare in modo massiccio la conversione dei giapponesi al cristianesimo.
Questa situazione di paese isolato si protrasse dal 1641 al 1868, data in cui cadde il governo Tokugawa, e in cui il Giappone venne riaperto al mondo sotto minaccia statunitense.
Dobbiamo quindi tenere a mente che il Giappone per circa 230 anni non ricevette, se non in piccolissima parte, alcuna informazione su quello che stava succedendo nel resto del mondo, specialmente in Europa, che era il fulcro del progresso economico e sociale. In Giappone dunque mancavano molte delle strutture e organizzazione statali che in Europa invece erano ormai divenute la normalità.
Per cercare di non rimanere indietro, il nuovo governo giapponese, capitanato dalla figura riabilitata dell’imperatore “Meiji” vista come creatura divina e con potere assoluto, si rese conto che bisognava cominciare a studiare e assorbire dagli stranieri tutto quello che era successo in Europa fino a quel momento. Per questo motivo furono ingaggiati personaggi come artisti, studiosi, militari, agronomi occidentali, e invitati a soggiornare in Giappone. É qui dunque che nacque la figura dello “oyatoi gaikokujin”, la parola è composta da “oyatoi” che deriva dal verbo “yatou” in italiano “assumere”, e “gaikokujin” ovvero “straniero”, quindi “stranieri assunti”.
In particolare l’Inghilterra si impegnò molto in quegli anni ad aiutare il Giappone e tra il 1868 e 1900 inviò moltisissimi britannici in Giappone come oyatoi gaikokujin.
Ecco che per esempio nell’industria tessile giapponese vedevamo la mano dei francesi, nel sistema dei fari trovavamo ingeneri inglesi, come anche nella costruzione delle linee ferroviarie. Gli statunitensi invece furono quelli che rivelarono agli studiosi giapponesi le teorie del darwinismo. Anche gli italiani ebbero un ruolo in tutto questo, ma in misura minore rispetto al resto del mondo, questo perché in Italia ci si stava ancora riprendendo da una situazione di guerra. Quando a Tokyo fu aperta la prima scuola di belle arti, furono ingaggiati dei professori italiani ad insegnarvi: il professore di architettura Giovanni Vincenzo Cappelletti, il professore di pittura e incisione Antonio Fontanesi, ed infine il professore di scultura Vincenzo Ragusa.
Ora che sappiamo un po’ il contesto dell’epoca, torniamo al nostro Edoardo Chiossone. Eravamo rimasti a quando lui venne assunto appunto come oyatoi gaikokujin, e divenne il direttore dell’officina carte e valori del ministero delle finanze giapponese. Fu proprio lui quindi a disegnare nel 1881 la prima banconota da 1 yen, in cui venne raffigurata l’imperatrice leggendaria Jingū. Purtroppo però la banconota non ebbe molto successo perché, a detta dei giapponesi, il viso dell’imperatrice sarebbe stato troppo “occidentale” quindi venne sostituita da un’altra banconota da 1 yen, disegnata sempre da Chiossone, con raffigurato il dio della ricchezza Daikoku nel 1885. Questa rimase la banconota ufficiale per circa 130 anni.

Della vita di Chiossone durante il lavoro da stampatore non sappiamo moltissimo, sappiamo che insegnò ai suoi sottoposti giapponesi le tecniche di stampa, che prendeva circa 450 yen al mese (somma invidiabile per l’epoca), e che gli era stata data una casa in cui vivere compresa di servitù. Infatti dopo il sakoku, gli stranieri che venivano chiamati in Giappone, godevano di ricchi stipendi e ampi privilegi, come per esempio quello per cui uno straniero non poteva essere licenziato tanto facilmente, e se ne doveva prima discutere con il rappresentante diplomatico del paese di origine.

L’attività di Chiossone non si limitò alla stampa di banconote, a lui si devono anche i primi francobolli giapponesi stampati, e ancora le stampe di titoli di stato e bolli di generi di monopolio.
Chiossone lavorò anche dal 1880 al 1883 ad un rivista composta di 14 volumi intitolata “Perdurante fragranza della gloria nazionale” che venne stampata dall’ Insatsu Kyoko.
Dato l’eccellente lavoro fatto con la banconote ed i francobolli, possiamo dedurre che Edoardo Chiossone fu un abile disegnatore, infatti si dedicò anche alla realizzazione di alcuni dipinti, in cui venivano rappresentati statisti, cortigiani, diplomatici, ministri, militari di alto rango e persino l’imperatrice Shōken. Inoltre realizzò il primo ritratto in assoluto dell’imperatore-divinità “Meiji”: come ormai sappiamo il Giappone era stato aperto al mondo solo di recente, nel 1868, e serviva un’immagine dell’imperatore da mostrare al mondo. Ma siccome questi odiava le fotografie, venne chiesto proprio a Chiossone di fargli un ritratto. Di certo però non si poteva chiedere a un “Dio” di stare fermo immobile per chissà quante ore, al solo fine di un ritratto, quindi il nostro connazionale dovette realizzare il dipinto potendolo osservare solo da dietro una porta scorrevole. Provò a fare una bozza a matita e la mostrò al ministro che gli aveva commissionato l’opera. Entusiasta del ritratto, si dice che il ministro lo mostrò all’imperatore, ma che lui non fece nessun commento a riguardo. Abbiamo però la conferma che in realtà a lui piacque quel che disegnò Chiossone, perché quando arrivò dall’Europa la richiesta di una fotografia del capo di stato giapponese, l’imperatore stesso autorizzò ad inviare il ritratto fatto dal nostro Edoardo.

Ovviamente non fu inviato il ritratto originale, ma una foto del ritratto, che fece il giro del mondo, e anche del Giappone, andando a finire nelle scuole e negli uffici e venne chiamata dai giapponesi “goshin ei” che sarebbe traducibile con “vera immagine”.
Edoardo Chiossone si ritirò dall’attività pubblica nel 1891 ma continuò a vivere in Giappone e morì a Tokyo, a Kōjimachi, nel 1898, venne seppellito nel Cimitero di Aoyama nella sezione dedicata agli stranieri.
Quando era ancora in vita, egli espresse il desiderio che tutte le opere di sua proprietà venissero donate al comune di Genova. Qui infatti nel 1905 nacque il Museo D’arte Orientale Edoardo Chiossone, una delle collezioni d’arte giapponese più importanti del mondo. Al suo interno possiamo ammirare gran parte degli oggetti collezionati da Edoardo, come maschere del teatro nō e sculture buddiste.