Quella di Edgardo Mortara è una vicenda che all’apparenza può apparire assurda, ma che segue una serie di logiche tutt’altro che impossibili. I fatti si svolsero durante il Risorgimento, pochi anni prima dell’unificazione d’Italia, quando la famiglia Mortara divenne vittima di un orribile crimine. Di origine israelita e di confessione religiosa ebraica, Salomone Momolo Mortara e la moglie Marianna Padovani crescevano i loro otto figli nella Bologna dell’800, ma la loro serenità venne presto distrutta.
Nella notte del 24 giugno del 1858, i gendarmi dell’Inquisizione irruppero in casa Mortara, ordinando ai coniugi di svegliare i bambini, tra cui Edgardo, sesto degli otto figli, il quale ebbe appena il tempo di vestirsi prima di essere sequestrato per ordine del Papa. A nulla servirono gli implori in ginocchio dei due genitori, che assistettero impotenti al rapimento del bambino nel cuore della notte.

Edgardo, di soli 6 anni, fu portato a Roma al cospetto di Papa Pio IX che, secondo la testimonianza dello stesso Edgardo, si presentò in qualità di “padre adottivo” per lui. A Roma venne allevato dalla chiesa e visse in “San Pietro in Vincoli” per anni, ma alla famiglia fu proibito di fargli visita per diverso tempo. Edgardo sembrava ormai perduto, rinchiuso dietro le porte della chiesa pontificia e allontanato dagli affetti dei propri cari. Per conoscere le motivazioni di quello che oggi definiremmo rapimento, dobbiamo viaggiare a ritroso nella vita del piccolo Mortara, tornando all’agosto del 1851, quando una balia di nome Anna Morisi andò a vivere in casa per prendersi cura dei bambini. Edgardo aveva 17 mesi di vita quando si ammalò di Neurite, una malattia che lo “ridusse all’estremo”, in una condizione talmente grave da portare la balia Anna a compiere un gesto disperato:
Battezzare il bambino
La Morisi era una giovane, di circa vent’anni, cristiana cattolica, una donna devota al punto tale d’aver paura che il bambino, molto vicino alla morte, finisse nel Limbo, girone dell’inferno in cui finiscono coloro i quali non hanno ricevuto il battesimo. Ella, comunque, ravvedendosi della condizione del piccolo, che col passare dei giorni migliorò fino a guarire completamente, tenne segreto l’episodio per anni. All’epoca dei fatti il suddetto sacramento, seppur attuato da una domestica e, perciò, non da un funzionario ecclesiastico, era comunque considerato dalla chiesa come un “contratto vincolante”:
Edgardo era divenuto a tutti gli effetti cattolico, nonostante la confessione di famiglia fosse l’ebraismo

Anna non mantenne il segreto solo per il timore dell’ira dei coniugi Mortara, ma principalmente per ciò che la legge dello Stato Pontificio prevedeva in questi casi. Innanzitutto, i cristiani non potevano lavorare per gli ebrei e neppure agli ebrei era concesso prendere servizio presso i cristiani, perciò la Morisi lavorava ‘illegalmente’, secondo i parametri della chiesa; ma cosa più importante, per chiunque fosse di un’altra fede religiosa, compresa quella ebraica, era vietato crescere “in qualunque caso” dei cristiani.
Il “peccato” commesso dalla domestica, venne a galla verso la fine del 1857, anno in cui il piccolo Aristide, figlio minore dei Mortara, si ammalò gravemente. Un’amica della Morisi le suggerì di battezzarlo, prima che questi spirasse, ma la donna, ricordando il battesimo fatto su Edgardo, che però era sopravvissuto, non volendo ripetere l’errore, si rifiutò. Fu allora che, giustificandosi per la sua reticenza, il segreto venne a galla, e non ci volle molto tempo affinché arrivasse alle orecchie di Padre Pier Feletti, Inquisitore di Bologna, il quale dispose, con il benestare di Papa Pio IX, il rapimento di Edgardo Mortara.
Papa Pio IX:
Anni dopo, nel 1860, Feletti fu arrestato dalle guardie delle Regie province dell’Emilia, un governo provvisorio in Emilia, e in quell’occasione confessò che l’ordine fosse partito da Roma per proteggere il bambino, poiché esisteva il timore che i Mortara, venendo a sapere del battesimo, uccidessero il piccolo.
Grazie alla testimonianza, Feletti venne assolto. La chiesa si dichiarò legittimata a compiere il prelievo del bambino, prendendo in causa uno dei precetti del Corpus iuris canonici, risalente al IV Concilio di Toledo del 633, che legiferava il dovere della chiesa di sottrarre alle famiglie non cristiane i bambini, così detti, “oblati” cioè offerti alla chiesa a seguito del sacramento, benché invitis parentibus, ovvero contro la volontà dei genitori.
Questa fu una regola molto discussa nei secoli dai Papi che si susseguirono, chi ne fu a favore, chi contrario, fino alla bolla Apostolicum Pascendi emanata da Clemente XIII nel 1765, in cui il Papa vietò a chiunque non fosse un neofita di eseguire consacrazioni, minacciando gravi ripercussioni per chi si fosse macchiato del crimine e asserendo che quel tipo di battesimo fosse nullo, perciò non riconosciuto dalla chiesa in nessun caso.
Ma, un centinaio di anni dopo, Leone XII ripristinò l’editto, dando così il via ad una catena di rapimenti di bambini, perlopiù ebrei, battezzati in seno alla chiesa di Roma e strappati alle loro famiglie.

Non vi era neppure bisogno di una fonte certa, di prove inconfutabili: chiunque avrebbe potuto affermare che il battesimo fosse avvenuto, anche per mano di un estraneo irraggiungibile, che quindi non poteva testimoniare, e ciò sarebbe bastato a scatenare la tragedia. I poveri Mortara diedero fondo ai propri risparmi per riavere indietro il figlio, recandosi a Roma e appellandosi alla pietà della chiesa.
“Otto giorni dopo..” dichiarò Edgardo “..si presentarono i miei genitori all’Istituto dei Neofiti per iniziare le pratiche onde riavermi in famiglia.”
Ben poco riuscirono a fare per riprenderlo con sé, l’unica concessione che ottennero fu quella di fargli visita, alla presenza di un supervisore, ma solo dopo diverse settimane dal suo rapimento. Nell’ottobre del 1858 furono permessi gli incontri, i coniugi Mortara lasciarono la propria vita a Bologna e per un mese intero si trasferirono a Roma, cogliendo tutte le opportunità per rivedere il piccolo. Le visite non duravano molto, non si protraevano per più di un’ora, e spesso e volentieri venivano negate o rimandate, adducendo le scuse più disparate.
La Padovani, madre del bambino, ricordò che durante una delle brevi visite Edgardo riuscì a confessarle “Sai, la sera recito ancora lo Shemà Israel” versetto di Deuteronomio, dal pentateuco ebraico. La commozione della donna esplose, rassicurata che il figlio non fosse del tutto perduto, che vi fosse ancora una speranza.
Eppure, i mesi passarono, i Mortara giunsero quasi sul lastrico per sostenere le spese, ma fortunatamente vennero poi aiutati dalla comunità ebraica, che si mobilitò non solo dal punto di vista economico, ma anche per quanto riguardava il versante politico. Personaggi di spicco della politica italiana ed estera, importanti testate giornalistiche internazionali, comunità religiose in giro per il mondo si interessarono alla vicenda, protestando vivamente e richiedendo la restituzione di Edgardo.
Le proteste oltrepassarono il vecchio continente, destando l’attenzione, per esempio, del Times che manifestò il suo dissenso attraverso numerosi articoli di giornale. Il conte di Cavour, Camillo Benso, già espressamente antipapista, colse l’occasione per rendere la storia uno dei suoi cavalli di battaglia. La notizia raggiunse le tavole dei sovrani europei, come l’imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe, e persino l’imperatore di Francia, Napoleone III, che si mossero in numerosi appelli. Nulla pareva smuovere la chiesa romana, il cui Papa si espresse con un duro:
Non possumus, cioè non possiamo

Edgardo crebbe sotto l’ala di Pio IX, da cui prese anche il nome. Invero, la notte stessa del rapimento, il bambino venne battezzato nuovamente, prendendo il nome di Pio. Le ragioni per cui si rese necessario un ulteriore battesimo sono tutt’ora sconosciute, furono pretesto di polemiche, ma di cui la Chiesa non diede riscontro, limitandosi al silenzio. Le controversie non si basarono solo sul rinnovato sacramento, che di per sé non aveva motivi per compiersi, ma anche sulla testimonianza della Morisi che, analfabeta, fu facile vittima di manipolazioni dalla controparte clericale. Tant’è vero che non sapeva neppure con esattezza quanti anni avesse, diceva di averne 15, quando in realtà era già oltre i vent’anni. Non era capace di leggere o scrivere, ma solo di firmare, e firmò numerose dichiarazioni scritte dal clero di cui non conosceva il
contenuto. Rimangono pertanto incerte le circostanze dell’evento.
I Mortara, nel frattempo, misero insieme un’ampia documentazione con la quale si recarono a San Pietro per supplicare il buon senso del Papa, rifacendosi ad un cavillo legale che avrebbe potuto rendere libero il bambino. L’editto su cui poggiava la legittimità della chiesa di requisire Edgardo parlava di una soglia di età da rispettare affinché il battesimo potesse ritenersi valido. Ovvero: non era consentito battezzare i bambini al di sotto dei 7 anni. Edgardo, nel 1851, aveva appena 17 mesi, pertanto di età inferiore rispetto alla minima consentita.
La chiesa però non batté ciglio, l’opposizione non venne accolta, facendosi beffa della
stessa legge che affermarono di onorare. Pio IX fece di Edgardo “suo figlio”, portandolo con sé in molte apparizioni ufficiali, tuttavia, malgrado la professata magnanimità del Papa nei suoi riguardi, in diverse di queste occasioni il bambino fu vittima di “umiliazioni pubbliche.” Lo dichiara Elena Mortara, pronipote di Edgardo, che in un’intervista rivela che egli, oltretutto, giustificasse le sevizie paventandole in qualità di “punizione per le sofferenze arrecate al Papa”, poiché secondo l’opinione del giovane Mortara, distorta dalla macchina pontificia, il suo caso aveva procurato non poche sofferenze al Papa ed egli era quindi reo di tali afflizioni.
Una drastica mutazione del giudizio del giovane che, dacché tra le braccia della madre sussurrava in lacrime di recitare lo Shemà Israel tutte le sere e chiedeva di non essere abbandonato, era ormai diventato complice del suo stesso carnefice. Elena Mortara, ancora in vita, ha da sempre asserito che Edgardo fosse stato manipolato in tutto e per tutto durante il suo soggiorno alla corte papale, subendo “violenza psicologica, esistenziale e religiosa”, che poco tempo più tardi dalla sua adozione, lo portò a manifestare segni di una vera e propria conversione al cattolicesimo.
Gli venne fatto un “lavaggio del cervello” in piena regola, convincendolo che la sua famiglia naturale fosse indegna di crescerlo.
Eppure, a dispetto di ciò che la chiesa tutt’ora sostiene sul comportamento del Papa rispetto alla vicenda, ma soprattutto nei riguardi del piccolo Mortara, in molti sono a concordare che, pretesto religioso a parte, l’ingerenza di Pio IX fu dettata verosimilmente dall’antisemitismo che serpeggiava da secoli a Roma, e che Edgardo fosse stato utilizzato come vessillo della sua lotta di conversione degli ebrei.
Questi, infatti, furono da sempre giudicati deicìdi (uccisori di Dio) per aver permesso l’assassinio di Cristo. I predecessori di Pio IX non furono dicerto più tolleranti con gli ebrei, ma egli non fece la differenza, nonostante la messa in moto di una restaurazione, i sentimenti discriminatori rimasero uguali e in linea con le epoche precedenti.
Fu molto probabilmente l’esilio a Gaeta nel 1848, anno della famosa instaurazione della Repubblica Romana, a segnare il Pontefice che, già di per sé conservatore, covò l’odio razziale fino al suo ritorno nella Santa Sede. Lì, fra le prime disposizioni, figurò il ripristino del ghetto ebraico. Così si espresse Pio IX in un’udienza del 1871, avvenuta dopo la Presa di Roma: “Or gli Ebrei, che erano figli nella casa di Dio, per la loro durezza e incredulità, divennero cani. E di questi cani ce n’ha pur troppi oggidì in Roma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e ci vanno molestando per tutti i luoghi. Speriamo che tornino ad essere figli”.
Ciò che sicuramente il Papa non considerò al momento del rapimento di Mortara fu la risonanza che il caso avrebbe avuto. A conti fatti, l’avvenimento fu uno dei fattori che, a livello di opinione pubblica, poco avvezza a tollerare la prepotenza della chiesa e antipapista, portò i paesi europei a valutare la possibilità di lasciare fare ai Savoia facessero guerra allo Stato Pontificio, cosa che poi avvenne.
Cosa successe ad Edgardo Mortara?
Visse la sua infanzia a San Pietro in Vincoli presso i Canonici Regolari Lateranensi, prigioniero di una chiesa che non volle sentire ragioni e che finì per cambiarlo irrevocabilmente, rendendolo estraneo alla propria famiglia e alle proprie origini, prigioniero della vita che era stata decisa per lui, a cui poi si persuase di appartenere.

Un epilogo diverso da quello dell’analogo Caso Montel, che vide protagonista una bambina ebrea, Esther Montel, che i carabinieri dell’inquisizione tentarono di rapire. Ciò avvenne nel 1840, diciotto anni prima del caso Mortara, le motivazioni della chiesa si basarono su una confessione di una donna di Fiumicino che diceva di aver battezzato la bambina. Il padre di Esther si oppose, negando le accuse. La famiglia Montel non solo era di origini ebraiche, ma anche francesi; perciò l’intervento dell’ambasciata di Francia sventò il dramma.
Per Edgardo non ci fu nulla da fare, egli diventò adulto tra le braccia dei suoi, a loro modo, legittimi rapitori, disconobbe i propri genitori, a cui non volle fare ritorno, affermando che suo padre fosse il Papa.

A 13 anni iniziò a studiare per entrare nei Canonici Regolari, pronunciati i voti semplici nel 17 novembre del 1867, abbandonò definitivamente il nome che lo legava al suo passato e prese quello di Pio Maria, in onore del pontefice. Seppure nel 1870 il padre, Salomone, tornò nuovamente da lui pregandolo di seguirlo a Firenze, Edgardo o Pio Maria, lo respinse aspramente. Nel 1871 prese i voti solenni, ottenendo l’ordinazione sacerdotale nel 1873, elargita da una dispensa papale. Viaggiò molto nel corso degli anni, cercando di convertire quante più persone possibili, compresa la sua famiglia, con la quale cominciò ad intrattenere degli occasionali rapporti solo a scopo di convertirli, quando fu chiaro che non ci sarebbe riuscito, li abbandonò completamente.

Sostenne la dottrina cattolica fino all’estremo, ripudiando innovazioni come la democrazia e ringraziando il padre adottivo fino alla fine. Morì l’11 marzo del 1940, in un monastero di Bouhay, dove si ritirò per meditare, pregare e venerare la Vergine Maria.
Il 3 settembre del 2000 avvenne la beatificazione di Pio IX, processo che impiegò 96 anni per compiersi, considerate le molteplici obiezioni in merito. La chiesa ancora oggi lo descrive come Santo e papa scomodo politicamente, giustificando le sue azioni in nome di Dio.