Questa è una storia che si basa soprattutto su ipotesi (e non potrebbe essere altrimenti, dato che stiamo parlando di un mondo, quello dello spionaggio, in cui il segreto e la cosa più importante e l’arte del depistaggio è la regola), per cui non va presa come una spiegazione definitiva dei fatti (ma, del resto, quante delle spiegazioni ufficiali che riceviamo di un qualunque fatto sono davvero “definitive”?).
Dobbiamo, quindi, porci due distinte domande, con due distinte risposte. I fatti andarono davvero così? Non lo sappiamo. I fatti potrebbero essere andati così? Sì, potrebbero benissimo essere andati come racconteremo.
E’ una storia che è stata a lungo dimenticata, ma non per questo meno importante, dato che coinvolge una figura di primissimo piano della cultura del XX secolo. Stiamo parlando di Albert Camus, scrittore francese, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1957 a 44 anni (il secondo Nobel letterario più giovane dopo Rudyard Kipling, che fu premiato a 42).
Camus è un genio predestinato, talmente predestinato da emergere in un contesto di notevole degrado sociale. Nasce nel 1913 a Mondovì, Algeria (oggi Dréan), figlio di un contadino francese emigrato nelle colonie in cerca di fortuna. Ma la fortuna viene meno e il padre, richiamato alle armi nella Prima Guerra Mondiale, muore nella battaglia della Marna nel 1914 (“per servire un Paese che non era il suo”, scriverà amaramente il figlio, anni dopo). Il piccolo Albert sarà cresciuto dunque dalla madre e dai parenti di questa, tutti di origine spagnola: brava gente, ma povera e analfabeta. Lui invece va a scuola ed è bravissimo, vince borse di studio che gli permettono di frequentare ottimi collegi. Da ragazzo sogna di fare il calciatore, carriera già ambita a quel tempo: eccellente portiere (ha scelto quel ruolo perché è quello in cui le scarpe si consumano di meno), ha già attirato l’attenzione degli osservatori di qualche squadra professionistica francese, ma deve abbandonare l’attività improvvisamente, quando gli viene diagnosticata la tubercolosi, la malattia che stermina i poveri. Per la stessa ragione, deve abbandonare un altro sogno, quello di diventare attore teatrale.
Non gli resta che tornare agli studi, che non smettono di dargli soddisfazioni. Sempre a forza di borse di studio, riesce a entrare all’università di Algeri (che all’epoca era uno dei più prestigiosi atenei francesi) e a laurearsi in Filosofia. Lo attende un futuro da insegnante e da giornalista, che rappresenta già un bel passo avanti rispetto alle proprie origini, ma il talento lo porterà molto più lontano. Mentre è ancora all’università, pubblica un saggio, “Metafisica cristiana e neoplatonismo”, che lo impone all’attenzione delle case editrici. Seguono altri lavori e un’intensa attività giornalistica, che lo mette in contrasto con le autorità franco-algerine, dato che è un sostenitore della causa dell’indipendenza del Paese africano dalla Francia. Nel 1940 sarà costretto a trasferirsi in Francia per poter continuare a lavorare.
Camus è uno che pensa con la propria testa e, come sempre in questi casi, si fa continuamente nemici dappertutto. E’ comunista ma non stalinista e, dopo la guerra civile spagnola, diventa anarchico. Vuole l’Algeria indipendente, ma teme che entri nell’orbita delle monarchie islamiche, di cui pensa che siano responsabili della miseria e dello sfruttamento dei loro popoli. E’ furiosamente anti-nazista e partecipa alla Resistenza francese, e vorrebbe un’Europa unita e federata, di nazioni che collaborino e non facciano più guerre tra loro. Durante un viaggio in USA per tenere delle conferenze, nel 1946, sarà continuamente sorvegliato dalla CIA.
Dal punto di vista dei contenuti, la sua opera letteraria, nonostante il modesto numero di titoli (quando riceve il Nobel ha pubblicato complessivamente 4 romanzi, 7 saggi e 4 opere teatrali originali, più 2 adattamenti teatrali di altri autori), è monumentale, impossibile da sintetizzare in poche righe: Camus è il maggior rappresentante dell’Esistenzialismo, il poeta del “divorzio tra l’uomo e la sua vita” e della “lotta quotidiana contro l’Assurdo”, cui dedicherà pagine immortali come quelle di “Il mito di Sisifo”.
Dopo il Nobel, perfino le autorità francesi devono prendere atto che una personalità come la sua ha diritto al giusto rilievo, e il ministro della Cultura Andrè Malraux (intellettuale e scrittore di ottimo livello) gli propone di dirigere la “Comèdie Francaise”. Ma Camus non sta benissimo, non è mai guarito dalla tubercolosi (anche perché fuma come un turco) e l’impegno gli appare troppo gravoso. Chiede invece di poter dirigere un teatro sperimentale. Malraux lo accontenta e negli ultimi giorni del 1959 l’accordo è cosa fatta, mancano solo le firme sul contratto.
Intanto, Camus lascia la moglie Francine a Parigi e va a passare il Capodanno del 1960 in Provenza con la famiglia del suo editore, Michel Gallimard, cui è molto legato. Il 3 gennaio accetta anche di ripartire per Parigi in auto con i Gallimard (oltre a Michel, ci sono la moglie Janine e la figlia Anne), nonostante abbia già acquistato il biglietto ferroviario.
Sotto, Camus con Gallimard in Grecia nel 1958:
Dalla Provenza a Parigi, il viaggio è lungo e a gennaio fa notte presto. La sera dello stesso 3 gennaio, l’auto di Gallimard (una Facel Vega FV3B, modello di grande successo a quel tempo) si ferma a un elegante albergo di Thoissey, lo Chapon Fin, dove il piccolo gruppo ne approfitta per festeggiare i 18 anni della giovane Anne.
Sotto, una Facel Vega FV3B come quella di Gallimard:
La mattina dopo, saldato il conto, si riparte. Per Parigi mancano ancora 4 ore di viaggio e Gallimard, che è atteso da impegni di lavoro, ha fretta di arrivare. La strada è larga e non ci sono limiti di velocità, la Facel Vega corre a 140 km/h.
Sotto, Camus con Janine Gallimard:
Sono le 10 circa del 4 gennaio quando l’auto sfreccia sul tratto rettilineo che attraversa Petit-Villeblevin, in Borgogna, a un’ora da Parigi. Improvvisamente, un rumore secco sotto il pavimento dell’auto, Michel Gallimard che esclama “Merde!”, l’auto che sbanda bruscamente di lato, l’impatto fortissimo con un platano di lato alla carreggiata. Gallimard e Camus, seduti davanti, restano intrappolati nei rottami, da cui saranno inutilmente estratti dai soccorsi, per morire entrambi poco dopo. Janine e Anne, sedute dietro, nell’urto sono sbalzate fuori, finiscono in mezzo ai campi che fiancheggiano la strada, si fanno male parecchio ma sopravvivranno.
L’unica perizia accerta che l’asse anteriore del mezzo si è spezzato per il blocco di una ruota, in seguito allo scoppio di questa.
Il caso viene archiviato come uno sfortunato incidente. E così resta per mezzo secolo.
Cambiamo completamente scena. Ora siamo nel 2010 a Praga e c’è un ragazzo italiano che sta compiendo delle ricerche. Si chiama Giovanni Catelli, è cremonese e, oltre a scrivere racconti, si dedica con passione alla letteratura ceca, di cui è uno specialista. Sta lavorando sui diari di Jan Zabrana, un poeta vissuto dal 1931 al 1984. Mentre sta esaminando il taccuino classificato come “Quaderno blu n° 91”, si imbatte in una strana annotazione, risalente al 1960. Zabrana scrive di aver appreso, da fonte attendibilissima, che quello in cui è morto Camus non è stato un normale incidente, ma un attentato compiuto ai suoi danni da agenti del Kgb, i quali hanno manomesso una ruota dell’auto in maniera che esplodesse in viaggio, per ordine del ministro degli esteri Dimitri Shepilov.
Sotto, Jan Zabrana (1931-1984):
Catelli resta un po’ perplesso ma, dopo qualche controllo, si rende conto che l’idea può non essere campata per aria. Camus ce l’ha sempre avuta con Shepilov: forte della sua fama, durante la crisi d’Ungheria del 1956, lo ha attaccato duramente dalle pagine di periodici di sinistra come “Monde Nouveau” e “Franc-Tireur”, scuotendo le coscienze di parecchi comunisti francesi passati poi su posizioni non più filosovietiche, quando non apertamente antisovietiche. E, nel 1958, dopo il caso Pasternak (il grande poeta e autore di “Il dottor Zivago”, cui le autorità sovietiche impedirono di andare a Stoccolma per ricevere il Premio Nobel, nel 1958), Camus ci è andato giù ancora più pesante, prendendosela di nuovo soprattutto con Shepilov.
E’ possibilissimo che Shepilov se la sia legata al dito.
A questo punto, Catelli vuole vederci chiaro e contatta la vedova di Zabrana, Maria Zabranova. Questa gli racconta che il diario del marito era talmente segreto che lei stessa ha appreso della sua esistenza nel 1984, quando Jan si è finalmente deciso a rivelargliela, due settimane prima di morire. Maria Zabranova, così come il cineasta Ales Kisil, pure contattato da Catelli e autore di un documentario sulla vita di Zabrana, sono d’accordo sul fatto che un uomo come lui non avrebbe mai riportato un pettegolezzo tanto per scrivere qualcosa, doveva essere certo di quello che scriveva. In questo, sono in contrasto con Patrik Ourednik, il curatore francese delle opere di Zabrana, per il quale una simile annotazione è inattendibile, tanto è vero che non la riporta nella edizione francese del Diario.
Sotto, Dimitri Shepilov (1905-1995):
Maria Zabranova e Ales Kisil forniscono a Catelli anche una rosa di nomi dai quali potrebbe uscire fuori quello della possibile “fonte attendibile”. Sono tutti personaggi che sembrano usciti da un romanzo di Le Carrè, intellettuali che durante la Guerra Fredda vivono a Praga ma spesso vanno a Mosca e girano liberamente ma poi, quasi certamente, passano informazioni di nascosto alla CIA, tant’è vero che, dopo la caduta dell’URSS, se ne andranno tutti in Usa o in Canada: Jiri Gibian, Jiri Zuzanek, Jiri Barbas, Josef Svorecky e lo scrittore russo Vasilij Aksenev. Di questi, l’unico ancora vivente è Jiri Zuzanek, che insegna in un’università canadese ed è pressoché irraggiungibile. Non si trova nemmeno una sua foto sul web. Da tutto il materiale raccolto, Catelli ricava un libro, “Camus deve morire”, che esce con Nutrimenti nel 2013. Ma la storia non finisce qui.
Nello stesso 2013, mentre sta presentando il libro a Milano, si trova in mezzo al pubblico l’avvocato Giuliano Spazzali, il famoso legale divenuto celebre per i suoi duelli in dibattimento con Antonio Di Pietro durante i processi di Tangentopoli. Spazzali è molto interessato al libro e al suo contenuto e aggiunge un’altra rivelazione al materiale in possesso di Catelli.
Spazzali afferma che un suo amico, l’avvocato francese Jacques Vergès, morto in quello stesso 2013, ha sempre sostenuto che Camus era stato ucciso dal Kgb. Non è un giudizio da sottovalutare, perché anche Vergès è un tipo da romanzo di Le Carrè. Franco-vietnamita, comunista, a lungo agente dei servizi segreti cinesi, Vergès è il legale che negli anni ’60 assunse la difesa dell’indipendentista algerina Djamila Bouhired, condannata a morte per terrorismo in Francia e strappata al patibolo da una instancabile campagna a suo favore condotta da Vergès e dallo scrittore Georges Arnaud. Graziata e liberata nel 1962, la Bouhired sarebbe poi diventata la moglie di Vergès stesso, convertitosi apposta all’Islam.
La ricostruzione di Vergès riferita a Catelli da Spazzali aggiunge altre tessere al mosaico della vicenda. Gli agenti del Kgb avrebbero seguito Camus per 3 anni, aspettando l’occasione propizia per eliminarlo.
E i servizi segreti francesi?
Lo sapevano, ma non fecero nulla per ostacolarli, dato che Camus stava sulle scatole anche ai loro vertici. Oltretutto, racconta Vergès, benché la Francia appartenesse alla NATO, i rapporti tra francesi e sovietici non erano poi così pessimi: i francesi non hanno mai visto di buon occhio l’egemonia americana sull’Europa e tutto ciò che poteva indebolire la posizione internazionale degli USA, per loro, andava bene, compreso lo scambio di favori reciproco con l’URSS, purché nessuno ne sapesse niente. E, con questo, abbiamo riportato tutto quanto si sa finora.
Le domande e le risposte restano quelle di prima. I fatti andarono davvero così? Non lo sappiamo. I fatti potrebbero essere andati così? Sì, potrebbero benissimo essere andati proprio così come abbiamo raccontato.