Eco / Echo / Écho

60.000 metri cubi di pietra bianca e 4.941 gradini. Materia che modella vuoti imponenti. Mettersi in coda per poter entrare nel Palazzo di Giustizia, aperto straordinariamente al pubblico solo per poche ore, sfidando il freddo e il vento pungente dei primi giorni di dicembre.

Oltrepassare il portone ed essere colti da una sensazione di spaesamento e di piccolezza infinita al cospetto dei 26.000 mq di questo gigante che ha resistito alle offese del tempo e della storia: alla fine del secondo conflitto mondiale, infatti, le truppe naziste ormai sconfitte cercarono di darvi fuoco, riuscendo però solo a scalfire l’edificio più grande che sia stato costruito in Europa nell’800; solo qualche ferita e una nuova cupola da costruire.

Il “Mammut” domina la città dall’alto e continua a vivere grazie al suo corpo costituito da mura mastodontiche e da un sistema di organi interni composto da 245 stanze disseminate all’interno di un labirinto di corridoi. Gli abitanti del quartiere sottostante di Marolles gli diedero questo appellativo e, prima dell’inizio della sua costruzione nel 1866, assistettero alla scomparsa di case e negozi, nonché allo sfratto di numerose famiglie, tanto da iniziare ad utilizzare il termine “architetto” come un insulto tra i peggiori.

Venne fatto di tutto per lasciare spazio a quella pietra che è tutt’ora decorata e protetta da una serie di impalcature necessarie per i lavori di restauro e manutenzione iniziati nel 2003 e che non vedono mai la fine, tanto che nel 2013 ci si è resi conto che le strutture metalliche stesse necessitavano di restauro. A noi, così come al suo architetto Joseph Poelaert, che morì qualche anno prima del termine dei lavori di costruzione, non è concesso di poter vedere l’opera conclusa.

Colonne in pietra, marmi ed inserti in legno disegnano linee, forme e volumi in cui la luce lotta per entrare e trovare il proprio spazio, finendo per assumere i colori più diversi in base al momento della giornata o al tempo atmosferico; tu invece puoi solo limitarti a stupirti per ogni dettaglio, ogni statua o elemento d’arredo studiato e differenziato per ogni aula.

Metri di aria piena di polvere ti separano dal soffitto mentre cammini nella sala dei passi perduti guardando in alto e, per una volta, è tutto ciò che ti serve.

Cristina Bargna

Junior industrial designer ossessionata dagli oggetti e dalla loro storia. Dopo anni da pendolare tra Como e il Politecnico di Milano sono partita per Venezia. Otto mesi per imparare come non perdermi tra le calli e vivere la mia passione per le arti visive. Riempio agende con parole o disegni per paura di dimenticare. Conservo dettagli, biglietti di treni, concerti, musei e faccio fotografie con la macchina usa e getta per non poter controllare il risultato. Uso la penna per scrivere immagini e per cercare di capire cosa voglio fare da grande. Adoro i colori primari, le poesie di Wislawa Szymborska e i film di Wes Anderson.