Simonetta Agnello Hornby mi riceve a casa sua, a Londra, in uno dei quartieri più esclusivi della capitale. Ha un fisico minuto e il volto pallido, illuminato da una collana di perle, un volto in cui spiccano gli occhi scuri e penetranti. Mi invita a sedere sul divano di un salotto raffinato, arredato con mobili del primo Ottocento siciliano. Penso istintivamente che ha buon gusto: libri e foto di famiglia nella luce lattiginosa di un mattino londinese insolitamente sereno. Sposto lo sguardo su di lei. Ha un sorriso cortese ed un piglio deciso.
Fotografia di copertina: Simonetta Agnello Hornby al XXIX Salone Internazionale del Libro 2016, fotografia di Andrea Pellegrini condivisa con licenza CC BY 3.0 via Wikipedia – Copertina de “Nessuno Può Volare” edito da Feltrinelli.
Giovanna Potenza: Scrittrice, avvocato impegnato a sostenere le cause dei minori e degli emarginati, conduttrice di programmi televisivi amati dal pubblico: in quale ruolo pubblico Lei si riconosce maggiormente?
Simonetta Agnello Hornby: Mi sento avvocato, veramente, ho fatto l’avvocato fino ai 70 anni.
GP. Sarebbe allora corretto affermare che il filo conduttore della Sua vita sia l’amore per la giustizia?
Ha ragione, per me la cosa più importante della vita è la giustizia. Senza giustizia, d’altronde, non si può vivere in una società, si può solo vivere da soli.
GP. Lei è nata in Sicilia e vissuta in Inghilterra, a quale paese sente di appartenere maggiormente ?
Per me è stato facile trasferirmi, perché mi sono sposata per amore e sono venuta in Inghilterra per amore, ma di norma quando si cambia città o paese ci si trasporta dentro anche un pezzo del proprio luogo di origine. Londra è il luogo in cui voglio morire e resterò certamente qui, dove sono i miei figli, perché seguo i miei figli come tutte le madri mediterranee (non le inglesi).
Quello che ho scritto di autobiografico finora, invece, ha sempre riguardato la Sicilia. Forse perché il mercato lo richiede di più e forse perché il mio editore mi ha incoraggiato a narrare della mia terra di origine. L’idea de “La Mennulara”, d’altronde, mi è venuta così, per caso, all’aeroporto, in attesa di un volo della British Airways, proprio di ritorno dalla Sicilia. Potrei scrivere dell’Inghilterra, però dovrei scriverne in inglese.
GP. Però ha scritto anche in inglese…
Sì, ho scritto un unico romanzo in inglese, “Vento scomposto”, traendo spunto dalla mia esperienza come legale e dalla frequentazione di alcuni centri di assistenza all’infanzia. Volevo farlo leggere a un mio cliente, perciò l’ho scritto in inglese. Molte delle storie che ho scritto sono ispirate ai casi dei miei clienti.
GP. Lei ha quindi scritto in inglese ed in italiano: quale lingua sente più sua?
Entrambe, indifferentemente; parlo meglio l’italiano, ma tutte e due.
GP. In un’intervista Lei ha dichiarato di sentirsi siciliana prima che italiana, è ancora così?
L’ho detto molto tempo fa, ma ho cambiato idea da due anni. Sa come? Tornavo da casa di Andrea Camilleri, a Roma ed ero su di un taxi diretto all’aeroporto e il taxi costeggiava le Mura Vaticane, che sono bellissime. Ho esclamato rivolta al tassista: ”Quanto è bella questa Sua città!” E lui ha replicato: ”Si sbaglia! Lei non è italiana? E Roma è la città di tutti noi italiani, non è solo la mia città”. È da lì che ho imparato che sono italiana, da questo tassista.
GP. Il suo libro “La mia Londra” è invece un omaggio alla capitale inglese: come è cambiata nel tempo questa città?
Londra cambia sempre, come tutte le città. Rispetto a quando sono arrivata, cinquanta anni fa, Londra è diventata molto più grande, molto meno inglese e più europea. Anche prima era internazionale, naturalmente, essendo la capitale del Commonwealth. L’anima internazionale è sempre stata una delle anime di questa metropoli finanziaria ricca di cultura e di stranieri, che poi diventano inglesi. Il mio libro rappresenta un omaggio a Samuel Johnson, il padre dell’illuminismo inglese che compilò il primo dizionario della lingua inglese, ed è una personalissima guida della città in cui vivo.
Sotto, Copertina de “La Mia Londra”, edito da Giunti in vendita su Amazon:
GP. In questa metropoli che può risultare a volte spersonalizzante, Le capita a volte di sentirsi sola?
No, non mi sento sola, perché ho tanti affetti e tanti amici ed amiche straordinari. Dashana, ad esempio, un’amica indiana, conosciuta al corso per diventare avvocato. Una persona davvero eccezionale. Un’amicizia suggellata da un mese di corso che prosegue tuttora, a dispetto della distanza, perché lei vive in India da trentacinque anni. Ci vediamo regolarmente ogni anno, oppure ogni due anni, ma è un legame che resta fortissimo. A Dashana io obbedisco, è l’unica a cui obbedisco.
GP. In una vita così ricca e piena di successi c’è posto ancora per qualche rimpianto?
Sì, il mio più grande desiderio è imparare a disegnare: non ho mai avuto il tempo di iscrivermi a un corso di disegno ed infatti disegno malissimo, ma per me imparare a disegnare resta un desiderio irrinunciabile.
GP. Passiamo all’universo creativo dei Suoi romanzi: i personaggi che dominano la scena della narrazione sono personaggi prevalentemente femminili, come mai?
Purtroppo sì. Scrivo dei personaggi femminili in parte perché ho lavorato soprattutto con le donne. Conosco più la psicologia femminile che la maschile, sebbene abbia due figli maschi. Credo che scrivere di donne in situazioni difficili sia dovuto quindi al mio mestiere. Tra l’altro, ho fatto parte del movimento di liberazione della donna. Ora non mi considero più una femminista, perché non ce n’è più bisogno, ma quando ero giovane discriminazioni verso le donne ce n’erano eccome! Quando ho fatto la domanda per essere ammessa all’ordine degli avvocati qui in Inghilterra, ad esempio, ho sostenuto un colloquio con sei uomini. È stato molto pesante. Ad un certo punto qualcuno mi ha chiesto: ”Perché non esercita la professione in Italia?” E io, incinta di sei mesi, ho replicato: ”Sono incinta, vivo ad Oxford con mio marito, fare la pendolare fra Londra e l’Italia sarebbe complicato…” Dopo un “Oh, yes!”, mi hanno chiesto tutto su mio marito e sono stata accettata per questo. Queste sono umiliazioni che voi donne oggi non conoscete. Quell’esperienza mi ha reso molto femminista. In seguito non ce n’è stato più bisogno, oggi esistono leggi che tutelano a pieno le donne.
GP. Ne “Il male che si deve raccontare per cancellare la violenza domestica” o ne “La Mennulara”, lei parla della violenza domestica: come mai questo è un tema così ricorrente nei Suoi scritti?
La violenza domestica è uno dei temi a me più cari. Ne sto scrivendo anche per uno spettacolo che intendo portare a teatro, in Italia. La violenza domestica mi ha sconvolta perché non ne conoscevo la portata, è un fenomeno enorme, poliedrico, che include anche l’aspetto della violenza della donna sull’uomo. È un male sociale sommerso che ha anche una sua peculiare caratteristica: è democratico al massimo, è trasversale a tutti i paesi e a tutte le classi sociali, è uno dei dolorosi effetti del rapporto umano.
GP. “Nessuno può volare” invece è una Sua appassionata riflessione sulla bellezza e sul senso della vita attraverso un viaggio a due dalla Sicilia a Londra, che affronta anche il delicato tema della disabilità.
Mio padre era un disabile ed era per me normale avere un papà con la gamba malata prima, senza gamba poi. Ovviamente il mio passato ha influito, però è anche vero che molti dei miei clienti erano disabili, in un modo o nell’altro: madri che non potevano badare ai figli per problemi fisici o mentali, per incapacità di comunicare, per problemi di incomprensione… Noto di più la disabilità forse perché mi era familiare e mi è ancora familiare, a causa della malattia di mio figlio.
Sotto, copertina de “Nessuno può volare” in vendita su Amazon:
GP. “Nessuno può volare“ è però anche un libro molto forte…
Sono d’accordo, è un libro che induce a pensare. Io cerco nei miei libri di raccontare storie interessanti, storie non necessariamente con un intento morale, ma che risultino utili ai lettori.
GP. La Mennulara decide di porre fine alla propria vita perché malata di cancro. Il romanzo rimanda ad un tema che fa molto discutere, che è quello del diritto alla scelta di porre termine alla propria vita.
Sì, la Mennulara si ammazza. Pensi che in Inghilterra il suicidio era un reato fino al 1960. Per esempio, un suicida mancato che si gettava nel Tamigi, una volta ripescato, veniva sbattuto in prigione. Probabilmente il concetto di fondo era che gli uomini inglesi invece che togliersi la vita avrebbero dovuto sacrificarla per la Patria, o al servizio della Corona. Io, invece, credo fermamente nel diritto di uccidersi, che per me è sempre stato uno dei diritti fondamentali dell’individuo. È diritto incontestabile dell’essere umano, quello di dire basta.
GP. Ha dichiarato di non essere credente, però il suo romanzo “La Monaca” è un libro che trasmette un senso di profonda spiritualità.
Sì, è vero, amo molto questo romanzo. Non avere una specifica fede religiosa non significa non possedere un profondo senso di spiritualità, significa rispettare e non appartenere ad alcuna religione.
GP. La sua visione del mondo sembrerebbe tuttavia una visione amara.
La mia visione del mondo odierno è una visione amara, ma la vita è bella. Attraversiamo un brutto periodo, nel mondo, passerà. Scrivo storie che sono anche tristi, perché ritengo che le storie semplici e felici siano brevissime e non riflettano la vera vita. Una storia allegra e felice diventa noiosa e non interessante.
Sotto, copertina de “La Monaca” in vendita su Amazon:
GP. Nella Sua carriera così eclettica lei si è anche occupata di gastronomia e il suo “La cucina del buon gusto” è un libro che celebra la produzione culinaria e che rappresenta una sorta di omaggio a Brillat-Savarin. Lei si considera una brava cuoca?
Io ho sempre cucinato con piacere. Il rapporto con il cibo è anche un modo per vivere, per me. Non mi considero una grande cuoca, però cucino. Mi piacciono tutti i lavori manuali, d’altronde.
Sotto, copertina de “La cucina del buon gusto” disponibile su Amazon:
GP. Come sente di potersi inquadrare nel panorama letterario italiano contemporaneo?
Io vivo all’estero, per cui non saprei come collocarmi di preciso. Sono una che scrive e che lavora, che ha avuto diversi editori, che non partecipa ai premi letterari per scelta, ma cui piace il contatto con i lettori. Conosco solo parzialmente il mondo letterario italiano contemporaneo, conosco Camilleri. Mi dicono spesso che i miei libri rimandano alla grande letteratura siciliana. Rispondo sempre che questo deve deciderlo il lettore, non posso certo affermarlo io. Io scrivo, ma è la sensibilità del singolo lettore ad attribuire al libro la propria interpretazione e la propria verità. A volte qualcuno fa un’osservazione e io mi dico: “Non avevo assolutamente pensato a questa chiave di lettura, ma è plausibile!”.
GP. A proposito di scrittori siciliani, come è iniziata la Sua amicizia con lo scrittore Andrea Camilleri?
È un’amicizia iniziata molti anni fa tramite la Feltrinelli, la mia casa editrice, che mi aveva invitato a recarmi alla presentazione di un libro di Saverio Lodato su Camilleri. C’erano quattro uomini sul podio che discutevano del libro, la cui terminologia complessa era per me difficile da capire. Ricordo che mi veniva quasi da piangere, mi sono detta:” Che cosa faccio se parlano di me nello stesso modo?”. Poi parlò Andrea che, nella sua semplicità, era musica. Gli scrissi una lettera: la nostra amicizia iniziò così.
GP. I lettori di Vanilla Magazine sono suoi grandi ammiratori: ha qualcosa da dire loro?
Spero che i miei romanzi inducano a riflettere. Io consegno ai lettori delle storie, non la loro soluzione, è compito del lettore trovarla a seconda della propria sensibilità. Cerco di scrivere per fare sorridere – a volte, a volte no – e per far pensare. Mi piace l’idea che i miei libri, una volta scritti, vivano di vita propria.
GP. La ringrazio per il tempo dedicatomi. Un’ultima domanda prima di salutarla: quali sono i suoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe lavorare ad un progetto teatrale con Filomena Campus, una famosa cantante jazz e regista, che vive a Londra e che è anche una cara amica. Un sogno nel cassetto, ma spero di realizzarlo.
A fine intervista, tempo per un selfie!!